Si parla tanto di squadre B come la soluzione al male del calcio italiano. Se ne parla soprattutto in un’ottica di crescita dei ragazzi che spesso pagano l’inesperienza nel passaggio tra la primavera e la prima squadra, un tema di attualità anche alla luce delle intenzioni della FIFA di porre fine ai prestiti dei giocatori (e con essi a molte speculazioni). È già qualcosa, ma il problema è ben più grosso e radicato in un ambiente tutt’altro che limpido e trasparente per i nostri giovani. Il principio di associare la crescita professionale mediante l’inserimento nel calcio che conta può funzionare, come una sorta di tirocinio pratico dove gli studenti vanno nei “cantieri” ad assaggiare il lavoro “duro”, ma il problema resta sempre quello dell’insegnamento, ovvero delle figure deputate a far crescere i nostri ragazzi, sia come calciatori che come uomini di sport. Di conseguenza, bisogna puntare prima sugli “insegnanti” e poi sugli “alunni”, diversamente non si farebbe molta strada. È necessario investire con serietà e competenza nei settori giovanili, perché spesso è un terreno lasciato ad interessi e speculazioni che niente hanno a che fare con i valori dello sport. Le dichiarazioni di Tiribocchi in merito ne sono la conferma, e vanno lette e analizzate  a fondo. Ma poi basterebbe assistere, come faccio io, alle partite del campionato primavera, dove procuratori e agenti hanno sponsorizzato prima gli allenatori in cerca di visibilità (spesso ex giocatori), e poi hanno imbottito le squadre con figli d’arte e ragazzi dalle dubbie qualità. Ottimi atleti ma giocatori “timidi”, dal fraseggio scolastico (con ritmi compassati), con una tecnica di base assolutamente inadeguata e la scarsa attitudine alla ricerca della “giocata”, vera essenza del calcio. Un inno alla mediocrità e uno schiaffo alla meritocrazia e al talento pure, qualità spesso imprigionate dalle torbide logiche del business. Tuttavia i problemi del calcio nostrano non si limitano ai settori giovanili, anzi. Ci sono altri aspetti che zavorrano il calcio italiano. Intanto gli impianti sono vecchi e inadeguati, la mentalità degli appassionati e degli addetti ai lavori (stampa compresa) è spesso annacquata da logiche di campanilismo (con schermaglie puerili perfino nelle istituzioni) e l’espressione del calcio giocato è tristemente saldato ad un modello che non fa scuola da decenni, che si accontenta di primeggiare in Italia piuttosto che stare al passo con il calcio che si evolve. E poi fa niente se alla Svezia non riesci a fare un gol in 180 minuti e sei fuori dai mondiali da 60 anni.