Il 15 aprile del 2010 venivo operato d'urgenza al cuore.
Sono passati dieci anni e per festeggiare vi propongo il racconto di una data, più importante e gioiosa di questa, specialmente perchè coinvolge anche il Milan. 28 Ottobre 1984. In quel giorno si correva la prima edizione della gara ciclistica professionistica, da me organizzata, IL KM del CORSO. Venti corridori al via fra i quali il campionissimo Francesco Moser e a Milano, la sfida più importante il Derby, Milan-Inter. Mettetevi comodi.

Ognuno di noi è legato a qualche data dalla quale non può assolutamente staccarsi. A quella di nascita, certamente, alle ricorrenze dei compleanni dei genitori, così come, purtroppo, a qualche giorno legato ad eventi luttuosi. Date che anche per chi non ha molta memoria incidono in modo così netto da non poter essere dimenticate. Anch'io non posso sfuggire da questa logica e benché tenti di esercitare la memoria per ricordarne il più possibile, come qualche data di compleanni degli amici più cari o semplicemente quella di qualche evento storico importante o di episodi che hanno scritto la storia recente, devo ammettere che non brillo particolarmente in questo esercizio, ricordandone sicuramente molte meno di quelle che vorrei.
Così, forse per gioco, il 14 luglio non posso che ricordare il 1789. Sarà forse per la semplicità della data, che vede dopo l'uno il susseguirsi di tre numeri progressivi. Fatto sta che, anche senza essere francese, il pensiero ricorda la "Presa della Bastiglia". Così come il 15 Marzo si collega alla fine, poco gloriosa, di Giulio Cesare, che certamente non poteva sapere che fosse il 44 A.C., poiché Gesù non era ancora nato o, se preferite, non lo avevano ancora crocifisso.
L'undici Settembre è il ricordo che non c'è più un luogo di pace, anche in assenza di guerra e il 6 Agosto di ogni anno, da quell'anno, il 1945, la consapevolezza che il genere umano è in grado di commettere ogni tipo di atrocità, anche le peggiori, come lanciare una bomba atomica, credendo di avere sempre giustificazioni plausibili.
In fin dei conti che cos’è la nostra vita se non un insieme di ricordi? Ecco perchè oggi esporvi questo racconto, legato ad una giornata speciale che chi è milanista può cogliere in tutta la sua grandezza, mi è parsa la cosa più logica. 

28 Ottobre 1984, in una di quelle rare circostanze, a me particolarmente gradite, che le domeniche seguono la cadenza della tabellina del sette, numero a cui sono affezionato. Dovevo essere a Milano, per la precisione allo stadio San Siro, ad assistere alla partita di calcio. Si giocava la settima giornata del campionato italiano, che proponeva il confronto cittadino fra le due formazioni del capoluogo lombardo. La mia squadra del cuore, il Milan, contro l'Internazionale.
I rossoneri del presidente Giussy Farina, allenati dallo svedese Niels Liedholm, soprannominato “il Barone” imbattuti da sei giornate, affrontavano i "cugini nerazzurri" nella sfida della Madonnina, non solo per decretare la supremazia cittadina in ambito sportivo, ma specialmente per cancellare “l'anno orribile” che ci aveva visto giocare, in serie B. Aggiungete il dato statistico che evidenzia che erano quasi sei anni che non vincevamo un "derby", termine inglese per descrivere la sfida di due formazioni dello stesso territorio, esattamente dal 12 Novembre 1978, grazie al gol di Maldera, unico della partita, ed ecco spiegato il motivo per cui il pubblico era quello delle grandi occasioni.  Lo stadio era tutto esaurito, con relativo record d'incasso al botteghino. Milano non era solo la città da bere, come citava una nota pubblicità, che profumava sempre più di garofano, come aveva sancito l’elettorato, era, anche se solo per un giorno, la capitale del calcio italico.

Dovevo esserci su quelle gradinate. Ma l'organizzazione di quello che sarebbe diventato, negli anni e sotto la mia guida, uno degli eventi sportivi, più bello e seguito, mi aveva bloccato a Mestre, privandomi della possibilità di poter sostenere, la mia squadra, ma avevo ugualmente validi motivi per essere contento.                                                                                                                       

Il cielo azzurro e un sole dall'aspetto "settembrino", come solo il nostro territorio ci sa regalare, erano la migliore cornice al quadro sportivo che stava per essere disegnato. Mai, in precedenza, il Corso del Popolo di Mestre aveva ospitato una manifestazione sportiva di tale importanza. L'afflusso di pubblico fu notevole, riempiendo la via fin dalla tarda mattinata. Non dipendeva certamente solo dal fatto che lo spettacolo fosse gratuito, ma piuttosto dal desiderio di occupare i posti ritenuti più belli e con la migliore visuale. La voce dello speaker, diffusa perfettamente dall'impianto di amplificazione lungo tutto il percorso, scandiva non solo i tempi dello spettacolo, ma specialmente il crescere dell'entusiasmo, nell'attesa di vedere i campioni del pedale esibirsi nella gara in programma.
Le parole, sicure e nitide, avvolgevano il lungo vialone, scandendo ogni passaggio, descrivendo ogni istante senza trascurare il più piccolo dei particolari. La sensazione fu che tutto si stesse svolgendo in pochi metri, mentre nella realtà la lunga via principale della città che ospitava la manifestazione misura più del chilometro necessario alla gara. Approfittai del momento in cui i furgoncini delle ditte sponsorizzatrici distribuivano gli omaggi agli spettatori, in un rituale copiato da altre gare ciclistiche, per salire in una delle Alfa Romeo che effettuavano il servizio di apri pista, precedendo i corridori, per farmi portare nella zona di partenza. Mi fermai davanti all'hotel Ambasciatori, è qui che alloggiavano gli atleti prima del via. Mancava ancora un'ora allo start ufficiale, che prevedeva una serie di intrattenimenti, elencati dall’apposito programma di gara. Risalendo il percorso, perfettamente recintato e protetto dalle transenne in ferro, rimasi esterrefatto da quante persone fossero presenti. Non vi era più alcuno spazio libero, un muro umano da ambo i lati. Ogni più rosea aspettativa era già stata ampiamente superata, mi sentii quindi autorizzato a cercare una radiolina per poter ascoltare i commenti da Milano, dove, nel frattempo la partita di calcio aveva preso inizio.                                         

La "Fossa dei Leoni", cuore della tifoseria milanista, aveva esposto uno striscione diretto e critico: "Castagner e Collovati, Dio fa gli infami e loro vanno accoppiati", per ricordare, in rima poetica, che se il primo, l'allenatore dell’Internazionale, era passato dalla nostra panchina alla loro, senza particolari rimpianti, Fulvio Collovati, il Nostro capitano, aveva abbandonato Società, squadra e tifosi, nel momento peggiore, quando cioè eravamo sprofondati in serie B, per la seconda volta. Ben peggiore della prima, sancita dagli scandali del “calcio scommesse”, poiché questa era la conseguenza dei miseri risultati ottenuti sui campi di gioco. La sua richiesta di giocare con i "malefici cugini" aveva notevolmente aggravato la situazione. La Società lo aveva accontentato, ottenendo in cambio il prestito del trio interista, Canuti, Pasinato e Serena, non dei campionissimi, ma sufficienti per garantire un tranquillo ritorno nella massima serie.
La decisione di Fulvio non era certo stata dimenticata, aveva macchiato la "nostra maglia", dando la sensazione del topo che abbandonava la nave quando stava per affondare. Tutto il mondo calcistico doveva condividere il nostro disgusto e quello striscione doveva esserne l’emblema. Mentre gli atleti della Pettinelli Skyroll, con le loro splendide tute sportive, percorrevano il Corso del Popolo con strani sci muniti di rotelle, in un bianco colpo d'occhio originale e inusuale, Altobelli, soprannominato "Spillo", per il suo fisico filiforme, a Milano, portava in vantaggio l'Internazionale. Il "panzer" Rumenigge, scattato sulla sinistra, metteva in mezzo il più facile dei palloni, con tanto di scritta "spingimi", che l'attaccante interista insaccava in rete con un colpo di testa tanto preciso, quanto semplice. A Mestre la banda musicale aveva già percorso tutto il tracciato ed era ora il turno delle ragazze. Avevamo predisposto una gara al femminile. Personalmente ero scettico non avendo lo sport al femminile, molto seguito.                                                                                                             

Mi sbagliavo, gli applausi del pubblico e il relativo incitamento allontanarono ogni preoccupazione. Tutto funzionava nel modo migliore. Mancava ancora una mezzora alla partenza dei professionisti. Il Milan spingeva, il commentatore radio descriveva una squadra viva, che giocava bene, affidandosi alla regia di Franco Baresi, il "Piccinin". Era lui il capitano, supportato dai "piedi buoni" di Wilkins e di Di Bartolomei. Verza ed Evani garantivano quantità di gioco, mentre per la fase realizzativa si affidavano, prevalentemente, a Pietro Paolo Virdis, “il Sardo” e a Mark Hateley. Il meritato pareggio non tardò ad arrivare e le squadre rientrarono negli spogliatoi per l'intervallo, sul risultato di parità, uno a uno. Ero in perfetto orario, salii nuovamente su una vettura per tornare in zona traguardo.                                                  Il pubblico ora era numeroso anche sui balconi e le terrazze che davano sulla strada. I cronometristi stazionavano nei punti nevralgici del percorso. 
La partenza era fissata sulla rampa del cavalcavia, tutto il tracciato era perfettamente transennato. Ogni cento metri, due tabelle indicavano chiaramente quanto percorso mancava per arrivare al traguardo. Lo striscione bianco, con tanto di sponsorizzazione, era collocato ai cinquecento metri. Non indicava solo metà tragitto, ma specialmente assegnava il premio al corridore che era stato il più veloce su quella distanza. Dall'interno della macchina il colpo d'occhio era entusiasmante. La via era avvolta da una marea umana, davanti al Cinema Teatro Corso erano state installate due tribune e, subito dopo, il palco per le Autorità e le premiazioni. Alzando gli occhi vedevo i balconi di quello stabile aperti, cosa mai successa in passato e gremiti di spettatori. Le forze dell'ordine, in zona traguardo, in numero irrisorio, trasmettevano ufficialità ed importanza all'evento che, conclusasi anche la sfilata della banda musicale, era ormai prossimo a prendere il via. Nelle postazioni di speaker e cronometristi, collocate ai lati opposti del traguardo, si effettuavano le ultime verifiche.                                                         

Non ci possono essere margini di errore nel rilevamento dei tempi e lo striscione rosso, con la scritta "ARRIVO", sanciva lo stop ufficiale alle lancette del cronometro. L'ambulanza pronta, a disposizione per ogni evenienza, nella zona di emergenza che avevamo predisposto dopo il traguardo, così come l'ampia zona di sfogo che si allungava quasi fino all'ingresso di Piazza Barche...                                                                                                                     "La gara ha preso il via, i corridori, uno alla volta, scendono il Corso tenendo il lato destro, cercano di ridurre al minimo ogni attrito con l'aria, ogni secondo può essere fondamentale, mentre il cronometro scandisce il tempo in modo sacrale.                   

Gli specialisti, quei ciclisti che sono abituati a correre su pista o che si lanciano nelle "volate" di fine gara, alla ricerca della velocità e della vittoria, percorrono tutta la distanza trattenendo il fiato, in apnea, come i subacquei, per migliorare il rendimento. Ci vuole solo un minuto e 4 o 5 centesimi per finire la propria esibizione, ma il tempo ha una valenza ben diversa fra chi lo corre e chi lo assiste. Lo speaker ne incita l'impegno e il pubblico li spinge. L’entusiasmo cresce proporzionalmente all’avvicinarsi del traguardo, sembra il rumore dell'ingrossarsi dell'onda del mare, ed i nostri atleti, in posizione aerodinamica, in un tutt'uno con la bicicletta e con il loro abbigliamento sportivo, attillato e colorato, splendidi serfisti.                                                                                                   

Claudio Corti, brillante e simpatico ciclista della Sammontana, Campione del Mondo fra i dilettanti, e per ben due volte Campione Italiano su strada, indossando la bella quanto prestigiosa maglia tricolore, ha appena terminato la sua corsa, ricevendo la sua dose di applausi, Paolo Levorato annuncia il tempo impiegato. Ed improvvisamente, quando l'orologio indica le 15 e 48 di questa quarta domenica di Ottobre, che segue la tabellina del sette, che il gol di Mark Hateley, uno spilungone inglese arrivato in estate al Milan, dal Portsmouth, avvolge di entusiasmo non solo la San Siro milanista, ma anche tutti i tifosi rossoneri che, muniti di radiolina, sono assiepati lungo la via mestrina. Un boato, tanto fragoroso quanto inusuale.           

Nella descrizione del radiocronista, il perfetto cross di Virdis a centro area, aveva visto lo stacco imperioso del nostro attaccante, soprannominato "Attila", sul difensore interista che nulla aveva potuto fare per contrastarlo e il suo colpo di testa aveva indirizzato il pallone alle spalle di Zenga, il portiere meneghino. Nonostante lo scetticismo con cui era stato accolto, il solo fatto di giocare in sostituzione di Luther Blisset, il disastroso attaccante di colore, della stagione precedente, poteva bastare ai tifosi rossoneri.
Con quel gol che sanciva il definitivo due a uno, ne conquistava i cuori. Vittoria e, ironia della sorte, quel difensore impotente alla prodezza dell'attaccante milanista, era proprio colui che ci aveva traditi e abbandonati: Fulvio Collovati. Avrei dovuto essere a Milano, quella domenica invece ero a Mestre, ugualmente contento, anzi, ancora di più avendo l’opportunità di gioire, doppiamente.  Emozioni uniche, irripetibili, impossibile dimenticarne la data.