Fu John Belushi, nei panni del Bluto Blutarski di "Animal House", a pronunciare le parole fatidiche rimaste scolpite nell'immaginario collettivo: "Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare!".
Certe affermazioni andrebbero assunte solo dopo aver letto attentamente le modalità d'uso, come certi farmaci. Il contesto di quel film era, quantomeno, semiserio, se non del tutto farsesco e condito da strafalcioni quali: "È forse finita quando i tedeschi bombardarono Pearl Harbour?". Insomma, Bluto Blutarski non era Garibaldi che invitava Bixio a fare l'Italia o a morire, ma un lazzarone ignorante della più bell'acqua, che nessun rettore serio avrebbe voluto nella sua università. Uno dei suoi stessi compagni, ancora ammaccato per il pestaggio subito dal gruppo studentesco rivale, lo definiva un pazzo, anche se lo faceva nel momento di dargli assolutamente ragione. Gli dava ragione, perché c'era un fondo di verità nelle parole del Belushi-Blutarski.
Anzi, c'è un fondo di verità. In un mondiale, si svolge una prima fase a gironi in cui c'è spazio per tutto, ma poi i valori vengono fuori e va avanti, non tanto chi ha più potenziale, quanto chi è più forte, ovvero chi riesce a sfruttare in pieno il proprio potenziale.

All'inizio, c'è spazio per i suicidi, tentati o realizzati, per le squadre che giocano con piglio garibaldino, che affrontano gli avversari più forti a viso aperto e senza timori reverenziali ecc... 
Quando ormai ci si conosce tutti, però... quando si è preso atto della forza e dei limiti, tanto propri quanto altrui... eh be', allora inizia il calcio vero, quello dell'eliminazione diretta.
Non ci sono più bluff che tengano: o ci sei o non ci sei.

Olanda e Argentina hanno regolato senza particolari patemi USA e Australia, perché la cultura calcistica non si inventa. E' proprio una delle componenti della forza, quella che permette di sfruttare il proprio potenziale, come si è detto. 
Dopo Olanda e Argentina, ieri è toccato a Francia e Inghilterra farsi valere come autentici nonni sulle reclute della caserma calcistica.

A dire il vero, Francia-Polonia era un confronto fra nonni. La Polonia è nazionale nobile, in effetti, quasi come la Francia. La Francia, comunque, ha regolato gli avversari con un 3-1 dal sapore del 3-0, visto che il gol della Polonia è arrivato su rigore con la nazionale transalpina già negli spogliatoi. I galletti non hanno tanto dimostrato di essere i più forti della manifestazione, ma piuttosto hanno confermato di essere quelli che hanno più soluzioni per forzare la cassaforte avversaria, come del resto avevano dimostrato in occasione del 4-1 rifilato ai canguri. Pensiamo a Giroud al centro e Dembelé come una freccia sulla destra.
Soprattutto, pensiamo a Mbappé sulla sinistra come Leao, ma di ben altro livello rispetto al portoghese, almeno per il momento. Lo stesso Rabiot, in cabina di regia, si presenta come un potenziale incursore che aggiunge potenziale offensivo alla squadra.
Aggiungiamo, poi, che Deschamps ha arretrato Griezmann sulla mezza destra esattamente nel ruolo che Pioli sogna da quasi 3 anni per Diaz. Griezmann non solo ha interpretato la parte benissimo, ma è andato addirittura oltre, non limitandosi a ripiegare davanti alla difesa, ma addirittura nel pieno delle meléè dell'area di rigore. Evidentemente, il ruolo di Diaz non è sbagliato, ma è Diaz che, a differenza di Griezmann, non riesce a recitare quella parte. I ruoli non sono mai sbagliati, i giocatori lo sono, a volte. Con Mbappé davanti, comunque, Hernandez è rimasto a fare il quarto di difesa sulla mancina, leggermente staccato in avanti rispetto compagni, come nel Milan. Se mancasse Mbappé, allora Theo Hernandez diventerebbe un'ulteriore soluzione offensiva.

E' stato l'ultimo mondiale di Lewandosky
o, almeno, possiamo presumere che lo sia stato. L'ex-Bayern esce dalla storia della competizione con l'onore delle armi, visto che ha segnato su azione, su rigore e ha regalato un assist a Zielinsky. E' sul viale del tramonto, ma non in disarmo.

Il Senegal ha provato a sorprendere l'Inghilterra nei 20' iniziali, giocando alto e... a viso aperto. E' bastato un buon Pickford fra i pali per smorzare gli ardori iniziali del Senegal, finché i britannici non hanno mandato al tappeto gli africani con eccellenti ripartenze. Gli uomini sulle fasce hanno bucato la difesa in linea di un Senegal troppo sbilanciato a centrocampo per proteggerla. Il reparto africano non è riuscito né a compattarsi al centro né a chiudere sulla fascia. Di lì a prendere gol, il passo è stato breve. Del resto, per garibaldino che tu possa essere, quando Kane gioca per gli avversari che, peraltro, si permettono di tenere gente come Rashford in panca, sono cavoli tuoi anche se giochi a viso aperto e senza timori reverenziali.
Del Senegal ricorderemo la bellissima e variopinta torcida
, a base di colori sgargianti, danze tribali e maquillage da stregoni, oltre che al buon calcio che li ha portati al dentro-fuori degli ottavi. Non è stato poco, visto che noi Italiani non siamo arrivati neanche alla fase a gironi.

Come sanno tutti, tranne Bluto Blutarski, non furono i tedeschi a bombardare Pearl Harbour, ma i Giapponesi, che oggi avrebbero voluto bombardare Zagabria oppure le bellissime Spalato e Zara, cioè eliminare la Croazia dalla manifestazione. Non ci sono riusciti e non hanno molto da rimproverarsi. Sono stati una squadra molto poco sbarazzina e garibaldina. Per tutto il primo tempo e, un po' meno, nel secondo, hanno corso come dannati per rendere densi gli spazi nella propria metà campo. In certe fasi, abbiamo visto anche un effetto alveare, con un nugolo di nipponici che sciamavano qua e là seguendo i movimenti del pallone.
Nei supplementari, dopo il pari per 1-1 dei tempi regolamentari, ne aveva poco anche la Croazia, per cui si è arrivati ai rigori. Qui il Giappone avrebbe potuto giocare la carta della serenità, perché il suo l'aveva fatto. I sudditi del Mikado si sono sciolti come neve al sole, dimostrando una volta di più che la cultura calcistica non si inventa e che non sono ancora abbastanza duri da mettersi a giocare quando il gioco lo diventa. Come componente della forza, la cultura calcistica è frutto dell'esperienza, non solo individuale, ma anche collettiva. Il primo a sbagliare per i nipponici è stato Minamino, che almeno a livello individuale, non è l'ultimo arrivato, ma era inserito nel contesto sbagliato, il Giappone, ed è stato il primo a cedere.
Si parla spesso di lotteria dei calci di rigore, ma i rigori non sono una lotteria, bensì una prova di abilità e freddezza, per cui superare gli avversari in questo cimento è un merito, non un colpo di fortuna.

La Croazia è stata, comunque, deludente nelle punte, Kramaric e Petkovic, che sono stati di una opacità scandalosa. A metà primo tempo il Giappone si era fatto cogliere impreparato con i 4 del reparto arretrato non disposti in linea. I 2 di sinistra erano due passi più avanti, l'uomo al centro lo era di 1 e, forse, era convinto che Kramaric alle sue spalle fosse in off-side. L'ultimo di destra dormiva beato tenendo in gioco il croato. L'accenno di penetrazione di Kramaric ha reso ancora più obliquo l'assetto di questa linea, con i 2 di sinistra che sono rimasti avanzati, l'uomo al centro ha tardato a rientrare, mentre quello di destra si abbassava senza riuscire chiudere. Ci ha pensato lo stesso Kramaric a francobillarsi da sé perdendosi sul più bello: una pena. Il gol è venuto da Perisic, un fior di giocatore, il cui addio all'Inter è stato il miglior colpo di mercato per le avversarie dei nerazzurri. Gosens resta un ottimo elemento, ma Perisic, al di là degli acciacchi di Gosens,  mi sembra di un altro livello.

E Brazile-Corea? Al 12°, la partita era finita, chiusa da un tocco zuccherato di Vinicius e da un rigore di Neymar, sacrosanto, ma frutto della confusione in cui gli assi carioca avevano mandato gli avversari. Alla mezz'ora, Richarlison ha siglato il terzo gol, un capolavoro, almeno se si intende il calcio come una sintesi di individualità e collettivo: spiovente conteso, 3 palleggi di testa, dribbling nello stretto e inserimento in area senza palla. Marquihos e Thiago Silva confezionavano l'assist per il centravanti, che ormai era solo davanti al portiere coreano e realizzava.
Concentriamoci tutti, però, sul quarto gol, quello di Paquetà. Il brasiliano ex-rossonero si trovava in posizione arretrata ed era lì che prendeva palla e impostava la ripartenza (finendo dimenticato da tutti, sfido chiunque a negarlo). Seguiva l'azione senza accelerare, ma anche senza perdere terreno, fino ritrovarsi nell'area coreana a ricevere la scodellata di Vinicius. Mantenendo postura e coordinazione, depositava la sfera nell'angolo. Era quel Paquetà che, appena poco più di 2 anni fa, non trovava spazio nel Milan di Pioli o veniva impiegato a spizzichi e bocconi, non trovando mai continuità. Ricordatevene tutti ogni volta che darete dell'oggetto misterioso o del flop a qualche rossonero che vede (o vede poco) il campo. Nel Milan di Pioli, accade di non giocare anche se sei bravo. Quantomeno è accaduto a Paquetà, un precedente significativo.

Nel secondo tempo, il Brasile risparmiava le forze e lasciava spazio alla Corea che, con gran dignità, siglava un bel gol. Gli asiatici, inoltre, impegnavano più volte Allison. Nella vita, non è importante solo vincere, ma conta anche perdere con onore.
Ribadiamolo, però, ora che il gioco si è fatto duro, i duri hanno iniziato a giocare!