Anche ispirato dal pezzo di Massimo 48 con il titolo “C’è sempre un Dio del calcio”… proprio così caro Ringhio! provo a spiegare i motivi che mi conducono francamente a pensare che Gattuso diventerà uno dei migliori allenatori. E’ chiaro che potrei essere smentito dal tempo e dai fatti, ma attualmente nutro questa forte sensazione e la vorrei condividere con Voi.

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum” dicevano i latini. Quando il Milan ha scelto Ringhio ritenevo fosse un errore. Probabilmente ero influenzato dalle gestioni precedenti di Seedorf e Pippo Inzaghi. Sostenevo che Rino avrebbe potuto rappresentare all’incirca un’opzione simile. Chiaramente la situazione era diversa perché Gennaro aveva già avuto esperienze in più club e in categorie inferiori. Basti ricordare quella di Pisa in serie C e B o la precedente al Palermo. Era stato persino all’estero tra Creta e Sion. Per gli illustri Colleghi, invece, non era propriamente lo stesso. Non a caso, il calabrese fece bene e portò i rossoneri a sfiorare la zona Champions, sfumata soltanto all’ultimo turno della passata stagione, conducendo pure la squadra alla finale di Coppa Italia 2017-2018 dove il Diavolo si arrese alla Juventus anche a causa di una giornata storta di Donnarumma. Durante il percorso compresi, quindi, che probabilmente non ero nel giusto e che avrei dovuto modificare la mia opinione. Non concordai con la decisione di cacciarlo. L’ex centrocampista stava dando vita a un progetto positivo che avrebbe potuto i lombardi a importanti soddisfazioni. La società, invece, optò per una soluzione diversa. Così, pochi mesi dopo e complice l’esonero di Ancelotti, il tecnico si sedette sulla panchina del Napoli dove sta riuscendo in qualcosa di assolutamente importante.

Gennaro cresce a Schiavonea, una piccola frazione in Comune di Corigliano Calabro nella Provincia di Cosenza. Un pezzo di Oltreuomo.com descrive in maniera affascinante quanto poetica l’infanzia del campione. E’ un dipinto talmente rappresentativo da spiegare l’immagine del calciatore e di conseguenza del tecnico. Basti ricordare un semplice episodio che racconta i valori solitamente affibbiati al sud Italia e che ne disegnano una cartolina magnifica. Il padre di Rino militava nel Corigliano che disputò un derby contro lo Schiavonea. Dietro le reti di recinzione del campo si palesò il nonno di Ringhio che, rivolgendosi al figlio, affermò: “Carne venduta”. Pare di rivivere il tempo del Romanticismo quando, durante il corso del 1800, egregi autori rivendicavano il sentimento della Patria. E’ qualcosa di straordinario che l’esistenza contemporanea sta lentamente cancellando. Il mio non vuole essere un giudizio di valore. Non dico che sia corretta né l’una, né l’altra emozione. Apprezzo soltanto la diversa prospettiva e visione della realtà. La citata fonte narra pure un ulteriore passaggio piuttosto emblematico rispetto alla gioventù di Gennaro. Il ragazzo giocava con gli amici sulla spiaggia proprio come fanno i brasiliani e, lì, sostiene di “essersi fatto le gambe”. L’amore di Rino per la Sua Terra è qualcosa di estremamente sentito e si rispecchia in tutti gli ambiti della vita. Basti pensare alla grande sofferenza che ha manifestato per la prematura scomparsa della sorella Francesca. Voi direte: “E’ normale”. E’ vero, ma il suo è parso proprio un amore incondizionato. Il campione sembra esprimere un attaccamento alla famiglia praticamente simbiotico, ma la terminologia dev’essere intesa in senso positivo. Rivela il puro affetto nei confronti di chi è vicino a Lui. Tale impulso emerge anche in ambito religioso e Ringhio non nasconde la fede cristiana che ha svelato pubblicamente anche dopo la conquista della Coppa Italia. Come accennato in precedenza, tutto questo può essere associato alla cultura di determinate realtà socio-geografiche del Nostro Magnifico Paese. Lo affermo con la maggiore ammirazione possibile dichiarando pure che non si tratta di assioma assolutamente inconfutabile. Vivo la realtà Padana che potrebbe essere considerata totalmente diversa da quella in cui è cresciuto Gennaro, ma trovo esempi molto simili anche dalle mie parti. Le latitudini e l’ambiente circostante sono importanti, ma non sono determinanti per una personalità che ha consentito all’uomo Gattuso di fortificarsi durante la lunga e complicata gavetta vissuta pure in Scozia.

Il mio pallone d’oro è rubare più palloni possibili”. Così parlava il tecnico azzurro al Corriere della Sera e credo sia emblematico rispetto a tutta la sua vita. “Lì. Sempre lì. Lì nel mezzo. Finché ce n'hai stai lì. Stai lì. Sempre lì. Lì nel mezzo. Finché ce n'hai. Finché ce n'hai stai lì”. Sono le parole che Luciano Ligabue ripete con grande insistenza nel suo capolavoro, Una vita da mediano. L’intensità e la quantità di volte in cui il cantante proferisce le medesime affermazioni sono ampiamente rappresentative dell’arduo compito di chi è chiamato a interpretare un ruolo calcistico che è metafora della vita. Il pallone moderno ha un po’ cancellato la figura del centrocampista di fatica magnificamente dipinta dall’artista correggese e anche questa modifica viaggia in parallelo con i tempi che corrono. Non serve più un giocatore che “segna sempre poco, che il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco”. Ora è necessario che un atleta sia completo e che sappia rispettare “dei compiti precisi” e “giocare generosi”, ma pure “avere lo spunto della punta o del dieci”. Chiedo venia al genio reggiano se ho tratto ispirazione da molteplici espressioni utilizzate nella sua opera assolutamente monumentale e che non passa mai di moda. Nel gioco d’oggi servono dei “tuttocampisti” e gli incontristi puri come Ringhio sono rimasti merce rara. Questo vale anche nella realtà, dov’è difficile inserirsi se non si ha una particolare duttilità. Tornando a Rino, la sua forza e la tenacia incredibile sono un marchio di fabbrica. E’ tediosamente superfluo ribadirlo. Tutti lo sanno.

La descrizione eseguita non rende il meritato onore a Gattuso e mi scuso se non sono riuscito a raccontarlo nella maniera adeguata al calibro dell’individuo, ma vorrei sostenere come le sue doti si rispecchino nella figura dell’allenatore. Rino sta alla panchina nel medesimo modo di Antonio Conte. Figli di due Terre diverse, ma con la stessa mentalità: la Calabria e il Salento rappresentano fantastiche realtà di una stupenda Penisola. Il lavoro è la base del loro cammino. Gennaro e Antonio plasmano caratterialmente le squadre tanto da renderle loro creature. E’ uno stile leggermente “mourinhano”, ma con una genuinità completamente diversa da quella del portoghese. Non si discute il fatto che gli italiani siano professionisti e non tifosi. A dimostrarlo è proprio la loro carriera. Il leccese è giustamente passato dalla Juventus all’Inter senza troppe remore. Lo stesso vale per il cosentino che ha lasciato il Milan e si è accasato al Napoli. Non si vuole nemmeno sostenere che Josè non abbia a cuore il destino delle rappresentative da lui guidate e abbandonate. Si pensi al costante trasporto che esterna verso l’Inter. Detto questo, pare inutile negare che a volte alcune manifestazioni del lusitano sembrano studiate a tavolino. Si pensi all’affermazione con cui si presentò alla Milano nerazzurra: “ma io non sono p…” o al noto gesto delle manette espresso durante una sfida tra i lombardi e la Samp. Pure Conte e Gattuso riescono a creare il favorevole ambiente del “noi contro tutti gli altri”. E’ chiaro che una situazione così costruita, compatta il gruppo rafforzandone l’attaccamento alla causa e l’identità. I tecnici connazionali raggiungono un obiettivo uguale, ma pare che vi arrivino in maniera meno artefatta rispetto a Mourinho.

Se Gennaro può essere simile ad Antonio nell’aspetto psicologico di gestione della squadra, risulta più vicino a un altro grande allenatore italiano per quanto concerne la visione tattica. Il riferimento è ad Allegri. L’opposto del sarrismo. Rino ha impedito alla Juve di segnare con la medesima arma che utilizzava il livornese: solidità. Qualcuno si potrebbe appellare al noto “catenaccio” e non lo trovo svilente. Nel calcio, come nella filosofia, esistono scuole di pensiero contrapposte, ma la verità è soggettiva. Nessuna dispone dell’idea corretta a prescindere. Sia durante l’avventura milanista che in quella partenopea, mi pare che il calabrese abbia mostrato lo stesso tipo di canovaccio. Le sue compagini sono dotate di grande compattezza fino a creare un muro, per quanto possibile, invalicabile e sfruttare le doti del singolo non disdegnando la transizione. Come Max, è anche in grado di lavorare sul possesso senza dover forzatamente verticalizzare o presentare il “calcio spettacolo”. Un’analoga impostazione facilita notevolmente la vita a presidente e dirigenti perché è sufficiente porre a disposizione del mister giocatori di buona qualità e l’allenatore riesce ad adattarsi perfettamente a qualsiasi tipo di atleta. Non ha la necessità di trasferire particolari concetti facenti capo a un credo piuttosto complesso, ma non per questo risulta meno vincente. Anzi … A parte Allegri, si pensi al Cholo Simeone o, per certi versi, pure a Zidane. E’ chiaro che, considerare il Real Madrid come una squadra che si affida sovente ai contrattacchi, assomiglia a una bestemmia calcistica. Non affermerei mai una simile teoria. Voglio intendere che il francese non è un tecnico vicino a Guardiola o Sacchi bisognosi di un’impalcatura particolarmente ricercata per riuscire nei loro intenti.

Giustamente penserete: “Questo non è sufficiente a dimostrare che Gattuso diventerà un grande allenatore”. Ne sono consapevole. Servono i risultati. Quelli ottenuti con Milan e Napoli rappresentano un crescendo rossiniano che potrebbe diventare realmente importante. Non credo che, allo stato dell’arte, si possa domandare a Rino di vincere lo Scudetto. La squadra ha mostrato di avere tutte le carte in regola per giocarsela con le migliori rivali del calcio italico e pure di sconfiggerle, ma la distanza dalla vetta impone ragionamenti obbligatori. Questi pensieri inducono alla conclusione per cui servirebbe un autentico miracolo quasi impossibile da centrare. Difficile immaginare pure che gli azzurri trionfino in Champions. Qui, però, la situazione è piuttosto diversa perché si riparte tutti alla pari. I campani hanno già documentato di poter impensierire i top club europei. Hanno sconfitto i campioni uscenti del Liverpool e posto in estrema difficoltà il Barcellona. E’ chiaro che superare il turno nella sfida con i blaugrana non sarà impresa facile. L’1-1 del “San Paolo” pesa come un macigno, ma il calcio attuale potrebbe regalare qualche sorpresa. Se mai fosse raggiunto tale importante obiettivo, una manifestazione che si disputerà con una final eight su campo neutro lascia aperta ogni prospettiva. In ogni caso, non credo si possa richiedere a Ringhio un altro trofeo stagionale dopo la Coppa Italia e diventa impegnativo pure pensare a una qualificazione alla prossima massima competizione continentale per club, considerata la distanza di 12 punti dall’Atalanta, quarta. Il pensiero, però, è rivolto alle prossime annate. Con un top club come il Napoli, Gattuso potrebbe regalare enormi emozioni.