Ora lo sento. Oggi è davvero molto forte. E’ il “rumore dei nemici cui spesso ha fatto riferimento Mourinho e che, in uno strano scherzo del destino, è stato mosso proprio da una sfida con la sua Roma. La Juventus fa paura e il frastuono che ronza intorno a lei segnala tale piacevole realtà. Ho ascoltato, con riverente attenzione, il podcast di Sconcerti su Calciomercato.com. Sostiene che la Vecchia Signora non sia mai andata via e mi trova pienamente d’accordo. Si è soltanto assentata come in un anno sabbatico. Mi pare, poi, ritenere che Allegri stia nascondendo le difficoltà di una compagine con un gioco troppo difensivista. Questa volta non sono in sintonia. Credo che, da poco più di 12 mesi, in tanti abbiano compiuto un errore da matita rossa. Si tratta della sottovalutazione dei bianconeri. Non posso nascondere che, per molti, le recenti debacle sabaude abbiano rappresentato una grande speranza e, forse, ciò li ha tratti in inganno. È come quando si attende l’estate che non arriva mai. Allora, appena la temperatura si alza di qualche grado, si gettano i maglioni e ci si stende al sole. Tuttavia, ci si accorge che il fresco è ancora sgradevole così, con un filo di dispiacere, si indossano nuovamente i vestiti. Non voglio affermare che ciò valga anche per l’esperto giornalista. Lui è super partes e molto preparato. Il riferimento è a tanti tifosi che guardano il pallone e, a volte, si lasciano prendere dal calore dell’amata squadra. Succede anche a me.

Partirei dalla goccia che ha fatto traboccare il vaso. E’ il 42’ di Juve-Roma quando Chiellini perde la sfera in uscita spedendo Abraham verso la porta di Sczcesny. Dopo un contatto tra Danilo e il romanista, la palla giunge sui piedi di Mkitharyan che viene colpito dal portiere polacco. L’armeno, cadendo, schiaffeggia con la mano l’attrezzo nella direzione di Tammy che segna a porta sguarnita. Orsato fischia il penalty nel momento in cui l’estremo difensore della Juve commette infrazione sull’attaccante giallorosso. Non ho alcuna intenzione di proporre una moviola già vista in molte occasioni. Non posso, però, esimermi dall’analizzare i fatti. L’errore dell’arbitro veneto è palese. La spiegazione data nell’intervallo ai giocatori di Mourinho non sembra reggere. Il direttore di gara sostiene che, sul calcio di rigore, non si conceda il cosiddetto “vantaggio”. Non pare sia così. La realtà è che non avrebbe dovuto interrompere l’azione quindi la sua imprecisione resta. Sbagliando, però, potrebbe avere adottato la scelta giusta. Tutto dipende dall’intervento di Mkitharyan. Se il suo assist malandrino si fosse considerato volontario, il gol di Abraham sarebbe comunque stato annullato. Qui si apre un capitolo che rischia di non avere fine. In un primo momento, si resti sulla stretta norma. Il calciatore, in tuffo, colpisce nettamente la sfera con la mano. Questa, diretta verso un determinato punto, cambia completamente traiettoria andando in un altro luogo in cui, guarda caso, si trova proprio Tammy. È particolare perché la pacca, non voluta, non sbaglia di un centimetro. Allora, credo a tutto, ma non vorrei davvero eccedere nel buonismo. Ritengo che la palla avrebbe potuto andare in ogni direzione e, invece, viaggia proprio alla volta di quella più vantaggiosa per la Roma. A mio modo di vedere, l’attaccante cerca la “furbata”. Nel 2021 con il Var, un simile gesto, normale fallo di gioco, sarebbe comunque stato sanzionato. In tanti, però, ritengono il contrario anche tra gli alti esponenti mediatici. L’enigma non sarà mai risolto. Perché? Nessuno era nella testa del giocatore giallorosso. Solo lui può sapere se il fallo di mano sia cercato o meno. Vi rendete conto di quanto è assurda questa regola? Mi chiedo come si possa ancora parlare di volontarietà o involontarietà! Si vive l’epoca in cui, tramite la tecnologia e con un eccesso di oggettività, si spulcia il millimetro di fuorigioco, poi, si lasciano altre situazioni alla completa valutazione personale del singolo individuo. È contraddittorio, no? In ogni caso, il finale è noto. Sczcesny ha parato il rigore di Veretout.

Finita? Macché! Il penalty avrebbe dovuto essere ripetuto. È vero. Troppi calciatori erano in area di rigore prima che il francese calciasse il pallone. È vietato. Il problema è che questa scena si è vista anche durante Lazio-Inter del giorno precedente. Antecedentemente al tiro di Perisic, poi terminato in fondo al sacco, colleghi vestiti di nerazzurro e biancoceleste stavano già occupando lo spazio inibito. Lo stesso è accaduto poche ore dopo in Milan-Verona. Kessie è andato dal dischetto con tanti giocatori all’interno del perimetro da non violarsi. Un errore non può essere giustificato da altri cento. Sono il primo a sostenere tale tesi. Il problema è che non ho udito alcuno recriminare, se non per il fatto accaduto durante Juve-Roma. Purtroppo, mi sembra che si assista a simili situazioni troppo sovente. La mancata ripetizione del tiro dagli undici metri assomiglia, ormai, a una consuetudine tacitamente accolta che pare superare la norma. Non è ora di riscrivere anche quella regola?

I fatti hanno scatenato un putiferio ripristinando le antiche correnti che, forse, non si vedevano dal periodo precedente la pandemia: juventini contro antijuventini come guelfi e ghibellini o Montecchi e Capuleti. Qualcuno penserà che mi debba levare anche io la maglietta. Potrebbe essere vero. Non posso sapere se, nel caso in cui quanto è capitato ai giallorossi fosse successo alla Vecchia Signora, avrei pensato in egual modo. Sono un tifoso pure io, ma la situazione mi sembra alquanto evidente. Ciò detto, anche ammettendo che i capitolini siano stati “defraudati” del pareggio, il discorso non si modifica di una virgola. Gli attacchi sono stati tanto, troppo feroci. Ora devo affidarmi alla buona fede. Mai crederei in una compensazione anche se esiste chi ha pensato pure a tale possibilità. Insomma, inutile nascondersi, quando un fatto crea enorme indignazione e ci si ritrova in una situazione dubbia con un medesimo protagonista, diventa più complicato andare nella stessa direzione. Occorre avere le spalle molto larghe e le prossime gare nostrane della Juve, a partire dal derby d’Italia di domenica, saranno un grande banco di prova per gli arbitri. Se sbaglieranno a favore dei bianconeri, il polverone diventerà un uragano e, nel caso contrario, si penserà alla dietrologia. Insomma, non vorrei essere designato per il match del “Meazza”. A scanso di equivoci, se fossi un dirigente sabaudo, cercherei subito di smorzare i toni intervenendo mediaticamente. Occorre fermare la pallina prima che scenda lungo il piano inclinato e raggiunga una velocità indomabile. Forse sembrerà di salire inutilmente su un toro meccanico ma, in realtà, credo che il silenzio sia peggiore. In questo calderone, serve difendere il lavoro della squadra e far sentire che si è pronti a non subire passivamente certe contestazioni. Sono indirizzate ad altri, ma hanno uno sgustoso retrogusto. Questo si può fare anche senza esporsi con la stampa, ma nelle apposite sedi. Insomma, in maniera più diretta.

Si passa, quindi, al discorso tecnico e si ritorna nell’antica diatriba tra risultatisti e giochisti. Non esiste un modo unico per vincere. Ci sono soltanto tante maniere di raggiungere un obiettivo. Guardiola trionfa con l’estetica applicata al calcio. Allegri lo fa con la pratica. Credo che tale discussione sia talmente logora e frusta da avere stancato molti, ma occorre farvi ancora riferimento. Il City sconfigge le rivali creando 100mila occasioni in ogni gara. La Juventus le supera con una gigantesca solidità difensiva. Senza parlare di Machiavelli, l’esito è il medesimo. Cosa serve realmente per essere forti? Un’identità ben precisa che sposi un determinato status mentale. Sarri avrebbe potuto trasformare la Juve in qualcosa che non è, ma gli sarebbe servito un tempo che, forse, non era concedibile ad alcuno. Alcuni meccanismi tattici erano entrati a forza nel DNA, ma psicologicamente la squadra non era pronta al salto e, forse, le alte cariche erano troppo affezionate al vecchio generale. Si erano fidate dei loro ufficiali, ma non erano pienamente convinte. Pirlo, invece, vantava idee molto interessanti. Mancava, però, dell’esperienza e del carisma adatti per porle in pratica a certi livelli. Il bresciano ha sciolto la squadra come un gelato al sole di agosto. Andrea Agnelli, che nel momento per lui più ostico pare avere preso il timone ancora con maggiore energia, ha rimesso il fido generale al suo posto separandosi da Paratici. Probabilmente, l’emiliano cercava il nuovo corso. Allegri sta spostando le macerie per ricostruire una compagine che ha fondamenta solide. Sconcerti tratta dei “capitani della difesa”. Penso che il riferimento sia a Bonucci e Chiellini. Non è poco. Dietro di loro sta crescendo un De Ligt che non ti aspetti. Lo vedevo in grande difficoltà tanto da dubitare, ormai, delle sue reali potenzialità. In poco tempo sta riprendendo le stigmate del campione tanto che, contro la Roma, in alcuni casi l’ho rimpianto. Parlo dell’uscita errata di Giorgione che resta, comunque, incriticabile. Mi scuso per la lesa maestà. Locatelli è un centrocampista favoloso. Può giocare come play o come mezz’ala e, anche quando non si vede, dona un equilibrio determinante. Si sta prendendo la Juventus. Al momento, il protagonista più importante è proprio Manuel. Non a caso non entra mai in alcuna rotazione e nemmeno nei cambi. È sempre in campo. Il recupero di Arthur potrebbe essere determinante per aumentare il tasso qualitativo e fosforico. Nel momento richiesto, può risultare pure l’uomo in grado di congelare il pallone. In attacco ci sono interpreti come Dybala, Chiesa e Morata. Anche Kean vanta numeri da bomber. Nella passata stagione parigina segnò 19 gol in 45 presenze raggiungendo la doppia cifra in Ligue 1 su 26 gare. Nell’attuale serie A ha già firmato 2 centri in 6 match. Bisogna considerare che non si tratta di titolare fisso e molte di queste apparizioni non sono composte da 90 minuti. Resta l’oggetto misterioso Kajo che, contro il Toro, ha stuzzicato la mia fantasia con 10 minuti favolosi. Lo vorrei rivedere.

La partita contro la Roma non è stata devastante. Ne sono consapevole. Mourinho ha messo in grave difficoltà la Juventus. La verticalità dei giallorossi, con uomini come Zaniolo, Mkitharyan, Pellegrini e Tammy, è stata una spina nel fianco della fase di non possesso bianconera, favorita in altre occasioni, contro il Chelsea, dal gioco orizzontale. La frenesia posta in campo dai capitolini è stata seguita dagli uomini di Allegri andando ad arrecare danno al loro stesso castello difensivo. Insomma, se questa partita dovesse essere rigiocata 10 volte, in 5 occasioni si pareggerebbe e in altrettante, forse, vincerebbe la Lupa. È andata bene! E ciò può ripagare la Vecchia Signora di sconfitte immeritate come quella contro il Napoli. Ma il calcio è cieco. Fortunatamente, non esiste compensazione alcuna. Nella citata sfida con i Blues e in quella con il Torino, però, la Juve aveva fornito altra impressione ed era accaduto pure nel precedente match di Coppa con il Malmoe. I piemontesi non avevano mai rischiato. Poco importa se le occasioni create non erano state tante. Nel momento in cui si è talmente solidi da non subire enormi pericoli, allora il risultato è raggiunto perché con i campioni a disposizione è difficile non siglare almeno un gol. L’analisi di Sconcerti non mi trova d’accordo quando afferma che questo tipo di calcio serva per la “sopravvivenza”. No, questa è l’identità che la Juventus sta finalmente ritrovando. È quella che ha permesso di sfiorare due volte il triplete: nel 2015 e nel 2017. È la stessa dei piani perfetti in Champions. I sabaudi non giocano male, ma hanno un modo loro e vi leggo sopra un marchio di fabbrica ben stampato a caratteri cubitali “Max Allegri DOC”.