Non si può avere la forza senza debolezza, non si può avere la luce senza buio, non si può avere l’amore senza perdita”. In questa frase di Jodi Picoult c’è tutto quello che si sta attraversando nel calcio e anche nell’esistenza. Gli opposti sono mondi completamente diversi che, sperimentati, consentono di comprendere le emozioni. Quante volte è capitato? A me tante! Pensavo che non fosse un buon momento, poi è accaduto qualcosa di peggiore e ho invidiato il passato. Lo stesso è valso per il contrario. Ho detto: “Beh dai, non è poi così male!”. In realtà, ho sperimentato che il cambiamento era per me molto agevole. Se non avessi il confronto, però, non saprei mai ciò che sto provando. Come si potrebbe definire il nero senza il bianco? Sarebbe impossibile. In che modo potrei descrivere il giorno se non esistesse la notte?

Così il pallone sta vivendo un periodo da cui emerge il suo meglio e il peggio. Nulla è oggettivo. Ciò di cui tratterò, quindi, sarà sicuramente una percezione personale. Penso, tuttavia, troverà qualche condivisione. Ahimè occorre, ancora una volta, partire dal covid. Tutto è cominciato da lì. Avete presente il Butterfly Effect? Il battito d’ali di una farfalla a Singapore può avere conseguenze devastanti a New York. E’ parte della Teoria del Caos. Un evento di minima portata, tramite una scala di reazioni, è in grado di comportare situazioni inimmaginabili. Con ciò non intendo naturalmente affermare che il virus, capace di bloccare il mondo, sia paragonabile al movimento di un piccolo animale. Ma è innegabile che abbia prodotto esiti anche impensabili. La Superlega, signori, arriva dal SarsCov2 che ha generato una crisi economica a cui si è risposto accelerando lo sviluppo di situazioni già in embrione. Nessuno percepiva che tale progetto potesse avere un tempo di esecuzione tanto rapido. Sono convinto che pure questo abbia contribuito a determinare la mancanza di accordo tra le parti. E’ noto a tutti, infatti, che il calcio necessiti di cambiamenti. Così non si può andare avanti. E’ un sistema fermo da troppo tempo mentre il mondo viaggia a velocità supersonica. Bisogna stare al passo. Agnelli tratta spesso della necessità di soddisfare le attrattive dei giovani, quella che è chiamata Generazione Z. Sono i ragazzi tra i 12 e i 21 anni. Saranno la nuova classe dirigente. La terra sarà pure nelle loro mani e, se non ci si adatta al modo di vivere a cui sono abituati, si rischia di finire nel dimenticatoio rimanendo tagliati fuori. Il pallone è parte della cultura ma, se non rimane componente fondamentale del tempo libero di tali individui, il pericolo è di perdersi nei meandri del futuro. Il messaggio è chiaro. Direi lampante. Budda afferma: “Se tiri troppo la corda di una chitarra la romperai, ma se la lasci troppo allentata non suonerà. La strada dell’Illuminazione sta nella via di Mezzo. È la linea che sta tra tutti gli opposti estremi”. Sono un fervente sostenitore della “via media” e, pure in questo caso, resto della mia idea. Non si può pensare di modificare un sistema in base alle esigenze di un determinato tipo di buyer personas che, probabilmente, non è nemmeno il principale. Esiste, infatti, una serie infinita di gente, oltre la ventina e sotto la decina, che con grande probabilità non apprezzerebbe una enorme rivoluzione. Quando penso, per esempio, all’idea di accorciare una partita, mi pare assolutamente eccessivo. Questo sarebbe nell’ottica di facilitarne la fruizione abbassando i tempi morti. In effetti, recentemente, Pioli ha affermato che, durante Juve-Milan, si è giocato circa 48 minuti. Su 90 e recupero sono davvero troppo pochi. Non aggiusterei la situazione, però, tagliando i match, ma fischiando meno e lasciando più spazio ai contrasti. Occorre, poi, essere più rigidi con le varie malizie atte a far trascorrere i secondi. Parlo soprattutto di raccattapalle che spariscono nel momento in cui la squadra di casa è in vantaggio o di giocatori che impiegano mezz’ora per essere sostituiti. Il ritmo più alto gioverebbe sicuramente allo spettacolo e renderebbe il nostro pallone maggiormente adatto agli standard europei. Se ci si diverte, un’ora e mezzo vola.

In tale ottica penso ai diritti televisivi. Non voglio soffermarmi sulle singole società e sulle varie discussioni del momento. Non è lì il punto. Il tema è quello della fruizione. Vi parlo dalla pancia della società. Sono un semplice tifoso. Non tratto da addetto ai lavori. Un sabato di fine estate si è disputata la sfida tra Juventus ed Empoli. La “mia” Vecchia Signora giocava e al contempo ero invitato a una cena a cui avrei voluto tanto presenziare. Sino alla passata stagione, avrei dovuto scegliere e, con ogni probabilità, la decisione sarebbe caduta sul pallone. In questo caso, ho potuto compiere sia l’una che l’altra attività recandomi in birreria con la tecnologia. Lo stesso è accaduto in occasione del lunch match tra i bianconeri e la Samp. Penso succederà pure nel prossimo weekend quando mi recherò allo stadio per vedere Sassuolo-Inter. Dovrò sicuramente partire prima del termine del derby della Mole così chiederò a un mio amico, non fervente sabaudo, di guidare e mi guarderò la partita in auto. Mi direte che le medesime agevolazioni vi erano pure nella passata stagione tramite una nota app di un altro broadcaster, ma Dazn nasce proprio con lo streaming come canale di base. E’ un’idea geniale. E’ un bacio sulla guancia dell’appassionato, una copertina calda e una coccola dolce, ma si devono possedere gli strumenti adeguati. In Italia, le persone possono avere quegli standard? Perché anche il servizio che fornisce Sky ha una qualità eccellente.

Ecco, la Superlega si instaura in questo quadro. Serve a rendere il calcio più attrattivo con lo scopo di aumentare il ricavato dell’impresa. Nella teoria dei suoi fautori vi è un implemento degli scontri tra top club come Real Madrid-Psg o Chelsea-Barcellona. Questi big match, disputati con continuità, avvicinerebbero il grande pubblico. Alla lunga, però, finirebbero per stancare? Può essere. Ma, al momento, sono davvero rari. Anche in questo, probabilmente, occorre una via media. Il progetto dovrebbe quindi contemplare una simile ipotesi. Il mio piatto preferito è la pizza. Se la mangio tutti i giorni, mi stufo. E’ meglio limitarsi a una o due volte la settimana. In ogni caso, non va dimenticata la meritocrazia che è il pane dello sport. Non può esserci un torneo eccessivamente ermetico e votato a un’élite. Al di là di tutti i discorsi retorici legati al valore dei risultati, occorre considerare che la ripetitività è l’anticamera della noia. Con qualche modifica rispetto alla chiusura iniziale, la Superlega non è un’idea da gettare nel cestino. Soltanto che, come tutte le proposte, deve trovare la quadra ed è necessario farlo in armonia tra le parti. Dove vi è discordia non si può raggiungere alcun risultato. Se confrontato alla richiesta di dialogo dei club, l’atteggiamento di muro mostrato dall’Uefa certamente è particolare. Non voglio pensare male, ma tale comportamento non fa sicuramente pendere la bilancia verso Nyon. Perché mai Ceferin e colleghi si oppongono fermamente al colloquio atto a cercare di risolvere i problemi delle società che rappresentano? Avranno mica la coda di paglia? Non intendo nemmeno immaginarlo e continuo a domandarmi i motivi di una tale avversione. Vedremo quale sarà la decisione della Corte di Giustizia Europea e se le posizioni così distanti si riavvicineranno. La speranza è quella per cui tale freddezza sia parte della tattica dello scontro. Una volta giunta la sentenza e chiusa la pratica nell’una o nell’altra direzione, si auspica che le parti scenderanno a più miti consigli. In caso di vittoria della federazione, forse, onde evitare di non disputare le coppe o simili sanzioni, i 3 club proveranno a rientrare nei ranghi accettando pene inferiori e accantonando il progetto. Nell’ipotesi contraria, invece, all’Uefa converrebbe sedersi al tavolo con i vincitori e trovare una quadra in ottica Superlega per non essere estromessa dalla élite del pallone. In tutto ciò, però, rischia di rimetterci il tifoso che si immagina un calcio in cui la sua compagine non potrà avere grandi ambizioni europee perché sanzionata o non parte di un gruppo privilegiato.

Questa “Guerra del Grano” è comprensibile perché il covid ha completamente prosciugato il minimo di linfa vitale rimasto, ma fa da contraltare a ciò che è chiamato “calcio romantico”. Non esiste alcuna definizione di tale concetto. Tuttavia, ciò a cui mi riferisco è chiaro a tutti. Dalla Superlega al pallone pane e salame. Penso al dilettantismo, ma soprattutto agli amatori. Quanto è fantastico ritrovarli! Meraviglioso. Oddio, anche in quelle serie non è solo rose e fiori. Basti pensare all’accaduto di Oleggio Castello-Carpignano dove un componente della panchina di una delle compagini ha rifilato un pugno al volto del giovane direttore di gara. Non voglio nemmeno commentare l’accaduto perché, in nessun luogo, deve esserci spazio per una simile situazione. Un campo da calcio, un posteggio o scene che, purtroppo, abbiamo osservato in luoghi di giustizia, ospedali e in qualsiasi settore della quotidianità e che non dovrebbero mai accadere. Immagini raccapriccianti. Basta il codice penale. Tali categorie, però, sono favolose e, nel calcio ovattato della pandemia, ho sentito pesante l’assenza. Pure io gioco, con scarsi risultati personali, in una squadra di paese che, tra l’altro, quest’anno sembra particolarmente rafforzata. Amo l’idea di trascorrere due serate la settimana e qualche sabato pomeriggio dedicandomi completamente al mio sport preferito. Abito sulle prime colline reggiane e vorrei soffermarmi un momento a descrivere il piacere.

Come mi è già capitato di sostenere in altri pezzi, occorre conoscere l’ambientazione per comprendere l’essenza del discorso. Vivo a una ventina di chilometri circa dalla Città che è facilmente raggiungibile anche se il traffico rende quel tragitto piuttosto insostenibile. Dalle mie parti si è pendolari o si opera presso esercizi atti a soddisfare il vicinato oppure si presta servizio nelle medie e piccole imprese di zona. Sono tanti piccoli paesini separati da qualche chilometro di curve. Tra le località limitrofe, i coetanei si conoscono più o meno tutti. Molti nutrono passione per il calcio. In alcuni è smodata, in altri meno. Anche questi, però, magari guardando una gara alla settimana o forse nemmeno quella, si prendono la briga di mettersi le scarpette ai piedi e trovarsi per giocare. Alcuni risultano persino più bravi dei colleghi che, come il sottoscritto, non si perdono neanche un match dei professionisti. Ogni “villaggio” ha la sua squadrina amatoriale e le zone con maggiore densità o, soprattutto, i centri economici principali vantano pure la compagine di categoria. Quest’anno siamo inseriti in quello che potrebbe essere definito un “girone della montagna”. In realtà, il mio paese non è tale. Siamo appena a 200 metri di altitudine, ma è considerabile come la porta per la salita. Sono, infatti, in un’area che è ponte tra la pianura e i rilievi. Una situazione mediana che, forse, rappresenta perfettamente la mia anima. Lo sapevo che il paesaggio in cui si vive influenza l’indole… Battute a parte, francamente mi sento più vicino ai sentimenti della Bassa piuttosto che al credo della Montagna. Gli abitanti di quest’ultima hanno un forte legame per il posto in cui risiedono. D’altronde, pur di rimanervi, sono disposti a enormi sacrifici in termini di viaggi. Nel pallone questo si trasforma in grande senso di appartenenza e di tenacia che, a volte, può sfociare in atteggiamenti molto competitivi. Non ricordo, fortunatamente, scene raccapriccianti come quella di cui sopra. Ma ho splendide immagini di tifo, passione e amore anche durante gare francamente inguardabili.

È bello pensare che finalmente tutto questo potrà tornare. È stupendo immaginare che nuovamente dovrò lavare gli scarpini intrisi di fango. È magnifico fare e rifare lavatrici nel tentativo di smacchiare i pantaloncini e i calzettoni sporchi di terra dopo un allenamento. È bello rivedere qualcuno che beve il caffè e la bibita energizzante del prepartita. È francamente inutile perché scontato, invece, parlare della pizza del post. È favoloso entrare in campo per affrontare determinate sfide e, nonostante la discreta scomodità di dover girare l’Appenino, sono felice di essere inserito nel girone della montagna perché l’idea di poter visitare tutte quelle borgate mi affascina. Voglio entrare nel loro intimo, desidero osservare il campo, lo spogliatoio, respirare l’aria di luoghi che trasudano di cultura. Immaginatevi di giocare su un prato con lo sfondo della Pietra di Bismantova citata da Dante nella Divina Commedia. Che spettacolo! Sento già gli odori e vedo i colori offerti da quei luoghi. Fortunatamente, più di un match sarà di sabato pomeriggio che penso sia il momento maggiormente indicato per dedicarsi a un simile tipo di attività. Comprendo che vi è chi lavora, ma non è la maggioranza, e capisco pure che sia una rinuncia per chi, invece, dovrebbe pensare alla famiglia. Ma si tratta di qualche ora. È una manciata di minuti in cui si prova a emulare il professionista. Si ponga che vi sia una trasferta con fischio d’inizio alle 15.00. Alle 12.00 si mangia un piatto di pasta scondita… Beh dai vabbè… un minino di sugo è accettato. Alle 13.15 ci si trova al bar. Si dà luogo alle attività già descritte. Si sale in auto e si passa alla magia. Poco dopo le 14.00 eccoci al campo. Si entra e, come i campioni, si cammina un po’ sul terreno per conoscerlo. Si prova a rapportarsi con lo stesso e le sue misure. È fondamentale. Ci si cambia. Inizia il riscaldamento e, poi, finalmente la partita. Alle 17.45 si è già a casa. “L’attesa del piacere è essa stessa il piacere” diceva Lessing. È difficile che il gioco risponda positivamente alle aspettative nutrite. Come risvegliati, si torna sulla terra. Si comprende che tra me e Dybala non vi è nulla di identico. Né il numero sulla maglia, né il mancino. Quest’ultimo ci accomuna, ma lo usiamo in modo molto diverso. Se la squadra vince, si dimenticano le gaffe. Il retrogusto amarognolo resta, ma è sovrastato dal sapore dei 3 punti. Altrimenti, almeno sino all’uscita serale, la delusione rimane.

Ecco, tutto questo è l’alter ego della Superlega. Anzi, no! Quel torneo potrebbe essere anche una benedizione. È l’opposto delle battaglie che essa genera nei Tribunali. Signori, è necessario non dimenticare le origini. Il pallone è nato pane e salame. Poi è diventato ostriche e champagne. Non sono mai stato un fautore del calcio romantico, ma gli eccessi dell’ultimo periodo mi stanno letteralmente gettando a terra. Sono stanco! Stufo! Comprendo che sia un fondamentale momento di transizione verso una nuova era, ma non lo si faccia diventare uno strazio altrimenti si raggiungerà il paradosso per cui, invece di avvicinare la gente, la si allontanerà. Capisco le esigenze, ma non si tiri troppo la corda. In caso contrario, si strapperà. Serve sempre morigeratezza. Ah… a proposito… sabato per assistere a Sassuolo-Inter, come vecchio abbonato, pagherò 40 euro in un settore di medio valore. Chiedo a voi, considerato che non è un’occasione one-shot come un concerto di un cantante top, non è una cifra un tantino elevata? Non siamo in un momento in cui il denaro circola come un fiume in piena. Eppure, il pubblico ci sarà e abbondante. Poi leggo di Klass Jan Huntelaar che, abbandonato il calcio professionistico, decide di non smettere definitivamente, ma di tornare a livello praticamente amatoriale e penso che l’anello di congiunzione sia ancora raggiungibile. Siamo sullo stesso mondo. Basta volere il medesimo obiettivo.