Non c’è più spazio per te! Sei vecchio! Sei superato! Hai fatto il tuo tempo!”. Il mondo di oggi va a una velocità stratosferica. “Tutto scorre” diceva Eraclito e attualmente lo fa in maniera ancora più rapida. Basti osservare le nuove tecnologie. Si modificano in men che non si dica. Si aggiornano in un amen. Avrò sempre questo ricordo ben fisso nella mente. Svolgevo volontariato insieme a altri “colleghi”. Assistevo alcuni ragazzini. Frequentavano le scuole medie. E’ chiaramente un’età molto particolare della nostra vita. A un certo punto ho notato uno di questi che ha iniziato a prendere a calci il suo cellulare. Gli ho domandato cosa lo motivasse a un gesto tanto “sciocco” quanto inutile. La sua risposta è stata che quel telefono glielo aveva donato suo nonno e che era troppo vetusto per lui. Ho provato un misto di tristezza e rabbia che mi ha riempito l’anima. Ricordo che non sono riuscito nemmeno a rimproverarlo. Semplicemente ho taciuto di fronte a quel disprezzo. E’ trascorso ormai parecchio tempo e ancora rimembro l’evento con malinconia. Penso alla persona, quasi certamente anziana, che magari si è privata di qualcosa a cui teneva per donarlo al nipote. Lo ha fatto con il cuore. Ma evidentemente questo atto non è stato recepito. Ecco, voglio scrivere un pezzo un tantino melenso. Lo so. Ma oggi va così. Anche nel calcio manca la riconoscenza. E’ un sentimento raro come una rosa in mezzo a una radura di cemento. E’, invece, qualcosa che ritengo sia assolutamente prezioso.

Guardo in “casa mia” e con questo intendo la Juventus. Odo miriadi di critiche a Max Allegri. Il suo ritorno, fino qualche mese fa osannato da molti, oggi è criticato dai più. Il riferimento è chiaramente ai tifosi bianconeri. Il motivo principale è quello per cui le idee del toscano siano superate e non possano più condurre a risultati vincenti. Il livornese è rimasto sulla panchina sabauda per ben 5 stagioni portando a Torino altrettanti Scudetti, 4 Coppa Italia e 2 Supercoppe Italiane. A ciò ha aggiunto due finali di Champions, ahimè perse, ma che male non fanno. Non tutto, però, si può racchiudere nei successi. La vita è fatta pure d’altro. Se ci basassimo solo sui risultati, dovremmo cancellare dal pianeta almeno metà della sua faccia. Credo fortemente nei sentimenti e nelle emozioni e allora penso alla storia tra Max e la Vecchia Signora. Nel luglio 2014, Conte ha abbandonato la sua truppa e il suo successore è sbarcato in Piemonte tra lo scetticismo generale. “Noi Allegri non lo vogliamo” era il refrain che accompagnava il pullman della squadra immediatamente dopo l’arrivo del tecnico sotto la Mole. Massimiliano ha risposto con l’umiltà. Sapendo che giungeva da un periodo negativo vissuto al Milan, non ha sfiorato il tema dell’avversione nei suoi confronti. Con estremo coraggio ha sentenziato di disporre tra le mani di una grande squadra che avrebbe dovuto raggiungere almeno i quarti di Champions. Ha rassicurato l’ambiente e fatto parlare il campo sfiorando un triplete. Testardi come non mai, i supporter juventini non hanno smesso di cercare il pelo nell’uovo pur di contestare la nuova guida sabauda. Prima gli si chiedevano i risultati. Quando si è visto che non mancavano, l’accanimento è stato trasferito sul gioco che, in quel periodo, non era certo paragonabile a quello attuale. Solo alla fine della stagione è emerso qualche segnale contrario e di amore nei confronti dell’allenatore. Gli anni sono trascorsi sulla medesima falsariga con il pubblico immediatamente pronto a contestare il Conte Max al primo accenno di magagna, ma lui ha sempre proseguito a lavorare sodo portando solo gioie ai fan juventini. A quanto pare l’addio è stato consumato non per sua volontà, ma per la spinta di parte della società smaniosa di provare nuove avventure e di affidare la compagine a un mister in grado di cambiarle il DNA. A certe condizioni, lui avrebbe anche accettato di restare. Si dice che avesse chiesto un ringiovanimento della rosa, ma che non gli fosse stato concesso. Il legame si è rotto e Allegri se ne è andato facendo rumore perché è tipico del personaggio. Tuttavia, il suo casino è positivo, mai divisorio. Ha pianto, Max. Lo ha fatto nel silenzio delle sue mura domestiche e lo ha ammesso nella conferenza stampa d’addio quando stava per ricadere nell’emozione. Dalla sua bocca non è uscita una parola negativa. In due anni di pausa, non ricordo una frecciata.

Poi è tornato, Allegri. Come Enrico IV salì a Canossa per ottenere la revoca della scomunica affibbiatagli da Gregorio VII, “la Juve è tornata in ginocchio da lui”. Il mister non lo ha fatto pesare o, almeno, questo non è accaduto davanti alle telecamere. Non ha mai mostrato un atteggiamento borioso teso a sostenere: “Vedete, avevo ragione io!”. Max si è rimesso a disposizione e ha ricominciato da dove aveva lasciato. I risultati, però, oggi stentano ad arrivare e allora subito addosso. “È vecchio! Il suo calcio appartiene al passato! È finito! Lo hanno riesumato!”. Ne ho sentite a bizzeffe. Preferisco fare silenzio e attendere. Credo sia giusto lasciargli il tempo necessario a gestire le operazioni. Non dimentico. Guardo indietro e mi fido di ciò che è. Insomma, Allegri ha 54 anni. Non è Matusalemme e, soprattutto, non fornisce minimamente l’idea di essere sul viale del tramonto. In 730 giorni, il pallone non può avere subito modifiche tali da trasformare uno dei migliori in uno zombie. Qui si ricade nella solita diatriba tra “risultatisti” e “giochisti”. Ormai ha stancato pure le pareti di casa, ma non si può fare altro che tornare sul tema. Non tutto ciò che è anziano è da gettare nell’immondizia. Non sopporto questa costante smania per l’innovazione. Non esiste un modo vincente e uno perdente di interpretare il football. Il “catenaccio”, anche se dev’essere considerato nella sua versione rivisitata, sarà sempre un sistema come un altro e non si può chiudere gli occhi di fronte alle gioie a cui ci ha condotto. Ci sono situazioni differenti e luoghi più adatti per adottare una teoria piuttosto che l’altra. La Vecchia Signora, per esempio, ha provato ad affidarsi alle cure di Sarri e Pirlo. Non si parla certamente di allenatori simili al vate livornese, ma hanno fallito. O meglio, il primo ha vinto lo Scudo. Tuttavia, come emerso dalla serie tv targata Prime Video, All or Nothing Juventus, Andrea Agnelli stesso non pare proprio avere apprezzato quella stagione. La sua creatura ha un altro DNA ed è difficile andare a toccare l’essenza di un ente. Era giusto fare un tentativo, ma ha fallito. Soprattutto ultimamente è di moda affermare che ci si deve attenere ai consigli degli esperti. Bene! Se ci si affida alle cure del proprio medico di base, si può anche pensare che uno come il Conte Max abbia tutte le carte in regole per lasciare fiduciosi i supporter bianconeri. Sa come si fa. E, se anche fallisse, non si potrebbe certo dimenticare ciò che ha dato.

Lo stesso discorso vale per la dirigenza. Andrea Agnelli è il principale artefice di 9 anni di successi, ma soprattutto è l’uomo che, per primo, ha ripreso in mano le redini di una società in estrema difficoltà. Insieme a Marotta, Paratici e Conte ha riportato la “juventinità” all’interno dello spogliatoio di Vinovo. Questa era stata completamente persa dopo i tristi fatti di Calciopoli. Ha riportato l’aria che si respirava durante il regno di suo zio, l’Avvocato. Ha donato sogni incredibili e fatto salire noi tifosi su vette che mai ci saremmo attesi di raggiungere in un così breve lasso temporale. Il riferimento è alle finali di Berlino e Cardiff. Ha fatto loro vivere fantasie favolose e vantare di fronte a tutto il pallone europeo. Si è riusciti persino a dimenticare di avere avversari italiani perché questi nemmeno riuscivano ad avvicinare il nostro strapotere. Sono bastate due stagioni e qualche scelta errata per dimenticare. Così ci si appella a Marotta e si sostiene che, con lui, la Juventus avrebbe continuato a vincere. Consentitemi di dubitare. Prima o poi, i cicli vincenti si spengono. È la natura che detta tale norma. Ci si è accaniti contro il Presidente per l’acquisto di Cristiano Ronaldo. Mi pare di ricordare, però, che quando sbarcò a Caselle l’esaltazione superasse di gran lunga i piagnistei. Un personaggio simile non ha certamente procurato un bagno di sangue al marketing. Signori, per 3 stagioni, i supporter sabaudi hanno potuto ammirare il migliore. Già questo non è poca cosa e avrò sempre un occhio di riguardo per CR7. Credo di aver compreso, inoltre, che il maledetto covid abbia messo i bastoni tra le ruote perché il Re avrebbe dovuto essere soltanto un tassello del puzzle. La dirigenza voleva costruire una squadra galattica. Ma nessuno poteva prevedere il maledetto virus che si è accanito come il peggior tarlo sull’umanità intera, finanze bianconere comprese. Così è arrivata la Superlega a cui si è aggiunta la “questione plusvalenze”. Si tratta di vicende scabrose e molto spiacevoli, ma voglio, ancora una volta, riporre la mia fiducia su chi tanto l’ha soddisfatta in passato. Mi auguro di non essere un illuso.

La riconoscenza, tuttavia, non esiste soltanto nei confronti di chi è dalla propria parte. Per Torino è recentemente passato un grande tecnico. È Antonio Conte. Il suo addio è stato burrascoso e ciò è arcinoto. Tutti, o quasi, ricorderanno i fatti del luglio 2014. Il Capitano, in bianconero, ha vinto 3 Scudetti e 2 Supercoppe Italiane. Soprattutto, però, ha restituito un’anima a una squadra che si era persa nei meandri di un recente trascorso deleterio. L’ha risollevata come il medico guarisce il malato ormai cronicamente compromesso. Insomma, con un insieme di giocatori bravi e non eccezionali, ha dato origine a una macchina quasi perfetta. Si sa che questa situazione è matematicamente irraggiungibile. La separazione non era altro che il corso naturale degli eventi. Il tempo era scaduto. Entrambi gli amanti avevano bisogno di nuove avventure per tenere accesa la fiamma dell’ardore che altrimenti avrebbe rischiato di spegnersi distruggendo irrimediabilmente il loro rapporto. Avrebbe dovuto essere addio senza rancore. E invece… In tanti ricorderanno ciò che è accaduto lo scorso anno durante la sfida tra l’Inter del salentino e il Presidente Agnelli nella semifinale di ritorno di Coppa Italia. Ci sono stati gesti non proprio edificanti scambiati tra le parti. Rispetto e riconoscenza dell’uno verso l’altro. Questo è ciò a cui mi sarebbe piaciuto assistere. Si tratta di due persone che sono risultate praticamente indispensabili l’una per l’altra, il cui legame, però, si è dovuto interrompere. Spesso lo noto anche tra gli innamorati. Quasi sempre, soprattutto chi subisce la decisione del distacco, mostra un risentimento tanto forte da rendere reale il desiderio di non incontrare più l’altro. Chiedo venia, ma non ne condivido tanto il motivo. Un periodo della vita si chiude e comunque una relazione lascia sempre qualcosa di importante di cui ringraziare chi ne è stato coprotagonista.
Conte è stato due volte all’Allianz Stadium come avversario e, in altrettante occasioni, il pubblico era assente a causa delle pesanti restrizioni dovute all’emergenza covid. Sarei stato molto curioso di assistere alla reazione del pubblico, ma posso ritenermi alquanto convinto che non sarebbe stata delle più amichevoli. Non credo che gli avrebbero steso un tappeto rosso o l’avrebbero accolto tra i petali. Non ritengo sia giusto pur avendo lui scelto l’Inter, la più acerrima nemica juventina. Anche per lui e le sue squadre avrò sempre dedicata una parte del mio cuore. Sarebbe stato l'uomo perfetto per avviare questo nuovo corso bianconero, ma il matrimonio non s'era da fare. Allegri, però, non è da meno.