Qualche giorno fa scrivevo della crisi nera del calcio paragonandolo, con una metafora sicuramente iperbolica, al malato in fase terminale. Se guardo a oggi, mi sovviene un canto molto usato nel rito cristiano di accompagnamento dell’anima al Signore. Non è il De Profundis, altra opera tipicamente religiosa, ma è qualcosa di simile. Recita: “Io credo risorgerò. Questo mio corpo vedrà il Salvatore”. La situazione, signori, è tragica. Tale sport, ma purtroppo il discorso si può allargare anche agli altri, sta vivendo un declino pazzesco. E’ tenuto appeso alla realtà da incredibili e mirabolanti stratagemmi che ormai iniziano a fare acqua da tutte le parti e, a 10 anni dal dramma della Costa Concordia, il parallelismo viene spontaneo. Voi penserete che io sia blasfemo e potreste pure essere nel vero. Tuttavia, la catastrofe avrebbe proporzioni molto simili. Sapete quante persone campano grazie a quell'economia?! Provate a immaginare che soltanto il pallone ha legami con ben 12 settori merceologici. Il mio, quindi, non è un accanimento o una mania di voler salvare a tutti i costi il giocattolo che fa divertire il bambino. Tutt’altro perché non si tratta esclusivamente della passione di milioni di italiani, la cui vita comunque subirebbe un drastico cambiamento in negativo, ma dell’esistenza di tanti, troppi individui. Per un esempio banale, basti guardare il nome di questo sito web che ci fornisce la gentile e importante chance di scrivere relativamente a ogni tematica: Calciomercato.com.

Tutto sta andando a rotoli e a comunicarlo non è Giovanni Terenziani, ma i fatti. Su più media circola una missiva che il Presidente della Lega Serie A, Dal Pino, avrebbe indirizzato al Sottosegretario per lo Sport, Valentina Vezzali, con l’intento di chiedere concreti aiuti economici altrimenti i club rischiano di “gettare la spugna. Tre parole che rendono perfettamente l’idea della situazione attraversata dalle società. Il nuovo protocollo covid, elaborato dalla Conferenza Stato-Regioni in collaborazione con rappresentanze dell’esecutivo, i medici del Coni e il numero uno dell’ente Malagò, ha appena visto la luce. Il CTS ha approvato il documento. Una volta vidimato andrà poi tramutato in circolare dal Ministero della Salute a sottoscrizione di Speranza, personalità mai mostratasi vicina al mondo sportivo.

Si parlava di politica. Come scritto già in più di un’occasione, il Governo Draghi ha dimostrato spesso enorme attenzione alle attività economiche e tra queste inserisco chiaramente anche lo sport. Grande merito è sicuramente di Valentina Vezzali che, essendo forse più avvezza alla materia rispetto al suo predecessore, sembra l’abbia maneggiata con un cura totalmente diversa. Ciò è rappresentato dal rapporto che, per esempio, il calcio ha con l’ex schermitrice e la battaglia dialettica inizialmente intrapresa con l’intransigente Spadafora. Roma ha potuto ospitare l’Europeo perché il Sottosegretario ha stimolato il CTS a predisporle un piano adeguato all’ingresso dei tifosi all’Olimpico nei tempi giusti. Siamo stati tra i Paesi che hanno tenuto gli impianti aperti più a lungo anche se ora ci si trova nella condizione di doverli limitare a 5mila anime ed è questa probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso, spingendo Dal Pino alla lettera precedentemente descritta.  Il pallone si è auto limitato cedendo alle richieste del Premier, ma la luna di miele tra questo e l’esecutivo pare aver subito un brusco contrattempo. Occorrerà osservare se la politica gli verrà incontro. Gli sgravi fiscali da poco concessi non paiono assolutamente sufficienti a sfamare tale realtà e l'esigenza di ulteriori interventi sembra assoluta anche per le altre discipline.

Si dice che qualche Presidente di serie A non abbia visto di buon grado le “richieste draghiane” di circoscrivere l’ingresso del pubblico negli stadi. Si è parlato di demagogia. E’ come se fosse stato lanciato un messaggio agli italiani. In un periodo di grandi polemiche per la mancata chiusura delle scuole, l’esecutivo potrebbe aver così dimostrato la forza di saper contenere le attività dove ve ne fosse il bisogno assoluto senza, per questo, forzare la mano e bloccare completamente. In effetti, però, durante il periodo natalizio, a campionato in pausa, c’è stato il boom dei contagi. La politica sarebbe, in questo senso, lo specchio del Paese, ma nelle parole del Ministro Gelmini si nota già un passo avanti rispetto alla logica comune. L’istituzione, infatti, considera lo sport come un comparto economico a tutti gli effetti. Non è così per tanti e la speranza è che questo Governo modifichi il modo di pensare più che subire esso stesso quello del popolo. Il calcio romantico, purtroppo o per fortuna dipende dai punti di vista, è ormai un lontano ricordo. Il pallone, ma anche le altre discipline elitarie, sono business. Se questo, per alcuni, può provocare danno allo spettacolo, sicuramente agevola l’occupazione che è più importante. Occorre iniziare a ragionare in quest’ottica senza superare certi limiti. E’ vero, per esempio, che la battaglia condotta da alcuni allenatori, e non solo, legata al fatto che si giochi troppo è realistica e assolutamente condivisibile. Anche “lo spezzatino di partite” pare situazione eccessiva, ma non si può pensare di tornare al medioevo del pallone con la radiolina e le gare esclusivamente alla domenica alle 15. Non funziona più. Il football pane e salame, sicuramente entusiasmante e che riempie il cuore, non è una strada percorribile. 

In tale ottica mi sovvengono alla mente gli esperimenti di Superlega operati da alcuni club e a cui sono rimasti aggrappati in tre: Juventus, Barcellona e Real Madrid. Quello di Agnelli può essere visto come un tentativo, assolutamente pro domo sua, di salvare una situazione economica disastrosa dei bianconeri forse favorita da scelte di mercato errate, ma l’aumento di capitale ha comunque fornito un contributo fondamentale e i messaggi del numero uno sabaudo andrebbero valutati nell’ottica di tutto il mondo del calcio. Guardo all’NBA. Voi mi direte che non è calcio poi è roba americana. E’ vero, ma anche la Premier League, da cui di fatto abbiamo ricavato il nuovo protocollo, ha un’organizzazione diversa rispetto alla nostra e più legata all’aspetto prettamente economico. Non concordo con gli eccessi di una competizione chiusa, estranea al merito sportivo, bocciata anche dall’UE. Non voglio nemmeno pensare a partite modificate nei tempi perché è qualcosa di estraneo al pallone, ma non posso esimermi dal considerare che qualcosa vada cambiato nell’ottica di aumentare l’appeal, ma soprattutto di garantire maggior solidità finanziaria al sistema. Interventi, poi, debbono essere svolti anche sul mondo degli agenti più comunemente definiti “procuratori”. Perché, in Inghilterra, i club sono in condizioni migliori? Probabilmente tale quesito deve pure uscire dal calcio e sarebbero necessarie alcune valutazioni politiche. 

Urge modificare, però, anche il modo di intendere lo sport nella mente delle persone. Voglio fare un esempio molto concreto.
Nella squadra amatoriale del mio paese, su una ventina di atleti, 3quarti sono under 25. E’ possibile? No, in tali categorie, di solito, milita chi ha una forte passione per il calcio, ma ha già dato nel dilettantismo oppure quei giovani amanti dello sport che, però, non hanno enormi capacità. I miei compagni di squadra non appartengono certamente a questi ultimi. Non mi riferisco a loro, che avranno motivazioni differenti. Non le giudico, ma in generale noto una completa mancanza di volontà di sacrificio. Dieci anni fa c’erano ragazzi che, pur di giocare in Promozione, Eccellenza o Serie D, si sobbarcavano fatiche enormi. Andavano a scuola la mattina, poi mangiavano un panino e si recavano ad allenamento studiando la sera, nei giorni liberi o la domenica. Si nutrivano di panchine e nervosismi che, molte volte, erano sane spinte a progredire ulteriormente. Era una “palestra di vita”. Ormai le squadre dilettanti hanno impegni serali e non pomeridiani perché i giocatori vantano la loro professione quindi anche chi lavora ha l’opportunità di cimentarsi a certi livelli. Il problema è che ai giovani costa troppo mettersi la maglietta di lana o la termica, la felpa e il kway correndo con temperature intorno agli zero gradi. Sebbene vi sia il medesimo clima, preferiscono fumare una sigaretta davanti a uno sprtiz, un mojito o altro cocktail dinanzi a un locale. Parlo di maggiorenni e non voglio sicuramente fare pubblicità al fumo o all’alcool, ma non intendo nemmeno criticare. Anche gli esercizi pubblici, quando operano nella legalità, hanno tutto il diritto ai propri guadagni. Lungi, quindi, dal voler allontanare determinate attività economiche. La mia era una pura e semplice constatazione. Tale mentalità, però, non nasce da sé. E’ l’imprinting che il genitore, la scuola e la vita forniscono al ragazzo. Il calcio è visto come un mondo di ricchi snob che gongolano nel denaro fornito dal popolino un po’ mediocre. Questo perde tempo, soldi ed energie badando a 22 uomini alla caccia di un pallone invece che dedicarsi a cinema, arte, scienza o quant’altro. Ecco l’errore. E’ il concetto che deve essere modificato. Sicuramente il pallone non ha fatto molto per migliorare la propria immagine e, purtroppo, ha sovente trascinato nel calderone anche gli altri sport. I calciatori stranieri che militano dalle nostre parti percepiscono anche tali retropensieri. Non mi stupisce che, con tutto il rispetto, la Juve sia su Azmoun o la Roma si rinforzi con Niles. Chi accetterebbe di venire in questa confusione?

Lo sport, signori, deve tornare a occupare una posizione importante nella vita delle persone perché se i nostri giovani vivranno di studio, aperitivi, cene e videogames con qualche comparsata sul tapis roulant o una partita di calcetto alla settimana, avremo una generazione con enormi problemi fisici e, si sa, mens sana in corpore sano