Al fischio finale dei signor Mariani, non vedevo l'ora di ascoltare le dichiarazioni di Pioli. Sospettavo, anzi ne ero certo, che avrebbe ripreso in prima persona i tentativi di cancel culture per i quali il Black January 2023 è stato solo un problema di testa. La voce, infatti, gira sui social da tempo ed è stata ripresa dall'opinionismo milanista più istituzionale. Perché non avrebbe dovuto farlo in prima persona lo stesso Pioli?
In effetti, essendo dedito agli studi piolistici dal 2019, posso considerarmi un luminare della materia. Puntualmente, infatti, il tecnico rossonero ha affermato che, alla fine, è sempre un problema di testa. Siamo tornati, in fondo, al mitico spirito del mundial andato perso dopo la vittoria iridata in Spagna del 1982.
Diciamola tutta, Stefano Pioli ha fatto il furbetto, sperando di gabellare le proverbiali lucciole per lanterne dopo una bella vittoria. E in ciò non c'è nulla di male, visto che ogni individuo, se ci sono di mezzo i suoi interessi è parte e ha diritto di difendere gli interessi di parte. E poi dopo una vittoria come quella di ieri, gli si perdona di cuore anche una innocente tentativo di furbata.

Va detto, tuttavia, che quanto ha detto il tecnico del Milan non è vero.
A gennaio, il Diavolo ha difeso pochissimo a 3 e non come in questo periodo, ma con schemi provati poco e male, se non del tutto inesplorati. Lo ha fatto, inoltre, con assetti di squadra complessivamente inadatti, ma anche con giocatori fuori ruolo. E poi non c'era Thiaw, un giocatore giovane, ma già prontissimo e quindi non il classico elemento di prospettiva.
La testa, intesa come concentrazione e disposizione a dare il massimo, è di certo importantissima. Immaginiamo, infatti che Mbappé scenda in campo in pantofole, con sdraio e rivista di enigmistica, trascorrendo la partita a risolvere cruciverba e rebus. Sarebbe meno utile del più scarso e bolso fra i colleghi. Quanto a ciò, nulla quaestio.
Il problema è che a gennaio è accaduto molto altro
e il signor Pioli faccia attenzione a non dimenticarlo, altrimenti prima o poi il suo Milan crollerà per lasciargli la magra soddisfazione di dire che... occorreva la testa. Che ci stiamo a raccontare?

Tornando al match, pronti-via c'è stato subito da sospettare che Gasperini non avesse capito come approcciare il 3-4-1-2 dei rossoneri. Doveva averci pensato tanto facendosi 1000 idee, ma nessuna di esse doveva averlo convinto. L'Atalanta, infatti, sembrava la squadra del faccio-questo-senza-farlo-del-tutto o del non-faccio-quello-ma-non-rinuncio-a-farlo.
Ha iniziato con 8 uomini dietro e il duo Lookman-Hojlund davanti, che poi è diventato a tratti Koopmeiners-Lookman-Hojlund se non un quintetto. E in nessuna di queste versioni, la Dea ha pressato alto con convinzione, in quanto gli uomini avanti, quanti e quali fossero, davano l'impressione di essere più preoccupati di ripiegare a difendere.
E ciò anche quando si sono trovati in svantaggio.
Così facendo Gasperini è entrato a San Siro in punta di piedi e ha lasciato i suoi a metà del guado. L'Atalanta non ha fatto l'onda, ma non ha indietreggiato per far avanzare il Milan e punirlo in contropiede. Ha pressato i singoli giocatori rossoneri in possesso di palla, ma non ha mai schiacciato il Milan come un rullo compressore. In alcuni momenti ha fatto circolare la palla veloce, specie sulle fasce, ma solo a tratti, come se lanciasse scariche di corrente isolate.

In questo contesto, il lato meno difensivo del Milan, quello di destra basato sul duo Messias-Diaz, non è stato costretto a fare muro, quindi a svolgere compiti di mediana. Messias ha ripreso il filo dal 21° di Monza-Milan ovvero dal primo recupero ben riuscito di quel match e ha proseguito su quegli efficaci livelli. Contro incursioni isolate, anche se veloci, il brasiliano si è addirittura  sfiziato con alcune diagonali ben riuscite e anche in interventi di testa su angolo. Diaz, a sua volta, pur costretto a difendere inseguendo a vuoto, faceva numero e, col suo movimento frenetico, produceva l'effetto di uno sciame di insetti che ostacolava, quanto meno, la visibilità degli orobici.
Di fronte a un'Atalanta che si muoveva per San Siro in punta di piedi, il Milan riusciva a difendersi in ordine e poi a distendersi in avanti con efficacia. Prima e dopo il vantaggio, sia nel primo tempo che nella ripresa, i rossoneri si mangiavano due occasioni da favola con Giroud, almeno una con Leao e una quarta con Messias.
Per ironia della sorte, in mezzo a tanto sciupìo, i milanisti finivano per andare in gol su autorete del portiere, anche se con un gran tiro di Hernandez, dopo che la palla era finita sul palo per essere ribadita in rete dalla schiena del portiere orobico. Raddoppiavano con Messias che scavalcava Musso in uscita. Il suo spunto sul centro-sinistra ricordava un gol di Mazzola nei quarti di Coppa Campioni a Liegi contro lo  Standard. Non è poco e, comunque, i miei amici interisti dovrebbero sentirsi onorati che la mia memoria non si limita alle giocate di Rivera, come la memoria di chiunque ami il football.

Fra le reti, c'era la valida lettura tattica del match da parte di Pioli in versione Jeckyll, che evitava di inserire incontristi, come invece aveva fatto a Monza. Si rendeva conto, infatti, che era più utile il lavoro di schermo di Diaz, frenetico e dispendioso, ma fastidioso per i nerazzurri. E in ogni caso, intuiva che gli incontristi avrebbero fatto sì muro, ma arretrato il baricentro della squadra, consentendo all'Atalanta di compattarsi involontariamente in avanti. Per questo, in primis, si limitava all'inserimento programmato di De Ketalaere alla mezz'ora e alla sostituzione di un Giroud esausto con il redivivo Ibra. In secondo luogo, lasciava Messias, contando che le avanzate disordinate degli orobici potessero aprire varchi alla velocità del brasiliano. Il premio per questa scelta era il gol del raddoppio.
Gli ingressi finali di Saelemaekers e Rebic servivano solo per le statistiche. 

La partita terminava senza che Maignan dovesse impegnarsi più di tanto e questo la dice lunga su quanto in punta di piedi, timidamente, sia entrato in campo Gasperini a San Siro.
Leao, seppure sciagurato a un metro dalla porta, lanciava Messias a rete con un no-look che altri non fanno in tutta la carriera.
Se mai, il portoghese va criticato per quel cartellino giallo che Mariani gli ha rifilato per proteste. Al di là del fatto che nel calcio si può avere ragione o torto nel lamentarsi del direttore di gara, la questione diventa di semplice buon senso. Quando l'arbitro ha deciso di estrarre un cartellino giallo... ha deciso e solo il VAR può indurlo a cambiare la decisione. Cosa protesti dunque a fare, caro il mio Leao bello? Per saltare il match successivo? Infatti salterà il prossimo impegno di campionato a Firenze.
Sderenato all'inseguimento degli avversari e in contrasti tutti persi, Diaz ha comunque rifinito 3-4 palloni in avanti che, per quanto pochi, sono stati di pregevole fattura. Potrebbe fare di più se fosse impiegato senza compiti di marcatura. De Ketalaere, a mio avviso, ha fatto di più, ma era fresco e, quindi, entrambi vanno considerati autori di prestazioni utili ai fini del risultato.

Ma la nota più sfiziosa della giornata è stato Simone Inzaghi. Dopo la sconfitta di Bologna, ha dimostrato di essere più suonato di quanto lo fosse Pioli-Hyde dopo le batoste di gennaio. E ciò va sottolineato per giustizia nei confronti di Pioli-Jeckyll.
Il Bologna è un'ottima squadra e non è una vergogna per nessuno lasciare punti al Dall'Ara. Ma Inzaghi, esibendo lo sguardo di Foreman a Kinshasa dopo il k.o., ha affermato che se la sua squadra avesse segnato, non avrebbe perso. Il che equivale a dire che, se mio nonno non fosse morto, sarebbe vivo, ma pure che, se Giroud l'avesse messa dentro nel derby di 3 settimane fa, il Milan avrebbe pareggiato.
Il calcio è così, caro Inzaghi, se ti senti un padreterno dopo il derby vinto 1-0, senza considerare il clamoroso errore avversario, devi prendere come un dato di fatto la sconfitta di Bologna contro chi il suo onestissimo gol l'ha fatto. Forse ieri Galliani, nel vedere quel gol, si è ricordato che Orsolini era un suo pallino quando era A.D. del Milan.
Ora il Milan, che gli interisti paragonavano al Leicester, ha gli stessi punti dell'Inter ed è terzo soltanto per effetto della differenza reti, per giunta neanche eccessivamente peggiore di quella dei rivali. L'Atalanta, per di più, è stata allontanata in classifica, cosa che rende meno problematica la qualificazione alla prossima Champions.

Però il Diavolo è ancora nel bel mezzo della ricostruzione.
Se si dovesse dimenticare questo... sarebbero dolori.