Ancora un paio di settimane, forse meno, e gli avvocati della Juventus presenteranno al Collegio di Garanzia del CONI il ricorso della Società alle decisioni prese dalla Corte Federale. Decisioni assurde, con motivazioni che potrebbero essere facilmente smontate ad una ad una, armandosi di logica e di pazienza. Gli avvocati avrebbero gioco facile.
Il Collegio di Garanzia, però, non potrà entrare nel merito della correttezza della sentenza della Corte Federale, potrà solo valutare se il processo si sia svolto correttamente. Il fatto che la Corte abbia comminato una penalizzazione maggiore di quella richiesta dal procuratore Chinè con giustificazioni del tutto discutibili, o che abbia prosciolto tutti gli imputati, condannando solo i dirigenti e la società bianconera, decidendo arbitrariamente di punire non l’illecito, ma la quantità di operazioni effettuate, quindi, non avrà alcuna rilevanza. La difesa dovrà puntare su altro, e in quelle 36 pagine di motivazioni, tra codici e codicilli, per gli avvocati della Juve non sarà affatto difficile trovare tanto, tanto altro. Ma senza entrare nel labirinto dei Codici di Procedura, vorrei elencare alcuni spunti di riflessione.

  1. Il primo, è l’ormai noto art. 4, che è proprio l’articolo a causa del quale la Corte ha inflitto i 15 punti di penalità alla Juventus. Unico problema: nei capi di imputazione relativi alla Società, nel processo dello scorso Maggio avverso la cui sentenza Chinè ha presentato ricorso, l’art. 4 non c’era: era stato contestato ai soli dirigenti. Ergo, non era applicabile per la Juventus. Chinè ha replicato che non era necessario contestare l’art. 4 anche alla società, perché proprio in virtù dell’art. 4 le Società risponderebbero degli illeciti commessi dai propri dirigenti, e la Corte ha appoggiato quanto sostenuto da Chinè. Ma non è così. Nell’art. 4, dirigenti e società sono citati insieme perché l’illecito descritto può essere compiuto dagli uni e dall’altra, ma solo per questo motivo. Perché si possa condannare un qualsiasi soggetto per un illecito, occorre che quell’illecito gli sia stato contestato, e se Chinè non aveva contestato tale articolo per la Società non è per la scusa ora addotta, ma semplicemente perché non aveva appigli per farlo. Prova ne sia che esiste un articolo impostato esattamente come l’art. 4, ovvero l’art. 31, che invece fu contestato sia ai dirigenti, sia alla Società. E d’altra parte, se le Società rispondessero sempre degli illeciti dei dirigenti, perché perdere tempo a incriminarle? E se fosse il solo art. 4 a veder legate indissolubilmente le sorti di dirigenti e Società, allora varrebbe anche il reciproco, ovvero a un illecito della società corrisponderebbe una responsabilità di tutti i dirigenti. TUTTI, nessun escluso. Col risultato che basterebbe un piccolo illecito commesso da un solo dirigente, perché ne rispondesse la Società e quindi tutti i dirigenti. Scusate la prolissità, ma era per mostrare l’assurdità della tesi di Chinè. Per farla breve, l’art. 4 non è applicabile per la Società Juventus e la penalità va quindi cancellata.
  2. Ma a mio avviso c’è di più. Perché se si prova quanto ho descritto al punto 1), allora sarebbe evidente che, accettando la bizzarra tesi di Chinè, la Corte non ha semplicemente compiuto una scelta arbitraria, ha travalicato i dettami del Codice Sportivo. E questo vorrebbe dire che l’intero processo andrebbe annullato.
  3. C’è poi un punto che a mio avviso non è stato sottolineato abbastanza. La Juventus, al contrario delle altre squadre, è stata condannata per aver commesso un illecito “grave e prolungato”. Ora, se il punto fosse la gravità, è chiaro che uno o cento illeciti non farebbe differenza, sempre di illecito grave si parla. Anche le altre squadre, quindi, al pari della Juve, avrebbero dovuto subire una penalizzazione. Se ciò non è accaduto, è chiaro che la chiave sta tutta in quel “prolungato”, ovvero nel fatto che, stante le carte presentate dalla procura, la Juve, nel triennio 2019-2021, avrebbe compiuto 35 operazioni. Ma come si fa a dire che sono tante? Per dirlo, occorre un termine di confronto, ed è qui l’inghippo. Le carte che la procura ha presentato sono quelle relative alla sola Juventus: è evidente che in esse le altre società non potevano che apparire di riflesso. Ma basta fare una ricerca in Internet; o osservare lo scarso peso delle plusvalenze nei bilanci bianconeri rispetto alle altre Società; o ricordarsi che “mago delle plusvalenze” non è la definizione data a un dirigente juventino, bensì ad Ausilio; o pensare all’ultima, scialba sessione di calciomercato, con le squadre spaventate dall’idea di comportarsi come avrebbero fatto in assenza di questa sentenza, cioè con scambi a tutto spiano; basta questo, dicevo, per capire che quelle carte raccontano solo una parte, perfino marginale, della storia. Per poter dire che 35 operazioni sono tante, la Corte avrebbe dovuto ampliare il campo d’indagine a tutte le altre squadre. Come dicevo, il Collegio di Garanzia potrà decidere solo sulla bontà del processo, non sulle decisioni del giudice: ma è chiaro che se viene presa per “prova” ciò che prova non è, non siamo nel campo della decisione, entriamo dritti dritti nella regolarità del processo.
  4. Infine, il caso Santariello. A prima vista, le dichiarazioni del PM del Tribunale di Torino, per quanto inopportune (e a parer mio, dopo aver letto il codice deontologico dell’Associazione Nazionale Magistrati, non solo inopportune), non sembrerebbero avere alcuna importanza ai fini del processo sportivo. Ma non è così. Perché, lo ripetiamo, se la Corte ha potuto affermare che la Juve ha commesso un “illecito grave e ripetuto”, è solo per il procedimento aperto dal team di cui fa parte Santariello contro la Juventus. In altre parole, è solo perché un giudice che ha dimostrato più volte, in più sedi e in tempi diversi, di avere una forte avversione nei confronti della Juventus, ha condotto una indagine nei confronti della squadra da lui odiata, mentre in altri tribunali altri giudici non si sono mossi. Ora, nessun processo, nemmeno un processo sportivo, può essere condotto in modo equo se le prove a sostegno dell’ipotesi di reato sono parziali, e questo processo in particolare lo dimostra. Esistono carte che parlano di 35 operazioni svolte dalla Juve, non esistono carte che parlino delle operazioni svolte dal Napoli, o dall’Inter, o dalla Lazio. E per quanto ci siano persone rispettabili disposte a mettere la mano sul fuoco sulla correttezza di Santariello, rimane il fatto che quelle dichiarazioni, lui, le ha rilasciate, mentre non si registrano giudici dei tribunali di Napoli, di Milano e di Roma che abbiano detto altrettanto della squadra della loro città. Ecco perché, ai fini del processo sportivo, Santariello, stante l’avversione da lui dimostrata nei confronti della Società imputata, dovrebbe essere visto come un testimone inattendibile che ha prodotto “prove” quantomeno parziali e come tali non ammissibili.