"Le vite dei neri contano". Un movimento nato nel 2012 ed esploso in questo 2020 per il noto omicidio avvenuto negli USA ai danni di George Perry Floyd. La goccia che ha fatto traboccare il vaso. In un mondo che non ne può più di casi di razzismo.
Il calcio, come si è detto miliardi di volte, è veicolo potenziale di grandi messaggi. Ci sono Paesi come l'Inghilterra dove sul razzismo non scherzano. Dal contrasto all'omofobia, al colore della pelle, i contrasti sono duri. Ci credono. Ti buttano fuori dallo stadio se sei razzista. Non sono solo parole, slogan, messaggi buttati al vento. L'aver deciso di sostituire i nomi dei giocatori con la scritta Black Lives Matter, insieme anche al logo del movimento, oltre che mettersi in ginocchio all'inizio della partita, è stato un qualcosa di sacrosanto. Bello. Emozionante.
In Italia, invece, ci si muove con estrema timidezza. Basta pensare cosa è successo al cantante che ha sollevato il pugno in aria e per l'emozione si è bloccato mentre cantava l'inno italiano. L'isteria si è scatenata. Forse perchè non era bianco. Forse perchè quel pugno chiuso, che rappresenta un segno di lotta contro le ingiustizie, a qualcuno è indigesto.
Il nostro calcio è indietro anni luce nella lotta al razzismo rispetto alla Premier League. Di contrasto all'omofobia manco a parlarne, ad esempio.
Ma questo è il momento di svoltare. Bene i gesti individuali di alcuni giocatori, ma serve di più. Facciamo semplicemente come in Premier League. Punto. Non c'è tanto da aggiungere.
Copiamo dagli inglesi per cercare di essere migliori di quanto lo siamo oggi nella lotta al razzismo. Questo è il momento giusto per iniziare.