“Sentiremo la mancanza di uno di noi, di un membro della famiglia".
Firmato AS Roma

Ci sono lutti che travalicano i confini della cerchia e colpiscono un’intera comunità, un’intero Paese.
Ci sono morti la cui notizia equivale a un fulmine a ciel sereno, è inaspettata, quasi inconcepibile, lascia sempre a bocca aperta. Questo accade quando viene a mancare un personaggio talmente radicato nella quotidianità comune, da diventare, nel tempo e senza che ce se ne accorga, un elemento stabile della propria esistenza. Questo accade quando muore colui che per decenni è entrato nelle case della gente; e lo ha fatto col suo aspetto garbato, coi suoi baffi rassicuranti, l’ironia stampata sugli occhi scuri e “booni”, la rotondità statuaria del suo fisico grasssoccio, la sagacia accomodante alla Aldo Fabrizi, il coraggio di sfidare le bombe alla John Rambo e quella voce un po’ così.
Questo accade quando muore l’uomo senza cravatta, che ha attraversato maree di generazioni ed è diventato per tutti noi un amico, un compagno, uno zio, un maestro, un riferimento. 

E allora, cali quel sipario, la musichetta delle nostre “seconde serate” si trasformi in triste litania, si spengano le tv, tacciano i talk, si vesta a lutto l’Italia, perché il nostro Maurizio Costanzo è morto. 

È morto un monumento della televisione. È morto un’icona del talent scouting. È morto un giornalista elevato. È morto un musicista, uno sceneggiatore, uno scrittore. È morta la televisione, è morta la radio, è morto il teatro, il cinema, i libri, i giornali, la musica, il cinema. 
È morto un romanista!
Della Roma è stato innamorato sin dal giorno della sua nascita (il 28 Agosto del 1938), fino alla fine dei suoi giorni; della Roma è stato advisor della comunicazione per un tempo fin troppo breve. In questa veste lanciò lo slogan “Mejo ‘a Roma”, con l’intento di avvicinare i tifosi alla squadra e allo stadio.
Era felice come un bambino, quando i Friedkin (con la mediazione dell’ad, Guido Fienga) gli conferirono l’incarico. Alla Gazzetta dello Sport dichiarò: “Sono felice, non lo nascondo: è davvero bello quando una passione si trasforma in una professione”.
E, da uomo assolutamente libero, se ne andò quasi sbattendo la porta: “Non mi hanno lasciato lavorare… Un po’ ovviamente mi dispiace, sono da sempre tifoso giallorosso… ”.
Perché, sì, grande fu il suo amore per la Maggica, ma mai quanto la sua dignità di professionista libero, mai quanto la sua statura. 
Di Francesco Totti fu amico personale. Fu lui a consigliare all’ex capitano della Roma di raccogliere in un libro tutte le barzellette sul suo conto e devolvere il ricavato all’Unicef; una mossa mediatica che trasformò Totti da calciatore preso di mira in uomo con una grandissima ironia.
Perché Maurizio Costanzo era un genio. E anche il calcio si è nutrito di questa sua genialità. 
Aveva una rubrica sul Corriere delle sport, dal titolo "Pensieri giallorossi” e qui ebbe modo di affrontare la sua romanità con scritti che trasudavano passione, attenzione e ironia.
Come quando scrisse: <<Non so se avete fatto caso che il campionato di calcio, più o meno alla metà del medesimo, si incattivisce. Sono andato a riguardarmi i giornali dell’altro anno e di due anni fa ed è abbastanza ricorrente l’incattivimento. Mi sono chiesto: perché? Forse gli arbitri si stancano di correre da una parte all’altra? Stancatevi meno, cari uomini, perché ora sono arrivate le donne arbitro>>.

Si batté come un matto perché la Roma avesse un nuovo stadio, lui che sapeva guardare oltre, lui che scrutava tra le nubi, anche le più fitte, dell’attuale e proiettarsi, come pochi, in visioni future. 
Senza mai, tuttavia, disconoscere il valore del passato: "Un desiderio che vorrei esaudire è quello di trovare il tifoso della Roma più anziano, mi piace l’idea di mettere le mani nella storia e nella tradizione che questa squadra ha". Un'idea romantica d'un calcio sempre più lontano dalle proprie radici e che sembra aver perso quei valori di solidità e attaccamento che c'erano un tempo. Una dimensione genuina e “casereccia”, di cui il calcio, oggi più che mai, avrebbe un gran bisogno. 
Ospitò tutta la squadra della Roma campione d’Italia, quella allenata da Fabio Capello. Ovviamente il tutto avveniva al Parioli, teatro reso leggendario dal leggendario “Maurizio Costanzo Show”. 
Il teatro dei mille “Sipario!”, il palcoscenico dei “Consigli per gli acquisti, il teatro delle passerelle illuminate da lampadine minimali e applausi scroscianti per chiunque le calcasse, il teatro del salotto più famoso d’Italia, la casa di Maurizio Costanzo, la nostra casa. 

Tanti campioni sono stati ospiti nelle sue trasmissioni: solo Maradona lo bidonò, dopo aver firmato il regolare contratto con Mediaset.
Uno sgarbo a cui il Pibe de oro rimedierà tempo dopo, quando sarà ospite del programma “L’Intervista”, nel gennaio del 2017. E del Maradona-uomo Costanzo fece un ritratto, neanche a dirlo, perfetto: “Mi è rimasto impresso il suo entusiasmo e anche il piacere di raccontarsi. Ho trovato una persona molto vera, con un fondo di malinconia che teneva bene a bada“.

Non solo Diego. Ha intervistato anche un altro campionissimo, il miglior portiere della storia, Gigi Buffon. 
Un confronto, quello tra lui e gli sportivi, che andava ben oltre il lato professionale e affondava “gli artigli gentili della curiosità di giornalista” nella loro vita. Un giornalista honoris causa, un giornalista vero! E così, raccontava. Di Diego, di Gigi, del Pupone, mostrandoci le altre facce del fuoriclasse.  

Tutti andavano da Costanzo, perché lui entrava nelle vite di chi intervistava senza infingimenti, senza sovrastrutture mentali, senza preconcetti, con l’onestà intellettuale che è propria dei giornalisti con la G maiuscola. E con la capacità gigantesca di tenere qualsiasi confronto, con l’autorevolezza del sapere e la saggezza dell’ascolto. Alludeva e interrompeva, chiedeva ed enucleava. E così entrava nelle nostre case, raccontandoci, rappresentando, insegnando, dissacrando o enfatizzando. Ma libero e onesto, sempre. 

Uomo di sinistra (o, come Mentana lo ha definito, “social progressista”), mantenne la sua leadership dentro Mediaset, anche dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi, sebbene quella del suo editore non fosse la sua stessa metà campo. Mai ruffiano, mai di parte, mai domo. Mai stanco di raccontare. 
Raccontò la mafia, sfidandola, non per egocentrico eroismo, bensì per il desiderio di dire le cose. Perché è nel silenzio che attecchisce l'indifferenza ed è nell'indifferenza che cresce il male. 
È così che il nostro Paese è diventato un Paese migliore. 
Di lui, a me palermitano, rimarrà impresso il gesto di bruciare la maglia con la scritta MAFIA MADE IN ITALY: in quelle fiamme, sotto gli occhi di Giovanni Falcone, bruciava la rabbia del Capo dei capi, ma ardeva anche la speranza nei nostri cuori di un’Italia e di una Sicilia un giorno finalmente libere. 
Il tipo di Paese che Maurizio Costanzo non ha mai smesso di volere, d’inseguire, di costruire. 

Riposa in pace, caro Maurizio.
E facci sapere se, telefonando, possiamo ancora sentire la tua voce, le tue battute, le tue verità. Eventualmente, dacci il prefisso dell’’aldilà, lo impareremo a memoria e lo comporremo tutte le volte che avremo bisogno di un consiglio, per gli acquisti o per la vita.