In questi giorni, in cui si gioca il (non eclatante, almeno per me...) Mondiale qatariota, cade una ricorrenza che non può lasciare indifferenti gli appassionati di calcio: due anni fa, Diego Armando Maradona lasciava questa terra, per andare a correre e fare magie con un pallone tra le praterie celesti...
Al di là della facile retorica, quel che è certo è che Maradona ha segnato un'epoca sportiva, a cavallo tra gli anni '80 e gli anni '90. Ed è stato un personaggio che, in qualche modo,  ha "costretto" tifosi e addetti ai lavori a schierarsi: essere un profondo estimatore del calciatore e dell'uomo, oppure essere un detrattore dell'uomo e quindi del calciatore. Non mi occuperò di scrivere una accurata biografia di Diego, credo sia stato detto e scritto tutto il possibile su di lui.
Di certo, da tifoso bianconero, mai avrei immaginato di dissertare sulla carriera di Maradona, ma sono rimasto molto colpito da quanto sia stato poco ricordato o menzionato durante la giornata di oggi. A parte qualche titolo sui giornali sportivi, non ho trovato altri riferimenti al suo ricordo: forse i mondiali in corso hanno messo in secondo piano la commemorazione di un grande campione che non c'è più, forse il mondo ha già accantonato la memoria di un personaggio per molti versi scomodo...
Di sicuro, un paese intero, l'Argentina, e un pezzo consistente di Italia (non solo Napoli e dintorni) non lo hanno dimenticato, anzi suppongo  che da quelle parti l'immagine di un uomo che rappresenta vittoria, fierezza, emancipazione, estro, fantasia... sia più viva che mai.

Attraverso il calcio, Diego è stato capace di nascere e rinascere più volte, una sorta di araba fenice sportiva. Ha superato un'infanzia fatta di povertà, per diventare uno dei talenti più giovani del suo paese: ho ancora negli occhi il filmato di un'intervista, in cui un giovanissimo ragazzo riccioluto, vestito con una maglietta che è poco più di uno straccio, afferma di sognare ogni notte che diventerà campione del mondo con  la maglia dell'Argentina, quando si parla del potere dei sogni...
Ha disputato il Mondiale dell'82 arrivando in Spagna con le stigmate del predestinato ed è tornato a casa con un pugno di mosche. Poi si ripresenta nell'86 in Messico e vince praticamente da solo, segnando in tutti i modi: l'Inghilterra viene messa al tappeto dalla sua furbizia (il gol segnato dalla "mano de Dios"...) e dalla sua classe immensa, quando semina gli inglesi come fossero birilli in poco più di dieci secondi. A detta di molti, il gol più bello della storia.

Ha lasciato l'Argentina per andare al Barcellona e una entrata assassina sulle sue gambe per poco non mette fine alla sua carriera. Quando arriva in Italia nel visibilio generale, c'è chi è scettico circa la possibilità di vedere un Napoli finalmente vincente: Diego diventa capitano, anima e capopopolo di una tifoseria che vive il calcio come una lotta per la sopravvivenza.
Dopo la squalifica del 1991 per uso di droghe, prende parte ai Mondiali del '94 e, dopo aver segnato un gol alla Grecia, pianta nella telecamera il suo volto, trasfigurato da un urlo che è liberazione, rivalsa, vita...

In mezzo a tante vicende e vicissitudini sportive, il cammino di  Diego è stato inframezzato da tanti problemi personali fuori dal campo, che hanno offuscato l'immagine del grande campione sul terreno di gioco, un atleta fortissimo a cui fa da contraltare un uomo pieno di debolezze. E mi colpisce il modo in cui Diego è arrivato ai suoi ultimi giorni: un uomo che ha ottenuto molto, se non tutto dalla vita, si è ritrovato solo, malato anche se ancora giovane, attorniato da medici (o presunti tali) che non hanno saputo assisterlo.

Come in una sorta di nemesi manzoniana, chi tanto ha avuto, tanto deve patire per lasciare questa vita. Se mai ci sarà qualcuno intenzionato a dare un giudizio definitivo su Diego Armando Maradona, quali parole userà?
Parlerà di uno dei più grandi artisti del pallone di ogni tempo, o di un uomo tormentato sopraffatto dai suoi demoni?
Io una risposta non ce l'ho, ma ovunque tu sia, Diego, ti auguro di trovare pace...