Il Manchester City supera l’ostacolo Borussia Dortmund, proponendo lo stesso risultato dell’andata, che a parti invertite sul teleschermo, sancisce il definitivo successo nei confronti dei padroni di casa del Signal Iduna Park. In una serata che secondo i pronostici, sarebbe dovuta essere poco più di una formalità, la formazione di Guardiola passa quasi subito in svantaggio, complicando non poco il proprio cammino verso la semifinale.

Tutta colpa dell'impavido Jude Bellingham, ragazzino inglese di soli 17 anni, “colpevole” di aver trovato la via della rete al quarto d’ora della prima frazione, con un destro piazzato nell'angolo alto alla sinistra di Ederson. Il classe 2003 dei gialloneri realizza il suo primo centro in Champions League, piazzandosi così al secondo posto della speciale classifica dei marcatori più giovani di sempre ad aver segnato nella fase ad eliminazione diretta. Meglio di lui soltanto l’ex Barcellona Bojan Krkic, in goal nell’ormai lontano 2007/08 contro lo Schalke 04, ma la distanza tra i due si assottiglia a soli 72 giorni di differenza sulla carta d’identità.

Incassato il colpo, la corazzata dell’ex tecnico blaugrana inizia quindi a carburare, fabbricando le prime limpide occasioni: prima con Kevin De Bruyne, che colpisce una traversa clamorosa dal limite, e poi con l’algerino Riyad Mahrez, non sufficientemente freddo sotto porta. Nonostante l’evidente sofferenza di fronte al pressante gioco offensivo degli avversari, il Borussia chiude la prima frazione di gioco davanti, ma il sogno dei tedeschi si infrange pochi minuti dopo, con l'ennesima ingenuità da parte dell'ex bianconero Emre Can. Nel match di andata, nacque proprio da un suo errore in fase di impostazione l’azione del vantaggio casalingo firmato De Bruyne, e adesso a causa di un intervento scomposto con il braccio dentro l’area di rigore, l’arbitro decide di assegnare un tiro dal dischetto ai citizens. E così, in seguito alla glaciale trasformazione dagli 11 metri dell’ex Leicester Mahrez, l’inerzia della partita si capovolge di colpo, mirando dritta in direzione di quelli con la maglia azzurra, che la chiudono definitivamente con la sassata di Phil Foden. Dopodiché, il match scivola rapidamente verso la sua naturale conclusione, con il Manchester City che gestisce l’enorme vantaggio maturato, senza mai rischiare di rimettere in discussione il proprio passaggio del turno. Al triplice fischio del direttore di gara, a distanza di 5 anni dall’ultima volta, gli inglesi tornano tra le prime 4 d’Europa, con Guardiola che spezza definitivamente la sua maledizione, cominciata al suo approdo nella stagione 2016/17, quando si arrese agli ottavi, di fronte al talentuoso Monaco di un giovanissimo Mbappe.

Interrotta dunque, l’amara striscia di 4 annate consecutive all’insegna del fallimento in ambito europeo, marchiate da clamorosi scivoloni di fronte a formazioni non all’altezza del confronto, o almeno sulla carta, con la formazione del tecnico catalano. Spesso e volentieri, a dettare la differenza in tal senso è stata forse una mancanza di personalità, con un enorme quantità di reti fallite sotto porta, oppure un approccio sbagliato in fase difensiva, con scarsa attenzione nel periodo di non possesso. Proprio in direzione di quest’ultima considerazione sembra aver deciso di lavorare con vigore Guardiola, intento a migliorare ad ogni costo il proprio reparto arretrato: non a caso nell’arco di quest’edizione della Champions League, i citizens hanno incassato soltanto 3 reti complessive, imponendosi come attuale miglior difesa della competizione. Eppure, in tale strenua ricerca di una stabilità che gli permettesse di avvicinarsi al coronamento del tanto agognato sogno europeo, il club del famoso sceicco è stato costretto più volte, a sborsare fior di milioni pur di venire incontro alle esigenze del proprio allenatore.

Infatti, nonostante il City avesse già provveduto a rinforzare il proprio pacchetto difensivo con due investimenti dalle clamorose cifre a 6 zeri, al suo arrivo, Pep Guardiola si presentò subito con un nuovo obiettivo: il giovane difensore John Stones, al tempo in forza all’Everton. E così, per portarsi a casa il nazionale inglese classe 1994, il club di Manchester versò la bellezza di 55,6 milioni di euro nelle casse della società di Liverpool, ben felice di accettare un'offerta talmente allettante. A quei soldi, si aggiungevano inevitabilmente non soltanto i 45 milioni sborsati per accontentare il Porto, quando due stagioni prima si optò di pagare la clausola rescissoria di Eliaquim Mangala, ma pure l’assegno da 44,5 milioni, staccato soltanto l’anno prima per assicurarsi le prestazioni di Nicolas Otamendi, proveniente dal Valencia.
Nel primo caso si trattò di un investimento sbagliato fin dal principio, mentre nel caso del centrale argentino si può dire che il City possa vantare di averne ottenuto qualche beneficio in più, apportato nel corso delle sue 136 presenze in Premier League.

Nonostante il freschissimo rinforzo ottenuto, le pretese dell’ex tecnico del Barcellona non si placarono affatto, e nel corso del successivo mercato estivo, esse si amplificarono ulteriormente in direzione di un ulteriore innesto, ancor più costoso. Si trattava della giovane stella dell’Atletic Bilbao, il tanto acclamato Aymeric Laporte, centrale francese classe 1994, molto abile nel palleggio e dotato di un’ottima struttura fisica: anche in quell'occasione, il City dovette accontentarsi di pagare la salatissima clausola rescissoria imposta sul contratto del ragazzo, pari a ben 65 milioni di euro. Si discusse ampiamente di quel trasferimento, ennesimo capitolo di un calcio ormai dominato dal denaro, che stava rapidamente sprofondando verso un inesorabile “gonfiamento” del mercato dei calciatori, con i loro cartellini pronti a volare come palloncini ad elio sulla scena europea. Eppure nemmeno in quel caso, l’utilizzo sfrenato di petrodollari da parte del magnate arabo si tradusse in una vittoria in Champions League, poiché la situazione sembrò proprio non mutare affatto: il risultato fu una sfilza di eliminazioni subite, sempre ai quarti di finale, rispettivamente ad opera di Liverpool, Tottenham e Lione.
Quanta amarezza per Guardiola, ormai lontanissimo dai gloriosi anni trascorsi al Barcellona, in quel che fu di Messi e compagni, un'epoca all’insegna dei successi e del calcio champagne, tra tiki taka e trofei sollevati al cielo quasi fossero un habitué. Riconosciuto in passato come uno degli allenatori più dotati in assoluto nella storia di questo sport, e costantemente corteggiato dalle più prestigiose società europee, tra cui qualcuno ricorderà le voci su un suo possibile approdo alla Juventus, egli non riusciva più a scrollarsi di dosso l’etichetta del perdente. E così, in seguito all’ennesimo K.O. maturato la scorsa estate, il suo riacceso orgoglio lo trascinò ancora una volta di fronte alla porta dello sceicco Mansur, per domandargli se potesse concedergli un’ulteriore possibilità.
Richiesta accettata senza indugio dal prosperoso proprietario del Manchester City, più che mai pronto ad azionare il portafogli per mettere a disposizione del suo allenatore, quei "mezzi", a suo dire necessari, per andare fino in fondo in Coppa dei Campioni. Ed ecco quindi approdare al Manchester Airport non uno, ma addirittura due volti nuovi, per rinforzare, stavolta definitivamente, il fragile reparto difensivo dei citizens: il centrale portoghese Ruben Dias, acquistato dal Benfica per la “modica” cifra di 68 milioni di euro, ed il difensore del Bournemouth Nathan Aké, giunto alla corte di Guardiola in cambio di 45,3 milioni di euro.

Aggiungendo i suddetti valori monetari al già esorbitante totale precedente, si arriva ad una cifra davvero esagerata, pari a 323,4 milioni impiegati nell’arco di 7 stagioni, per un ammontare pari a 46,2 milioni spesi in media, per ogni calciatore acquistato nel ruolo di difensore centrale. Tuttavia, tale problematica legata alla solidità del pacchetto arretrato non si è mai manifestata con continuità, visto che le reti subite in campionato si sono costantemente mantenute al di sotto di un certo standard. I numerosi blackout in fase di non possesso, si sono verificati soltanto durante le notti di Champions League, in occasione delle partite decisive per continuare il cammino verso la gloria assoluta. A questo punto appare evidente come la ricerca di Guardiola fosse focalizzata verso un leader per la propria difesa, un centrale dalla spiccata personalità, in grado di trasmettere sicurezza all’intero reparto. E adesso, verrebbe quasi da aggiungere finalmente, sembra che a distanza di anni, la tanto agognata esplorazione del Manchester City sia dunque giunta al capolinea.
Infatti, il focus si concentra sull’impatto imponente del 23enne scuola Benfica, in grado di fornire fin da subito affidabilità e certezze, elementi che fino a questo momento, si erano quasi sempre sbriciolati come biscotti nei momenti di criticità. Secondo il noto sito di football analytics WhoScored.com, il giovane nazionale portoghese rappresenta un vero e proprio muro invalicabile per gli avversari: durante le sue 8 presenze nella competizione Uefa, ha collezionato la bellezza di 1,1 contrasti vinti a partita, a cui si aggiungono 1,4 intercetti riusciti, ed una quantità quasi inesistente di dribbling subiti per ogni match disputato, pari a 0,1.
Inoltre, data la spiccata propensione al palleggio da parte della formazione di Guardiola, non si può trascurare assolutamente il dato in merito alla percentuale di passaggi riusciti, che si apprezza intorno al 95%, ulteriore segnale di quanto sia stato fondamentale il suo apporto, anche dal punto di vista qualitativo delle giocate.
Archiviata dunque, la pratica Borussia Dortmund, gli uomini di Pep dovranno ora confrontarsi con la loro principale antagonista in questa Champions League, quel Psg della formidabile coppia Neymar-Mbappe, reduce dell'eliminazione un’altra formazione tedesca, ovvero quella dei campioni in carica del Bayern Monaco. Esiste un precedente tra le due compagini, risalente alla stagione 2015/16, quando si affrontarono ai quarti di finale: la spuntò il City di Manuel Pellegrini, che staccò il biglietto per la sua prima semifinale in UCL, in virtù della vittoria per 1 a 0 conquistata all’Etihad Stadium, cui si aggiungeva il 2 a 2 maturato in casa dei parigini.
Di quell’undici titolare non rimane che il ricordo dalle parti della metropoli britannica, eccezion fatta per il Kun Aguero, anch’egli ormai vicino all’addio, ed un centrocampista, Kevin De Bruyne. In quell’occasione, il fuoriclasse belga realizzò due reti in altrettante partite, iscrivendo il proprio nome sul tabellino dei marcatori sia all’andata che al ritorno, e chissà che non abbia voglia di ripetersi anche stavolta. A questo punto non resta che prepararsi alla visione di un match che con ogni probabilità sarà fantastico, tra la concitazione del momento per la posta in palio, e la classe cristallina dei talenti in campo. 

Alla domanda su chi la spunterà alla fine, soltanto il tempo potrà trovare una risposta, con il complesso meccanismo psicologico dell’attesa, che pone la formazione di Guardiola di fronte alla definitiva prova del 9... anzi del 7 e del 10.