Zlatan Ibrahimovic è uno che "ha messo la Svezia sulla mappa mondiale" come gli Abba, l'Ikea e la Volvo.
Lo disse spavaldo e spiritoso come spesso è lui, al talk show di Jimmy Kimmel, quando ancora pascolava sui prati di Los Angeles, in un calcio che a ragione lo vedeva come stella assoluta, ma che per lui era solo preparazione atletica in attesa di ritornare grande protagonista in Italia per la sua seconda (breve) giovinezza calcistica.
Noi rossoneri la Svezia già la avevamo un po' nel cuore, grazie ai ricordi dei nostri nonni che ci raccontavano le gesta del Gre.No.Li. quel trio formidabile di vichinghi che solo anni e anni dopo verrà scalzato dal trono da un altro trio, questa volta di un parallelo di qualche grado di latitudine più a sud, ma stesso meridiano... 

Zlatan Ibrahimovic è storia del calcio moderno. Quello giocato ai massimi livelli, per la passione del pallone che nel suo caso non fa a botte con quello finanziario ai massimi livelli e dalla redditività inestimabile, per professionalità e capacità commerciale.

Nonostante il suo immenso Ego è difficile pensare ad uno Zlatan prevaricatore e disallineato rispetto ad una società per cui "lavora". Non ho mai avuto la percezione che qualcuno lo abbia preso in antipatia o non ne abbia riconosciuto il valore, ovunque avesse giocato, tra le squadre e tra le tifoserie, che hanno potuto godere per lunghi o brevi periodi, del suo talento, garra e dedizione al lavoro.
C'è chi lo ha amato di più (noi) chi magari meno. Ma non è uno da fuite notturne o cambio di maglia polemico o che si trascina problemi ambientali. Un vero nomade professionale, tutto sostanza e poche concessioni al fronzolo, se non quelli "fuori campo", come per esempio Sanremo o Asterix o le campagne di pubblicità. Poche concessioni al gossip, una vita piena ma apparentemente priva di eccessi, presenza sobria tra i fenomeni social, che però si autonutrono grazie alla sua enorme risonanza mediatica, facendo diventare notizia anche quando scrive due sillabe di una nota marca di caramelline in astuccio portatile. 
Voglio lasciare intendere che chi ha Ibrahimovic on board, generalmente, ha solo da guadagnarci. Ed è evidente che Cardinale lo abbia intercettato. Ne abbia colto, valutato e stimato la "attitude". 

Ora, siccome non tutti sono Ibrahimovic o Cardinale, in modalità business'n'sports, alla anglosassone (versione USA) mi aspetto e ho già sentito purtroppo, tutta una serie di dietrologie all'Italiana, patria di Machiavelli e Idi di Marzo.
Per primi i nostalgici orfani di Maldini, il plenipotenziario che coi toni pacati e urbani di chi frequenta il calcio, diceva e soprattutto faceva cose che erano poco digeribili, ad una più approfondita analisi, in una logica prettamente aziendale. Un grande calciatore, dalla storia di grande appeal per i giovani calciatori (vedi Hernandez per esempio) non necessariamente facevano pari ad una preparazione manageriale e di gruppo societario, di livello pari al suo carisma. La leadership trasformata e trasfigurata a protagonismo da Don Chisciotte.
Purtroppo le sensazioni continue di ingerenze non dovute, di voce fuori dal coro, di "fuoriclasse protagonista" fuori dal campo, come lo era in campo, erano diventate chiaro segnale di un pesce fuori dall'acqua o controcorrente, che al primo errore (e ne ha fatti) sarebbe stato defenestrato. Come quando si autoproclamò garante del tifoso, come quando si spinse a dichiarare che con questi americani è bene fare un discorsetto. Capibile ed intuibile quindi, la scelta gestionale di RedBird di affidarsi al suo personale concetto di management e lavoro di equipe e di aver saggiamente preservato l'assetto tecnico di campo. Poi vabbè, c'è il triste discorso sullo staff preparatore atletico e medico, ma è un altro capitolo...

Torniamo a Ibrahimovic. C'è anche chi accoglierà l'arrivo di Zlatan come il preludio al tanto desiderato Pioli-out. 
Chi invece lo utilizzerà contro la proprietà, tentando di convincerci che sia un passo indietro. Una ammissione di colpa. La ricetta dell'uomo forte al timone, come era Maldini, è di fatto un riconoscimento di fallimento del pull Moncada Furlani Pioli. Quindi Ibra sarà usato, quale emanazione diretta della proprietà, come commissario straordinario addetto al controllo qualità e quinta colonna per segnalare dove tagliare le teste. 

Bene, io invece credo molto nell'intelligenza di Cardinale e nella serietà ed umiltà (parolone!) di Ibrahimovic nel volersi inserire in un contesto ed un progetto di crescita societaria, dove il suo apporto sia fattivo, utile ma anche di gruppo. Credo nella sua capacità, come ha dimostrato negli ultimi anni di carriera calcistica e breve storia di imprenditore di se stesso, di determinare cosa e dove deve imparare per migliorare e diventare uomo chiave.
Ricordate vero? Dove non arrivava più con la prestazione atletica arrivava con l'esempio negli allenamenti, con il bordo campo, senza prevaricare il mister ma rafforzando lo spirito di chi era in campo. Perché dovrei pensare che questa forma mentale, sia cambiata o si trasformi solo per il ruolo che ricoprirà? Del resto abbiamo avuto la riprova con Maldini, l'indole di base non cambia. E per Paolo è stata la sua condanna.

Cardinale vuole l'uomo Ibrahimovic, prima di qualsiasi ruolo da ritagliare addosso. Non è punitivo nei confronti di chi c'è già. Non è nelle logiche di questo genere di imprenditori. Noi, auspico e mi auguro, che ne gioveremo al di sopra di quanto immaginiamo. Dal vertice al tifoso all'ultimo dei magazzinieri.
Pioli, Moncada, Furlani, Scaroni, Cardinale e Ibrahimovic, sono Rossoneri. Lo sono davvero. Non sono gente che vede sé stesso riflesso nello specchio limpido di un lago come Narciso. Hanno una visione e una missione.
E noi dobbiamo sostenerli! Tutti indistintamente!

Alè, Associazione Calcio Milan!