Dire che non ci fossimo illusi alla fine del 2020, se non fosse considerabile come un atteggiamento bugiardo, quantomeno sarebbe poco sincero. Alla fine di dicembre, tutti noi milanisti - mi si perdoni se per un momento mi rivolgo solo a loro - ci avevamo un po’ creduto. Il Milan poteva vincere lo scudetto. Contro ogni pronostico, al di là di qualsiasi concetto statistico e probabilistico, poteva arrivare al massimo risultato nazionale. Come ben sappiamo, le cose sono andate diversamente e il titolo se lo sono accaparrati i cugini. Certo, se il Milan avesse perso lo scudetto nelle ultime giornate, la delusione sarebbe stata molto più grande. Per quanto sia solo una magrissima consolazione, aver abbandonato la corsa al titolo in pieno girone di ritorno ci ha permesso di metabolizzare il lutto e di ricordarci che il vero obiettivo, almeno a bocce ferme, era ben altro: il ritorno in Champions League. Obiettivo che, ad essere sinceri, abbiamo creduto di poter perdere solo qualche settimana fa. Per ora la situazione sembra essere rientrata, con questi fantomatici tre chilometri che mancano al Mortirolo (Pioli cit.), ma sono pur sempre tre chilometri, dunque aspettiamo ad esultare.

Al di là di tutto, il Milan quest’anno ha conseguito una stagione straordinaria, sia dentro che fuori dal campo. Fuori, in particolare, è avvenuto ciò che mi permetto di descrivere come il vero scudetto del Milan. La società che Elliott & Co. ereditarono giusto un paio di anni fa era tutto, fuorché un qualcosa di definibile come solido. Già morente sul finire della gloriosa epoca Berlusconi, il Milan requisito da Singer si era fatto addirittura marcescente, data la fortunatamente breve quanto folle gestione cinese. Il pensiero che una società seriamente sull’orlo del fallimento potesse tornare a far parlare di sé in breve tempo, se non all’interno delle aule di tribunale, appariva a dir poco utopico. Come abbiamo visto, i fatti hanno smentito le previsioni di partenza tanto che, come dicevamo prima, il Milan ha persino pensato ad un certo punto di poter vincere lo scudetto. Com’è stato possibile tutto ciò? Non certo per semplice fortuna. All’interno delle strette maglie societarie volute da Elliott stesso, dove le voci di corridoio hanno finalmento smesso di defluire come invece facevano un tempo, il cambiamento questa volta si è fatto percettibile. Un cambiamento segnato e alimentato in particolare da due aspetti: da una parte, fare un completo restyling della dirigenza, che potesse far convivere esperienza e anima rossonera; dall’altra una gestione maniacale e quasi autocratica di un bilancio in piena crisi emorragica. Come detto, il risultato è stato più che soddisfacente, addirittura straordinario se ci ricordiamo che ciò avvenuto durante una pandemia - e conseguente crisi economica del settore - mentre molte altre società ben più solide si trovano in seria crisi. Ma veniamo ai fatti. 

Secondo le varie indiscrezioni finanziarie che giungono in questi giorni, il Milan dovrebbe chiudere il bilancio attuale con una perdita di circa 95 milioni. Una bella botta, potrà pensare qualcuno. Come può il sottoscritto definire un simile risultato come straordinario? Ebbene, da buon consulente aziendale quale sono, i risultati si devono sempre valutare all’interno di un determinato arco temporale, mai singolarmente. Un dato singolo, che sia un margine o un indice, non è in grado di dire niente o, peggio ancora, può essere tremendamente bugiardo. Se infatti andassimo indietro con la mente di solo una stagione,  ci ricorderemmo di come il Milan segnasse un rosso di -195 milioni. Più del doppio. Già questo dato basterebbe a fugare qualsiasi dubbio sull’ottimo lavoro effettuato da Gazidis e i suoi più stretti collaboratori. Dimezzare una perdita non è una cosa semplice, soprattutto quando i ricavi sono in una costante parabola discendente. Ma se proprio volessimo cedere alla più smodata scrupolosità, riflettiamo allora su qualche punto che snocciola meglio la situazione. 

Partiamo dal nodo ingaggi. E’ indubbio che il miglioramento dei conti sia passato necessariamente dal netto taglio degli stipendi operato dall’amministrazione Gazidis. Detto ciò, non c’è nulla di eclatante in una simile politica, in particolare quando è mossa dalla necessità. Lo ha fatto Berlusconi sul finire della sua era rossonera - Ibra e Thiago Silva ne sanno qualcosa -; lo ha fatto Thohir, dopo aver ritirato l’Inter da Moratti; lo ha fatto la Juventus all’indomani di calciopoli. Quando la necessità chiama - e i regolamenti UEFA giustamente ringhiano - c’è poco da fare. Lo straordinario nella questione sta invece nel fatto che, in concomitanza alla spending review sugli stipendi, invece che avere un comprensibile calo di prestazione, si è avuto il risultato diametralmente opposto. Dopo anni di inutili rincorse, il Milan è tornato a essere una squadra in ottica qualificazione Champions. Com’è stato possibile? Per rispondere, passiamo al secondo punto.

Normal One. A volte si utilizza questo titolo per definire un allenatore poco incisivo e meno dedito alle invenzioni. Uno che non è nè carne, nè pesce in altre parole. In realtà, questo titolo si addice molto bene a Mr. Pioli perché descrive con efficacia l’umiltà e il principio di realtà che ha messo nel suo lavoro a Milanello. Successore di una lunga sfilza di fantomatici maestri di calcio, ognuno con il suo modulo, la sua tattica, la sua filosofia di gioco, lui si è limitato a vedere quali giocatori avesse a disposizione e a incasellarli nelle posizioni migliori, secondo le caratteristiche che questi erano in grado di offrire. Per essere brevi, ha portato ordine dove c’era caos fisico e mentale, creando e consolidando così un’identità di gioco e di spogliatoio. Detto ciò, anche Pioli trova altrove una sua origine, ovvero nella scelta di Maldini e nel ripensamento di Gazidis (ndr vedasi questione Rangnick). E con questo, passiamo al terzo e ultimo punto.

Silenzio e fermezza. Qui i meriti di Maldini, senza dimenticarci ovviamenti di Massara e dello stesso Gazidis, cascano a fagiolo. E a dirlo è uno che, in passato, lo criticò aspramente. Invece che perdere tempo in critiche e proclami mediatici, Paolo Maldini ha definitivamente vestito l’abito del dirigente di razza, ovvero quello che parla poco, pensa molto e agisce di conseguenza. Entusiasmi contenuti durante le vittorie, calma serafica durante i momenti di difficoltà. Ciò ha permesso alla squadra di poter crescere in una stato di tranquillità, ben lontana dal marasma mediatico a cui era esposta nelle stagioni precedenti. Viene poi il capitolo procuratori, con in testa il vorace Raiola, di cui il Milan era un tempo vittima indifesa. La linea portata dalla nuova dirigenza è chiara: offrire il giusto, premiare i risultati, rifiutare le minacce. Ciò al fine di proteggere il bilancio da colpi di testa difficili da assorbire, ma soprattutto ricostruire un’identità societaria andata persa da tempo. 

Covid permettendo, la prossima stagione vedrà finalmente gli stadi tornare a riempirsi di tifosi e, di conseguenza, le casse dei loro abbonamenti. Conti alla mano, ciò dovrebbe significare un aumento di ricavo di circa 50 milioni per le casse del Milan. Andando a sommarne altri 50, ora solamente ipotetici perché provenienti dalla potenziale qualificazione champions, vorrebbe dire segnare un +100 milioni sul fatturato. Immaginando che i costi non dovrebbero lievitare più di tanto, ciò potrebbe significare che il bilancio della prossima stagione potrebbe chiudere in pareggio. E il vero scudetto del Milan, sebbene scevro di premi e trofei, è proprio questo. Se infatti esistesse una classifica che tenesse conto degli aspetti andamentali ed economici, dandosi una rapida occhiata attorno si capirebbe come il Milan di Elliott abbia un piccola marcia in più rispetto a molte altre società, fuori e dentro i confini nazionali. Un chiaro segnale di speranza per tutti i tifosi rossoneri, che potranno sperare in un futuro che magari non si fregerà di molti trofei - non nel breve periodo almeno -, ma che sarà decisamente votato al ritorno in pianta stabile nel calcio che conta. 

Un abbraccio
Igor