“Con quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così”, eri uno di Quelli che il calcio lo raccontavano nel modo giusto. 
Con quel sorriso un po’ così, hai conquistato la simpatia di tutti gli appassionati di calcio,  juventini come te, interisti come me e d’ogni campanile e ogni bandiera come tutti gli altri. 
Con quegli occhioni un po’ così, hai insegnato al mondo ipocrita del pallone la forza dell’ironia applicata al tifo. Dissacrandolo quanto bastasse, distaccandotene quanto bastasse, professandolo quanto bastasse.

Con quella pelle, nera e un po’ così, hai insegnato al mondo schifoso del razzismo la forza dell’autoironia, irridendo le iene ridenti, ignorando l’ignoranza, stupendo gli stupidi, scioccando gli sciocchi.
Con quella voce un po’ così, con quell’italiano un po’ così, strappavi un sorriso a ognuno di noi, qualunque cosa dicessi, qualunque squadra criticassi, qualunque calciatore elogiassi. E non erano mai banalità. Riuscivi ad ammantare di leggerezza concetti e pensieri, senza mai svilirne la portata e la credibilità. 
Ditemi voi, se non è, questa, la sublimazione della comunicazione!

Il tono delle parole era grave, dolce la sua musicalità. La mimica facciale era imbronciata, come quella d’un orso buono che sbava miele. La juventinità era estrema, somma la sportività. Un po’ Arnold, un po’ Danzel Washington, la testa crespa, la mente frizzante. Due biscotti Ringo le tue mani: strumenti d’un gesticolare buffo ma aggraziato. Sembravi un ritratto di Géricault, l’istantanea mossa della New Orleans anni 20, un frame de “La mia Africa”, un cartone animato e animoso. Sembravi un po’ così ed eri un po’ colì. E ci piacevi da matti. 

Con Fazio o al cinema o davanti alla telecamera un po’ “ammaccata” d’una emittente locale, la tua personalità, mai ingombrante seppur spiccata, riempiva lo schermo, lo illuminava, lo bucava.
Tu, giornalista grande così, hai mosso i primi piccoli passi sul terreno sabbioso d’un nuovo modo di fare una grande televisione sportiva … ed era la luna, altroché! 

Prima di te, la domenica del pallone era una specie di messa cantata, liturgicamente inquadrata nei riti di Tutto il calcio minuto per minuto, Novantesimo e la Domenica sportiva; una domenica sempre uguale, solennemente ingessata nei paradigmi d'interviste, cronache e commenti  “politicamente” corretti. 
Con te e l’allegra compagnia, dei Bartoletti e la Suor Paola, di Brosio, Teo e la Marchesini, quei nostri pomeriggi hanno assunto i colori vivi dell’intrattenimento … un po’ così, improvvisato. Magistralmente improvvisato!

Con quel nome un po’ così, evocavi tante cose, tutte belle. Un fiore, un poeta, uno straniero, una Terra. Grazie a una borsa di studio all’Università per stranieri di Perugia, sei venuto da un posto lontano, Brufut. Col tuo retaggio di studi in Senegal e di 21 fratelli, hai imparato da noi l’arte della tv, ti sei innamorato della Juventus e hai conquistato il successo con la poetica di quel tuo  narrare un po' così, forbito, maccheronico, colorito, fluido, a tratti ritmico.

E te ne sei andato così, senza preavviso, se non un ricovero che, lo confesso, a me e a molti altri era sfuggito. Ci era sfuggito perché ti avevamo dimenticato. Noi, con quella superficialità un po’ così, quel modo un po’ così di farci trascinare dal tempo che scorre e divora, ti avevamo dimenticato quasi del tutto. Imperdonabile, sì. Ma la grandezza d’una persona non sta nel mantenere costante l’attenzione su di sé, quanto nel lasciare orme sul selciato del tempo, destinate comunque ad essere seguite. 
Te ne sei andato senza salutarci, caro Edrissa. Te ne sei andato un po’ così, in punta di piedi. Che pure hanno dato un’impronta di vitalità e diversità alle abitudini italiane del pallone.

Edrissa, sì. Perché molti non lo sanno, ma tu eri il signor Edrissa Sanneh, anche se il mondo ti ricorderà con quello pseudonimo un po’ così.
Così si spegne la luce su una delle menti più brillanti del mainstream calcistico.  Si spegne la luce di una lanterna; e ne facevi, di luce! Forse senza volerlo, forse senza saperlo o forse pienamente consapevole, non hai solo raccontato il calcio a modo tuo … un po’ così, insomma.  Ma hai anche scritto pagine monumentali d’integrazione, dimostrando a questo nostro bel Paese che il colore della pelle, che un’inflessione da Vu cumpra’, che una provenienza lontana non sono muri, se non nella mente bacata di chi marcisce di miopia. Che un uomo come te, buontempone dai denti bianchissimi e gli occhi lucentissimi, può essere un ponte. Tra due popoli, due culture, due religioni, due universi. Un ponte su cui l’andirivieni di passi e percorsi è senza contrarietà. Senza avversità. Senza niente. È un andirivieni un po’ così… normalissimo.  E lo hai spesso fatto un po’ così, a modo tuo. Come quando hai inscenato lo sketch in cui interpretavi, parlando in dialetto bresciano, una persona che rifiutava di acquistare fazzoletti e accendini da un venditore ambulante di pelle bianca. Genio! 

Eri un ponte, caro Idris, che ha unito genti e tifosi, anche: hai abbattuto barriere, ha superato i confini dei colori, hai legato curve contrapposte e fatto incontrare rette parallele.

E hai fatto scuola. Hai sdoganato la figura del commentatore di parte, sei stato il precedente su cui oggi si disarticola il giornalismo schierato. Perché hai mostrato che tutto ciò è possibile senza perdere mai la bussola dell’onestà intellettuale.  Il tuo idolo era Sivori, Hallah il tuo Dio, il rispetto il tuo credo.
Per questo, ti abbiamo voluto tutti bene. 
Un vecchio detto bresciano recita: A ‘nda sa leca, a sta sa seca (andando si realizza, a stare si muore). Sei andato via dalla tua Africa per realizzare qui il sogno tuo e realizzarti. Brescia ti ha accolto tra le sue braccia da Leonessa, l’Italia ha assecondato i tuoi ruggiti divertenti. 

Eri uno innamorato della bellezza (parole tue) e della tua famiglia, che lasci assieme a un vuoto impossibile da colmare. Lasci una moglie, quattro figlie, un miliardo di lacrime. T’immaginavamo seduto a capotavola, riunito coi tuoi familiari, a tener banco, magari con uno dei tuoi racconti sull’infanzia in Gambia o magari con una delle tue dissertazioni colorite sulla Juventus. C'immaginiamo cosa sarà adesso quella tavola, senza di te. Silenziosa, mesta, melanconica. Esattamente come ci sentiamo adesso noi tutti.

Ci mancherai.
Ci mancherà la tua poliedricità. Ci mancherà il giornalista. Ci mancherà l’attore. Ci mancherà il Dj. Ci mancherà il tuo tg multietnico e le ospitate qua e là. Ci mancherai tu. 

Fai buon viaggio e salutaci Enzo Jannacci, semmai dovessi incontralo lassù, in qualche angolo affollato di cielo. I tuoi esilaranti pomeriggi domenicali cominciavano con quella sua musica un po’ così, un nonsense pieno di senso che ci ha regalato capolavori assoluti; e sì che Alvaro Recoba non è un giocatore di calcio, è un Patriot … oh yes! Lassù starete da Dio, tra quelli che con una bella dormita passa tutto … ohhhh yes!

Voglio chiuderlo un po’ così, questo mio saluto, col sorriso tra le labbra, che ti sussurrano di riposare in pace. 
Ciao Idris.