C'era una volta Agnelli...                        
Ma sarà l'ultimo degli autentici Agnelli? No, perché il loro nome sembra legato indissolubilmente alla storia della vecchia Signora, è come se entrambi, la Juve e gli Agnelli, esistessero da tempo immemore.
Per carità, nulla contro il pedigree degli Elkan, ma un Agnelli alla guida della Juventus è un'altra cosa
"Cognomen" omen, avrebbero detto i latini se, anziché a tigri e gladiatori, avessero vissuto a panem et pallonem. Certo, tra gli spalti del Colosseo avrebbero inneggiato ai lupi giallorossi o alle aquile biancocelesti ma, c'è da scommetterci, la Gens Agnorum avrebbe dominato incontrastata.

Che  battaglie, che partite quando fosse scesa in campo l'Augusta taurinorum! E io l'ho visto... I rampolli e le matrone della Gens agnorum sugli spalti nobiliari, a salutar la folla festante, che intonava canti e cori inneggianti agli "undici, undici, undici tori, noi vogliamo undici tori ... i leoni no, non era il caso. 
E ne ammiravano, di atleti! I più valorosi, specie sotto il dominio del discendente Andreas.
Il giovane Agnus aveva il "cognomen" perfetto per essere il dominus della squadra dalla divisa a strisce. E ci sapeva fare: vinse le insegne dell'impero per nove anni di fila, sotto la guida sapiente dei lanisti Antonio, prima, e Max-imus, dopo. Si assicuró financo le prestazioni del migliore giocatore del mondo allora conosciuto (per il Brasile e i brasileros bisogna aspettare più d'un migliaio d'anni... ma questa è un'altra storia). Si chiamava Ronaldus, era un portento, uno baciato dagli dei, ma aveva il difetto, allora era un difetto, d'essere Cristiano; sia ben chiaro, non ci fu nessun rogo e nessun leone se lo sbranò, ma dopo due anni di gloria, gol e tifosi coi pollici in "sium", CRVII fu mandato via, con le tasche piene di pecunia e altri pollici in "sium" da conquistare in terra di Britannia, che tuttavia non gli fu propizia come un tempo (ma questa è un'altra storia).

Andreas Agnus continuò imperterrito e il popolo bianconero si fidava di lui, perché tanti trofei avea conquistato e tanti altri promettea di conquistare, chiamando a corte giovani virgulti, un talentuoso Fideo venuto da chissà dove e vecchie glorie galliche. Ma un giorno infausto, che nessun aruspice aveva predetto, un praetor lo accusò e lui comprese che probabilmente non ne era plusvalso la pena.
Ma ormai era tardi. La pena la rischiava lui, perciò si dimise e, con lui, tutto il consilium. 

I secoli passarono e passò tanta acqua sotto i ponti (quello di Messina non fu mai costruito, ma anche  questa è un'altra storia). L'Augusta taurinorum mutó il suo nome, senza però abbandonare l'aulica lingua latina.
La distania degli Agnelli continuò a farla da padrona, nelle italiche tenzoni e in quelle del mondo conosciuto.  Ma Vico ci aveva preso in pieno: duemila anni dopo (decennio più, decennio meno), un altro Andrea Agnelli avrebbe conquistato titoli e poi sarebbe stato sbranato dai lupi di Procura e dal lupo Elkan...
No, quello è il fratello (ma questa è un'altra telenovela ancora).