Caro Gianluca,
scusa se mi rivolgo a te con questa licenza, ma come vuoi che ci si rivolga ad un amico, ad un conoscente, ad un parente?
Perché questo tu sei, per me e per tutti gli italiani; almeno per quelli che amano il calcio, che sono cresciuti a “La domenica messa, pranzo e pallone”, prima che lo spezzatino non assurgesse a dimensione programmatica da palinsesto; per quelli che vivono le cose del pallone come una piacevolissima appendice della propria vita quotidiana; per quelli che tifano, ognuno, per la propria squadra, ma che riconoscono l’universalità di certi campioni, senza campanile e senza tempo e con un solo colore: l’azzurro - Italia.
Quella tonalità d’azzurro impossibile da riprodurre, rinvenibile solo nella magia traslucida di maglie sudate, indimenticabile seconda pelle per alcuni di voi.
La tua seconda pelle. Talmente tua, d’averla portata con piglio disinvolto anche quando hai smesso i panni del bomber e hai indossato l’abito d’ordinanza del dirigente perfetto. Quella maglia è tua, è sempre stata tua.

Ce l’avevi cucita addosso quando galoppavi, puledro riccioluto, sulle praterie sperdute dell’Under, donando ai tuoi bradi compagni azzurrini (e ai tuoi primi tifosi )11 reti in 21 presenze. L’hai indossata, sin dal 16 novembre del 1985, quando il vecio Bearzot ti fece esordire in nazionale maggiore e, poi, per altre 58 volte, volteggiando nell’aria a testa in giù a ognuno dei 16 gol che realizzavi. E sai, è incredibile come, pur non vincendo nulla in nazionale, il tuo nome e l’azzurro siano rimasti quasi simbioticamente impressi nella nostra memoria. Probabilmente perché ogni goccia di sudore che hai versato su quella maglia è stato inchiostro indelebile con cui hai vergato una storia magica, di notti che prima o poi magiche avrebbero dovuto esserlo per forza.

E così è stato. In quella sera d’estate londinese, sul magico prato di Wembley non avevi addosso la t-shirt col numero dietro, ma un po' sudato lo eri, ammettilo, e l’azzurro, tutto l’azzurro del mondo, era in quell’abbraccio con Roberto Mancini.
È proprio vero, l’azzurro ce l’hai dentro. È nel tuo destino, se vogliamo. Pur se chiamata blucerchiata, azzurra era la maglia della Samp, quando tu, Mancio e la meravigliosa compagnia Boskoviana scolpivate sulle acque del mare i riflessi metallici di un’impresa, sfavillante come il sole delle mattine genovesi.
E dimmi: che colore era la tua maglia, quando hai vinto la Coppa dei campioni con la Juve? Si giocava a Roma, contro l’Ajax e la tua casacca non era affatto bianconera. Per non parlare della tua più importante esperienza all’estero, nel Chelsea. Insomma, tuo è l’azzurro e tuo lo sarà per sempre, anche adesso che te ne sei dovuto andare dalla nazionale, perché così ti han detto di fare altri campioni, quelli in camice bianco, campioni mai abbastanza celebrati, osannati, applauditi.

Ci mancherai, Gianluca. Mancherai alla nazionale; mancherà l’autorevolezza della tua storia; mancherà la tua presenza, invisibile se del caso o torreggiante se del caso; mancherà quel tuo ardore, ch’emana dagli occhi di un campione, che tante ne ha viste, tante ne ha vinte e che campione sa esserlo anche in questa tua ultima sfida. La più importante.
No, non preoccuparti: adesso non mi lascerò sedurre dal romanticismo, non cederò alla solita, stucchevole storia del calcio come metafora della vita … è la partita più importante che stai giocando… fai gol alla malattia e banalità di questo tipo.
Al diavolo! Al diavolo i consigli, gl’incitamenti, le raccomandazioni, i pollici versi e “Forza campione!”. E al diavolo il tumore. Sì, il tumore. Chiamiamolo per nome, perché c’è, è qui, maledettamente reale, terribilmente mortale.

Si chiama tumore e tu lo stai affrontando, guardandolo dritto in faccia. E non c’è nulla di straordinario in questo. È tutto straordinariamente normale, è tutto straordinariamente derubricato a tragica normalità. Lo stai affrontando, forse lo sconfiggerai o forse no. Ma lo stai affrontando, come tante altre persone affrontano questo mostro ed ogni altra mostruosità della vita.
Ecco, una persona. Che gran persona che sei!
Nonostante la fama, il successo e i riflettori, ti mostri al mondo intero come una persona. Una persona, non un personaggio. E una persona soffre, gioisce, vince, perde, spera, si arrende, si ammala, guarisce, peggiora...
Non lo so se ti piacerà ciò che sto per scrivere, ma è una verità: chi è inciampato su quella mortifera buca chiamata tumore, rispecchiandosi in te, si sente un po’ meno solo. Ecco cosa c’è di straordinario, ecco il campione!
 

E che nessuno ti chiami antieroe. È eroe chi vive la vita di tutti i giorni. Chi si alza la mattina e torna a casa la sera con un pezzo di pane, dopo una giornata di lavoro. Chi educa i figli con la forza di un no. Chi, anzichè sbattere la porta e andare via, trova sempre un motivo per far pace. Chi insegna agli alunni “com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Chi cura gli ammalati. Chi persegue i delinquenti. Chi accompagna la nonna a prender la pensione. Chi denuncia il compagno violento. Chi scrive verità e non fa sconti al potere. Chi fa beneficienza e lo fa in silenzio. Chi legge un libro, preferendolo a Instagram. Chi la sera, a tavola, spegne il cellulare preferendogli le storie della giornata appena trascorsa. Eroiche sono le persone di tutti i giorni. Eroe sei tu, che stai vivendo la malattia come una persona e non come un personaggio.  

“È un avversario molto più forte di me”, hai detto, parlando della neoplasia che ha invaso il tuo pancreas e la tua vita. Non hai fatto il fenomeno, lo stai affrontando e basta. Lo stai affrontando con consapevolezza e, forse non lo sai, ma è questo il più grande dono che tu, persona arcinota e arciamata, possa fare a chi soffre degli stessi patimenti: l’esempio della consapevolezza. Spesso, infatti, la reazione è la negazione o l’illusione o, peggio ancora, un “Perché?” che non smette mai di risuonare in ogni angolo della testa. Spesso gliela si dà vinta, al mostro bastardo, prima ancora di esserne davvero sopraffatti.

E, altro dono immenso, non lo hai tenuto nascosto. I personaggi famosi sovente lo fanno, provano vergogna delle proprie malattie, probabilmente perché esse li rendono, agli occhi del mondo, semplici esseri umani in balia di quella caducità a cui cercano d’opporsi in ogni modo. Tu no, tu non porti alcuna maschera. Le maschere cercano riflettori che li rendano personaggi, tu personaggio lo sei solo quando i riflettori s’accendono sulle tue azioni. Tu i riflettori li hai cercati solo per accendere la verità sulla tua malattia. E sei diventato il migliore amico di tutti i sofferenti come te. Il miglior clown che si possa aggirare tra le corsie d’un ospedale di pediatria oncologica, la migliore risposta a chi passa le sue peggiori ore attaccato a una flebo, il conforto migliore per chi vomita l’anima mentre affida le ultime sue lacrime a un freddo lavandino, la miglior pelata tra gli ammalati senza capelli.
La tua coppola è la migliore idea per il mio regalo di Natale. Si chiama Alfredo, siamo amici da quando andavamo alle elementari, la chemio gli ha tolto le forze, gli ha tolto il sorriso e gli ha tolto i capelli. Andrò a trovarlo in questi giorni, cercherò di fargli forza parlandogli di te (è juventino); cercherò di estorcergli un sorriso, prendendolo in giro per i capelli che ha perduto; e poi gli regalerò una coppola, dicendogli che con questa in testa rassomiglia, uguale sputato, a te.
Quanto è vero! Quanto è prezioso!

Quanto sei prezioso, Gianluca! È che l’azzurro è azzurro, non c’è niente da fare. È il colore del cielo, della libertà, della vita. E tu ce l’hai dentro, tu hai la vita dentro. Anche ora, che la morte bussa alla tua porta … oh, mi raccomando, non aprire. Dille di passare dopo, ché abbracci e vittorie ancora devi regalarcene. 
Del resto, la federazione ti ha conservato il posto, no? E noi aspettiamo, non c'è premura, prenditi tutto il tempo che ti serve…
Ciao campione. Ciao Gianluca.