La polemica tra Risultatisti e Giochisti sta infiammando le pagine di Vivo per Lei. Potrei vestirmi da pompiere e tentare di spegnerla, ma nelle vene mi scorre il sangue della Magna Grecia, ribollente e olimpico, non certo il sangue nordico, glaciale e composto. Non posso quindi esimermi dal prendere parte alla polemica, anzi alla battaglia, perché in campo non ci sono due Idee, ma due Eserciti, l’un contro l’altro armati.

Una volta fu Gianni Brera contro Gino Palumbo, scuola lumbard contro scuola partenopea, catenaccio contro offensivismo. Le penne usate come spade, perché di duello si trattava. Un vero duello fu davvero affrontato da Gino Palumbo, sfidato dal conte Antonio Scotti di Uccio, capo dei servizi sportivi del Roma, quotidiano napoletano di proprietà di Achille Lauro, armatore e presidente del Napoli, da sempre bersaglio delle critiche di Palumbo per il paternalismo e l’antimodernismo gestionale. Quello fu l’ultimo duello del giornalismo italiano, vinto da Palumbo al primo sangue: dopo quel 10 giugno 1959 le spade furono sostituite dalle penne, anzi dalle macchine da scrivere Olivetti.

Torniamo all’oggi. Epoca di computer, di tablet, di smartphone. I duelli si fanno sui social, non più all’alba e coi padrini. Persino l’onore è ormai un corollario, spesso puntualmente ignorato. Fortunatamente, sulle pagine di Vivo per Lei possiamo permetterci duelli “vecchio stile”, dove ci confrontiamo e ci scontriamo sempre senza scadere nell’eccesso e, quando capita, persino ridendoci su.
E’ con questo spirito che prendo parte alla disputa tra Risultatisti e Giochisti, dichiarando fin da subito che abbiamo ragione noi, i Giochisti. E non ammetto smentite, anche perché non ve ne possono essere! 

Scherzi a parte, lo scontro tra queste due “categorie dello spirito”, direbbe il Filosofo, non potrà mai avere un vincitore riconosciuto dall’avversario: diversi i fini, antitetici i presupposti, distanti i metodi. Meglio un bel piatto di pasta o una bistecca? Più o meno, stiamo parlando di questa differenza. Certo, si parla pur sempre di tavola, di portate, di quella che il Verga definiva “roba” da mangiare. Brera, amante del buon vino e della cucina padana, e Palumbo, uomo dai gusti e dai sapori mediterranei, erano distanti anche in quello e sarebbero stati capaci di una disputa filosofica persino sulla polenta o sulla pizza. Per questo dico ai fratelli Giochisti: lasciamo pure la polenta a loro, noi prendiamoci la pizza!

Tornando allo scherzo, perché questo articolo andrà avanti così, zigzagando tra il serio e il faceto, senza mai scadere – si spera! – nel serioso o nel ridicolo, noi Giochisti abbiamo ragione perché i Risultatisti possono addurre solo una prova alla loro teoria: i risultati, appunto. Noi invece possiamo portare decine di esempi di squadre che non hanno mai vinto niente, eppure hanno lasciato tracce indelebili nella storia del Calcio e hanno ispirato decine di allenatori che, successivamente, hanno attinto a quelle fonti per vincere e convincere. 
Qualche esempio? L’Ungheria di Puskas e Hidegkuti, primo “falso nueve” della storia del calcio. Il calcio magiaro è stato un riferimento costante almeno fino agli anni Settanta del secolo scorso. La Nazionale Ungherese del dopoguerra è stata chiamata Aranycsapat: Squadra d’oro. Sapete cosa hanno vinto Puskas, Hidegkuti, Czibor e Koncsis? Assolutamente nulla! Eppure sono stati un riferimento per generazioni e generazioni di calciatori e allenatori. L’Ungheria giocava col “Doppio M”, un modulo che si rifaceva al Sistema, meglio noto anche come WM. Fu una rivoluzione: le ali smettevano di essere attaccanti e diventavano centrocampisti, il centravanti arretrava e le mezzali attaccavano la profondità e diventavano attaccanti. Calcio totale antelitteram, tra l’altro con la difesa a tre e due mediani, uno di spola, l’altro di manovra.

La stessa Aranycsapat ungherese si era abbeverata a una fonte precedente: il Wunderteam austriaco, la Squadra delle Meraviglie. Allenata da Hugo Meisl e capitanata da Matthias Sindelar, soprannominato Cartavelina per l’eleganza e la conformazione fisica, quella nazionale stravolse molte “verità inconfutabili” del calcio dell’epoca: due difensori centrali, davanti ai quali vi erano tre centrocampisti, gli esterni a tutta fascia, due mezzepunte dietro il centravanti Sindelar, l’uomo del gran rifiuto ad Hitler, in quanto non volle mai vestire la maglia della nazionale nazista dopo l’annessione dell’Austria alla Germania e morì nel 1939 in circostanze misteriose. Cosa ha vinto il Wunderteam austriaco? Niente. Miglior risultato, un quarto posto ai mondiali italiani del 1934. Bacheca vuota, quindi, ma memoria e gloria imperiture nella Storia del Calcio. 
Senza il Wunderteam austriaco e l’Aranycsapat ungherese non avremmo conosciuto l’Arancia Meccanica, la spettacolare nazionale olandese del Calcio Totale, guidata da Michels in panchina e da Cruyff in campo. Inutile spendere tante parole per una nazionale che ha letteralmente rivoluzionato il mondo del pallone europeo e mondiale. Titoli vinti? Zero.
“Eh, ma allora voi Giochisti vi accontentate di giocare bene… e di perdere sempre!”. L’obiezione risultatista, facilmente prevedibile, è presto confutata. Giusto il tempo di inforcare tra le labbra un secondo sigaro (il primo l’ho terminato mentre pensavo a Vittorio Pozzo, campione del Mondo nel 1934 e 1938, campione olimpico nel 1936… e inventore del 4-3-3, ma quest’ultimo aspetto viene puntualmente omesso dai risultatisti), dare fuoco con l’accendino e tirare un paio di boccate profonde.

Rimanendo solo all’ultimo esempio, Michels e Cruyff, giova ricordare che la nazionale olandese era la trasposizione, negli uomini e nei concetti, di quanto Ajax e Feyenoord facevano in patria. In quegli anni, l’Ajax vinse quattro campionati, tre coppe d’Olanda e tre Coppe Campioni. E chi vinse la Coppa dei Campioni prima del triennio dell’Ajax? Il Feyenoord, chiaramente. La squadra di Rotterdam fece capire al mondo cosa stava producendo il calcio olandese. Il mondo, come sempre dominato dai risultatisti, coloro che Karl Marx avrebbe sprezzante considerato “la classe dominante”, non riuscì a comprendere. Anni dopo, appese le scarpette al chiodo, Cruyff divenne allenatore. Il suo Barcellona, inutile a dirsi, giocava un calcio divino. Era soprannominato Dream Team, come l’incredibile squadra di basket statunitense che vinse l’oro olimpico proprio a Barcellona nel 1992. Il Dream Team di Cruyff, che riuscì a mettere nella bacheca blaugrana la prima Coppa dei Campioni della sua storia, battendo in finale la Sampdoria, aveva Romario e Stoichkov in attacco, ma anche Pep Guardiola a centrocampo. Pep Guardiola, ovvero l’uomo che, divenuto allenatore, ha segnato il calcio del nuovo millennio, portando una ulteriore evoluzione al calcio totale di Michels e Cruyff, arrivando a teorizzare, davanti a chi gli chiedeva come mai la sua squadra a volte giocasse senza un centravanti, che “il centravanti è lo spazio”. Parole incomprensibili per i fan di Allegri, del Paron Rocco e di Gianni Brera. Vale la pena ricordare che il Barcellona di Guardiola qualcosina l’ha vinta, alla faccia dei risultatisti che accusano noi giochisti di essere belli, ma di non saper ballare: 3 campionati spagnoli, 2 coppe del Rey, 3 supercoppe di Spagna, 2 Champions League, 2 supercoppe europee, 2 coppe del mondo per club. 

Il sigaro sta finendo, quindi debbo avviarmi a conclusione. Credo di aver surclassato abbastanza i Risultatisti della prima e della sesta ora. I miei compagni Giochisti saranno fieri di me. Perché ho dimostrato che i Risultatisti hanno dalla loro parte solo il risultato e, in moltissimi casi, nessuno si ricorderà mai di come giocavano (si pensi a Ottmar Hitzfeld, 7 campionati tedeschi vinti, 2 Champions League e 1 Coppa Intercontinentale, del cui calcio nessuno ricorda nulla). Noi Giochisti, invece, abbiamo dalla nostra i risultati e, soprattutto, la magia. Quella che spinge un bambino a prendere un pallone, scendere in strada e provare un numero alla Ronaldinho, senza pensare se sia fine a se stesso o se potrà avere una qualche utilità. Il massimo cui possono ambire i Risultatisti sono le statistiche su wikipedia e qualche articoletto compiacente. Noi Giochisti saremo sempre protagonisti di romanzi, di canzoni, di opere d’arte. Su di noi possono essere realizzati film o serie TV; sui Risultatisti, al massimo, qualche documentario.
Bene. Lo scherzo è finito. Il sigaro pure. Questo articoletto va preso per quello che è: una boutade. Un saluto a tutti i militanti Giochisti e un abbraccio a tutti i Risultatisti. Ai primi dico di non mollare mai, un mondo (del calcio) diverso è possibile. Ai secondi, concedendomi un’ultima sorridente punzecchiatura, auguro di ottenere sempre grandissimi risultati, perché senza risultati… che cosa vi rimane???