Nei giorni scorsi, a pranzo, mi sono fermato a mangiare in un ristorante sulla via Emilia. Siccome ero molto affamato, non mi sono fatto mancare niente. Quindi, senza pensare alla bilancia, ho deciso di ordinare: Prosciutto Crudo, Lasagne, Tortelli ed Erbazzone. Yumm! Che fame! Ovviamente il tutto annaffiato con del leggendario Lambrusco. Sarà stato l’appetito, il vinello o il profumino invitante di queste prelibatezze, che il criceto pallonaro, situato nella mia testa, ha bussato dicendo: “Ehy Derox, ma queste specialità non ti pare che abbiano a che fare con qualcosa che è successo nel calcio?”. Sorseggio il Lambrusco, magari me lo fa ricordare meglio.
Ecco che si accende la lampadina! Ma certo! Queste quattro pietanze, situate sulla stessa tavola, mi hanno fatto ricordare che sono le specialità di quattro città, che si sono analogamente trovate tutte assieme nello stesso campionato di serie A per la prima volta nella loro storia: Parma, Bologna, Piacenza e Reggiana. Come ho fatto a scordarlo?! Correva l’anno 1996/97 e la via Emilia pullulava di entusiasmo per il calcio che conta. Festeggio questa rimembranza con unaltro goccetto. Un cin per me! Ora che queste squisitezze stanno man mano per arrivare, credo sia doveroso ripensare alle gesta di ogni squadra con il piatto che la rappresenta.

L’affettato per eccellenza apre le danze. Sua maestà da Parma, il Prosciutto Crudo. Quando lo assaggi non vorresti mai mandarlo giù. E mentre lo assaporo, ecco che i ricordi legati a quella squadra stanno facendo capolino. Se non ricordo male, l’estate del ‘96 a Parma fu ricca di cambiamenti. Innanzitutto a livello dirigenziale, con la famiglia Tanzi che non si limitò più a far solo da sponsor, ma ne acquisì la presidenza. A livello di staff se ne andò il grande artefice dei successi di quegli anni: mister Nevio Scala, sostituito da un allenatore alla sua primissima esperienza in serie A: Carletto Ancelotti (all’epoca 37enne!!). Partenze eccellenti anche per quanto riguarda i giocatori. La difesa perse due pedine storiche come capitan Minotti e il terzino sinistro Di Chiara. Oltre a loro due, se ne andò anche il centrale portoghese Fernando Couto. In attacco fecero le valigie un giovanissimo Pippo Inzaghi (che proprio dalla stagione che stava per iniziare cominciò a spiccare il volo), il mattacchione Tino Asprilla e la stella bulgara che non brillò di luce propria: Hristo Stoickov. Arrivarono due giovani calciatori che avrebbero fatto la storia del club: in difesa il francese Lilian Thuram e in attacco il semi-sconosciuto Hernan Crespo. Infine i ducali riuscirono ad aggiudicarsi il bomber rivelazione della stagione appena passata: Enrico Chiesa dalla Sampdoria.

Prime due fette di Crudo andate. Me ne restano altre cinque. Voglio gustarmele con calma. Le ambizioni erano alte, ma i risultati sembravano dire tutt’altro. I ducali vennero clamorosamente eliminati al primo turno sia di Coppa Italia sia di Coppa Uefa. Roba da non credere! In campionato una roboante vittoria col Napoli, un successo rocambolesco nel derby dell’’Enza con la Reggiana, la prima vittoria in trasferta a Cagliari e poi ancora il buio. Ed eravamo solo alla quinta giornata. Ancelotti rischiava di bruciarsi ancor prima di poter iniziare la sua carriera nel calcio che conta. Sembra incredibile, eppure a salvarlo fu proprio il “suo” Milan, nello stadio che era considerato la sua seconda casa: San Siro. Sotto l’albero di Natale, i rossoneri (di cui alcuni suoi ex compagni nella leggendaria squadra degli “Immortali”) fecero trovare tre punti a favore del buon Carletto, che grazie a questo successo salvò la panchina, potè mangiarsi il panettone in santa pace e ripartire alla grande. Da quel momento in poi, oltre alla definitiva esplosione del giovane Buffon in porta, l’accoppiata Chiesa - Crespo a suon di gol non fece rimpiangere l’idolo di casa Gianfranco Zola, nel frattempo volato a Londra per diventare “magic Box”. I gialloblù intrapresero una marcia inarrestabile che li portarono a soli due punti dalla Juventus Campione d’Italia e, per la prima volta, si qualificarono alla Champions League.

Oh, il piatto è vuoto! Peccato! Qualche attimo di pausa e poi da lontano vidi arrivare bella imponente in tutta la sua compattezza, la regina dei primi: la Lasagna Bolognese. Tutta quella sfoglia con il suo ragù a darle un tocco di maestosità, una squisitezza! C’è da stropicciarsi gli occhi. Come fecero i supporters rossoblu in quella stagione. La città felsinea era reduce da due promozioni consecutive e quindi l’entusiasmo era alle stelle. Condottiero di quella storica impresa è mister Renzo Ulivieri, toscano di San Miniato (PI). Tra i giocatori si registra il ritorno dalla Juve del figliol prodigo, il veterano Giancarlo “ciccio” Marocchi e poi una ventata di aria fredda dall’est Europa con gli innesti dei due Igor sovietici: Shalimov e Kolyvanov. Infine venne aggiunta una terza “torre” alle altre due già presenti nello stadio: lo svedese Kennet Andersson. Partenza col botto: sei punti e zero gol subìti nelle prime due partite contro Lazio e Verona. Miglior inizio non ci poteva essere. Milan, Fiorentina e Napoli tra la 3a e la 7a giornata pensavano di demoralizzare l’ambiente rossoblu con le loro vittorie, ma nelle tre successive giornate i ragazzi di Ulivieri giocarono alla prova del 9, come i punti e i gol che fecero in totale contro Roma, Reggiana e Atalanta. Il nuovo anno però si aprì con due sconfitte che potevano lasciare il segno: contro l’altra squadra rivelazione, il Vicenza, e sopratutto nel sentitissimo derby contro il Parma. Ma all’ultima di andata, il Bologna smaltì finalmente tutti i panettoni in corpo e fece la voce grossa a San Siro, andando a vincere contro l’Inter, che in quel momento era seconda. Ci presero gusto i felsinei, che sbancarono anche l’Olimpico contro la Lazio e sommersero di ben 6 gol il malcapitato Verona! Il cammino proseguì sostanzialmente in maniera positiva, a parte una sonora sbandata contro il Perugia e il derby perso anche al ritorno contro il Parma. Classifica alla mano, il Bologna aveva ottenuto il miglior risultato nella massima serie dalla fine degli anni 60: un settimo posto e una qualificazione Uefa sfiorata di poco, che ha riempito d’orgoglio un’intera città, desiderosa da tempo di tornare ai fasti del passato. Se si aggiunge che in Coppa Italia il mancato approdo in finale è sfuggito di un nonnulla contro il Vicenza (poi vincitore) allora tanto di cappello.

Anche alla Lasagna, ovviamente! Che nel frattempo l’ho divorata e manco me ne sono accorto da talmente eccezionale qual’era. L’appetito non era ancora cessato, anzi adesso arrivava un altro piatto tutto italianissimo: i Tortelli Piacentini, con il loro delizioso ripieno di spinaci e ricotta. Italianissimo proprio come quel team che, da qualche anno, stava adottando un modello autarchico che non si avvaleva in squadra di calciatori stranieri. Dopo l’amara retrocessione patita nel primo storico anno in serie A (1993/94), i biancorossi, dopo un anno di Purgatorio, riassaporarono il dolce gusto del Paradiso. La stessa sensazione che ho appena provato quando ho assaggiato il primo tortello! E visto che l’esperienza ti aiuta a non ripetere errori del passato, il Piacenza sembrava aver capito la lezione e infatti, nella stagione appena trascorsa, evitarono un’altra bocciatura. Come avvenne nella vicina Parma, anche sulla panchina biancorossa era tempo di struggenti addii. Il loro mentore Gigi Cagni lasciò la cittadina emiliana dopo 6 anni, con in saccoccia una promozione in serie B, due promozioni in serie A, una retrocessione (avvenuta solamente all’ultima giornata) e una miracolosa salvezza. Tanto bastava per restare impresso per sempre nel cuore di tutti i tifosi piacentini. La panca viene così occupata dal bergamasco Bortolo Mutti, altro debuttante della categoria come Ancelotti. A centrocampo, dopo 4 anni a tutto sprint, se ne andò Francesco Turrini, velocissima ala destra di grande valore in quella squadra, che venne sostituito dal 25enne Fabian Valtolina. Sempre nella zona nevralgica del campo, l’esperto Giuseppe Scienza prese il posto di Eugenio Corini, approdato al Verona insieme a Cagni che lo volle con sé nella nuova avventura in terra scaligera. Ma è in attacco che si registrano i cambiamenti più importanti: Nicola Caccia, autore di un’ottima stagione condita da 14 gol, lascia la pesante eredità al “Toro di Sora” Pasquale Luiso, bomber proveniente dall’Avellino. Un passaggio di consegne tra due attaccanti napoletani. E come ciliegina sulla torta, dalla acerrima nemica Cremona, arrivò tra lo stupore generale l’attaccante grigiorosso Andrea Tentoni. Ma purtroppo, si rivelò un clamoroso flop. Nonostante il gruppo fosse rigorosamente made in Italy, durante le partite i giocatori cominciarono a ballare la brasiliana “Macarena” ad ogni gol segnato. Promotore di questa folkloristica e originale iniziativa fu Luiso, che con i suoi gol (sopratutto la doppietta contro i cugini reggiani) si stava facendo ben apprezzare dai suoi nuovi tifosi. Il mese di Dicembre, per il Piacenza, lo si può paragonare, con le dovute proporzioni, a quando stai per mangiare l’ultimo tortello che hai nel piatto. 1 Dicembre 1996 = Metti in bocca il tortello... minuto 71 Pasquale Luiso tira fuori dal cilindro una rovesciata pazzesca che annichilisce il Milan = stai assaporando tutto il ripieno del tortello...il tortello è terminato = 30 Dicembre 1996, la dolorosa morte dell’amato presidente Leonardo Garilli. Questo fu un duro colpo per tutta la città emiliana, che si radunò al gran completo al suo funerale. Da quel giorno il Piacenza accusò il colpo e, per rivederlo vittorioso, si dovette attendere fino al 16 Febbraio contro il Napoli dei due ex Caccia e Turrini. Anche “il Toro di Sora” nel frattempo era sparito dai radar della classifica marcatori, e finalmente a metà Aprile decise che era il momento di tornare a incornare i portieri avversari. L’incostanza di vittorie e un esagerato numero di pareggi (ben 16 a fine campionato, record!) ebbe il suo epilogo nella classifica finale che rispecchiava questo punteggio: Piacenza, Cagliari e Perugia 37 pt. E mò, che famo? Direbbero a Roma. Facile, si guardò la classifica avulsa e la malasorte toccò agli umbri che, negli scontri diretti, risultarono i più deficitari. Così il 15 Giugno 1997, in una assolata giornata estiva, nel bollente catino del San Paolo di Napoli, sardi ed emiliani diedero vita a uno spareggio thriller, conclusasi con la vittoria di quest’ultimi per 3-1. Sugli scudi nientepopodimeno che il bomber di casa, Pasquale Luiso, autore di una doppietta e che con i suoi 16 gol (sui 29 realizzati in totale dalla squadra) risultò il miglior realizzatore fra i suoi compagni. Piacenza in festa! Seconda salvezza consecutiva. Scontato dire che il successo venne ovviamente dedicato al loro compianto patron e alla sua famiglia, che nel frattempo, tramite i figli, presero le redini della presidenza.

Direi che il mio stomaco sta dando segni di cedimento, ma per un’ultima portata c'è ancora posto. Già, ultima, proprio come la posizione in classifica della squadra che rappresenta il piatto che sto per assaporare, ovvero l’Erbazzone. Una gustosa torta salata con un ripieno verde scuro, dovuto alla bietola presente al suo interno. Che è amara. Proprio come la stagione della Reggiana. E pensare che in città l’entusiasmo era ritornato alle stelle dopo la retrocessione di un anno prima. La società voleva fare le cose in grande e durante l’estate si scatenò acquistando giocatori a destra e a manca. In difesa, oltre ai già navigati del campionato italiano George Grun e Filippo Galli, sbarcarono Hatz & Beiersdorfer (che sembrava più il nome di una ditta di autotrasporti austriaca). Il centrocampo venne rinforzato con (ben!) 7 innesti, mentre in attaccò approdarono il nazionale colombiano Adolfo Valencia (detto “El Tren”) e sopratutto il “Cobra”, al secolo Sandro Tovalieri. Anche la panchina granata, come le già citate Parma e Piacenza, cambiò comandante. Il giovane Carletto Ancelotti, autore dell’immediata risalita, si trasferì dai vicini (e odiati) gialloblù, e il suo posto venne preso in eredità dal quel volpone romeno, ormai esperto conoscitore del nostro calcio, Mircea Lucescu. L’inizio della stagione sembrava promettere scintille: successo folgorante per 4-2 in Coppa Italia nel derby contro la Spal, con il “Cobra” che per ben tre volte inflisse morsi letali al portiere avversario. Una settimana più tardi, sempre il bomber romano, nel primo turno di campionato in casa, sgusciò tra una selva di difensori bianconeri e avvelenò con il gol del pareggio la Juventus, fresca Campione d’Europa. Viste queste premesse, i tifosi reggiani stavano cominciando ad avere l’acquolina in bocca. Come la mia, che appena vidi arrivare l’Erbazzone, anche il mio stomaco mi fece capire che almeno due fette erano consentite. Ma dopo la prima, ottima e saporita, cominciai ad avvertire una leggera sensazione di sazietà. Quella sensazione che probabilmente avvertì anche la Reggiana, che già appena dopo quella partita, sembrava non avere abbastanza “fame” per poter farne boccone degli avversari. Solo che io avevo già in corpo altre tre portate, i granata emiliani erano solo all’inzio del pasto. La squadra di Lucescu raggranellò 4 miseri punti nelle prime dieci giornate e sopratutto incassarono 3 gol ad ogni partita nelle sfide in famiglia contro i cugini parmensi, piacentini e bolognesi. A pagare dazio fu ovviamente il tecnico romeno, cui subentrò Francesco Oddo. Le cose non cambiarono e quella sensazione di “sazietà” sparì momentaneamente il 5 Gennaio (terz’ultima di andata), quando al Renato Curi di Perugia, i commensali granata assaporarono finalmente il gusto della prima vittoria! Ma lo “stomaco” di quella squadra non era abbastanza spazioso e si riaprì un’ultima volta alla quinta di ritorno quando, colti da gran appetito, divorarono con quattro possenti forchettate l’Hellas Verona al Bentegodi. Nel frattempo anch’io avevo appena ingurgitato la seconda fetta. Ed ero a posto così. Come la Reggiana, che da quel momento in poi, tra misere partite a reti bianche e sconfitte con almeno tre gol di scarto (fatta eccezione con la Lazio che gliene rifilò 6!) alzò bandiera bianca ed era pronta a pagarne il conto. Salatissimo ovviamente. Non come il mio, per fortuna. Retrocessione con quattro giornate di anticipo, peggior attacco e peggior difesa del torneo. Ma cosa ancora più demoralizzante, zero vittorie nel proprio fortino, lo stadio Giglio, primo impianto di proprietà in Italia, inaugurato due anni prima e tirato a lucido per far in modo che i tifosi potessero assistere alle imprese dei propri beniamini in serie A.
Un ultimo bicchiere di Lambrusco e tornai a casa bello soddisfatto.