Cosa c'è di meglio di un buon bicchiere di vino quando non si trova l'ispirazione per scrivere? Lo sorseggio, me lo gusto e vedendo quel bicchiere di rosso, si materializza nella mia mente Alex Ferguson. Il mister scozzese, diventato leggenda come manager del Manchester United, aveva l'originale usanza di invitare l'allenatore della squadra avversaria nel suo ufficio dopo ogni partita, per bere in compagnia una bottiglia di vino offerta da lui stesso oppure gentilmente omaggiata dal suo avversario. Una trovata geniale direi. Un modo per eliminare qualsiasi scoria avvenuta durante il match e farsi quattro chiacchere come fossero due amici al bar. Anzi al pub, sorry.

L'Inghilterra è stata zeppa di campioni... 'della bottiglia'. Di George Best, leggendario attaccante dei Red Devils, si potrebbero scrivere fiumi di inchiostro sul suo enorme talento, qual'era, in campo e fuori. Direi che due semplici frasi dette da egli stesso ne possano riassumere il personaggio anche se qualcuno non lo avesse mai sentito nominare: "Ho speso gran parte dei miei soldi per donne, alcol e automobili. Il resto l’ho sperperato" e "Nel 1969 ho dato un taglio a donne e alcool. Sono stati i venti minuti peggiori della mia vita". Nel 2005, la vita terrena, sotto mentite spoglie di un'inesorabile infezione epatica, gli presentò il conto.

Tralasciando poi il mitico Paul Gascoigne, di cui ho già narrato le sue eroiche e folkloristiche gesta in uno dei miei primi articoli, il primo nome che mi viene in mente è quello di Roy Keane, tanto per stare in tema Manchester United. Sotto l’egidia di Sir Alex, il centrocampista irlandese fece del gioco duro il suo cavallo di battaglia. Ne sa qualcosa Alfie Haaland del Manchester City, che subì un suo placcaggio in pieno stile Mortal Kombat nel settembre 2001, costringendolo ad un anno di inattività. Keane rivelò che la sera prima si era fatto una bella sbronza. L'alcool fu spesso motivo di diatribe con il manager scozzese, che però lo reputava un giocatore fondamentale per lo United. Era spesso nei pub inglesi e irlandesi, e ha potuto assaporare il triste fascino della prigione dopo che visibilmente ubriaco ha aggredito una donna.

Nell'ultimo anno di Roy Keane, arrivò a Old Trafford un attaccante che sarebbe diventato uno dei più forti e completi al mondo: il diciannovenne Wayne Rooney. Campione sul campo... e fuori. Gol a valanga come le bevute al pub. Memorabile la sua prestazione dopo la vittoria nel derby contro la Scozia, in un hotel di lusso, dove trangugiò bottiglie di vino e birra come se non ci fosse un domani. Ma anche escort, gioco d'azzardo e guida in stato di ebbrezza nel suo menù. Uno dei dottori più conosciuti del Regno Unito affermò che se la sua dipendenza continuasse rischierebbe di fare la stessa fine di Best e Gascoigne. Il soprannome "Wazza", che richiama a Gazza, non è da considerarsi una casualità.

Da Manchester a Londra troviamo Tony Adams, roccioso difensore, che per quasi un ventennio tra il 1984 e il 2002 difese solamente i colori dell'Arsenal. Duro come non mai in campo, ma tanto fragile nella vita. Risse, atti vandalici, incidenti automobilistici, prigione. E alcool. Tanto alcool. Ogni vittoria e ogni sconfitta si concludevano sempre allo stesso modo: ubriacandosi. Anche gli allenamenti non facevano eccezione. Toccò l'apice dopo la semifinale persa ad Euro '96, a Wembley, contro la Germania. Alcol a fiumi dalla fine della partita negli spogliatoi ininterrottamente fino al mattino. Due mesi dopo, ad agosto, Tony disse stop. Ma non alla sua carriera. Il destino gli aveva riservato altri 5 anni in cui si tolse la soddisfazione di vincere gli ultimi trofei con i Gunners. Anche se il trofeo migliore conquistato fu la rinuncia definitiva alla bottiglia (o alla lattina).