Quando si parla di calcio, gioco assai complesso e ricco di fattori simili al quotidiano, non si può non parlare di vita. Il calcio, infatti, è una metafora della vita: si vince e si perde, a volte si pareggia. Il pari talvolta ha il sapore di una gloriosa vittoria o di una bruciante sconfitta. Non è riservato soltanto ai grandi interpreti da contratti milionari e da manifestazione sportive di livello mondiale: il calcio è soprattutto di provincia, grande fetta di questo sport che trasmette imprescindibili valori per la crescita e lo sviluppo dei giovani. Una fetta di torta, appunti, in grado di suscitare da sempre emozioni indescrivibili.

Ciononostante, il calcio di provincia va aiutato, salvaguardato: l'allarme risuona e tocca svariati campi, dalle finanze ai valori sociali. Di mezzo c'è la crisi, la voglia di emergere in un mondo saturo tramite scelte azzardate, errate. Ad oggi gli imprenditori hanno ridotto impegno e risorse mentre i costi aumentano vertiginosamente. I progetti falliscono, alcuni non decollano, altri addirittura non vedono la luce. C'è l'immancabile personaggio che prova a fare il passo più lungo della gamba - spesso e volentieri millantando - mandando sul lastrico delle belle realtà storiche (Parma, Modena...) e contemporanee (Pro Piacenza).

Ne sanno qualcosa gli attuali presidenti FIGC, Gravina, e LegaPro, Ghirelli. Avrebbero dovuto porre rimedio alle grosse difficoltà nelle quali vive il campionato di Serie C ormai da anni, vi era uno sperato desiderio di un format da 60 squadre con tre gironi da 20. Un tempo era la soluzione migliore, oggi è improponibile e la rabbia diventa inesorabile quando si è costretti a raccontare dei soliti punti di penalizzazione inflitti a stagione in corso, per non parlare delle nefandezze del Pro Piacenza per fortuna terminate dopo l'incubo di Cuneo. Questo mondo bellissimo e invidiato in tutto il mondo fino a un decennio fa è stato dilaniato da lestofanti in cerca della ribalta, veri e propri mostri che prima intrigano e affascinato le piazze di proclami, progetti, promesse e ambizioni. Il tutto fino a distruggere la creatura che hanno tra le mani.

Inevitabile conseguenza è la scomparsa del calcio nei centri abitati, grandi e piccoli. Troppi fallimenti si sono succeduti negli ultimi anni, troppe le squadre soggette a punti di penalizzazione per inadempienze varie o illeciti sportivi. Accade ovunque, da nord a sud. La serietà smette di esistere - forse non c'è mai stata - quando è necessaria soprattutto in competizioni minori. Perché il risultato è la morte della passione collettiva e con essa le emozioni uniche che solo il calcio di provincia trasmette non soltanto nell'ultima lega professionistica, ma anche della genuinità dei dilettanti, mondo di aggregazione e tavolate post-gara.

Parliamoci chiaro, non solamente il mondo del pallone è costretto a scontrarsi con i vari problemi sopracitati: dal basket alla pallavolo, fino alla pallanuoto, alla pallamano, persino nel rugby continuano senza tregua a sgretolarsi realtà dal valore morale inestimabile. In passato gli imprenditori locali hanno lanciato più di un segnale per manifestare un disagio generale, dapprima provando a ricostruire dalle macerie. Deve tuttavia cambiare l'atteggiamento perché una volta entrati nel vortice delle giornate spezzettate, dell'anticipo di lusso, del posticipo e del Monday Night in realtà inevitabilmente oscurate da altri format molto più competitivi, venendo però a mancare un riscontro positivo sia da parte delle piazze, sia dal pubblico virtuale, allora aumentano le possibilità di subire un concreto collasso. Certo, l'atteggiamento deve cambiare anche in ottica manageriale e imprenditoriale: la LegaPro deve vigilare e impedire ai sedicenti salvatori della patria di portare instabilità.

Troppo spesso le società non hanno progetti veri, puntano al breve termine allestendo rose sempre nuove di anno in anno accumulando, intanto, debiti macroscopici e insanabili. E il calcio di provincia muore lentamente, giorno dopo giorno. Eppure i rimedi esistono, sono sempre gli stessi e forse le Squadre B non sono una follia, bensì un'opportunità di modernizzare e sviluppare il movimento calcistico del Paese. Così come il passaggio al semiprofessionismo in Serie C per abbattere i costi esosi, ma è una mossa da studiare bene sia per non perdere competitività già tendente dal ribasso, sia per evitare che si crei una voragine con la Serie B.

 

Andrea Cardinale