Il suo nome è Ole Gunnar, il suo mestiere è dipingere opere d'arte sotto forma di imprese sportive. Una volta da calciatore, ora da allenatore: la storia non cambia, né il club d'appartenenza. Ole Gunnar, che di cognome fa Solskjaer, l'aveva detto alla vigilia: "Il Manchester United è abituato alle rimonte". E nella serata di ieri è andata proprio così. Forte del 2-0 maturato all'Old Trafford e al cospetto di un avversario decimato per le defiance quasi mezza rosa, il Paris Saint Germain forse era convinto di dormire sogni tranquilli. Solskjaer, tuttavia, ha le rimonte nel destino insieme con il suo Manchester United, soprattutto nei minuti finali di un match di Champions League. Che siano gli ottavi o l'atto conclusivo, il norvegese calciatore prima, allenatore poi va a segno: 1-3 dal Parc des Princes, Red Devils qualificati e Les Parisiens costretti a vivere l'ennesimo psicodramma sportivo.

Ole Gunnar è stato chiamato alla guida del Manchester United dopo l'esonero di Mourinho da traghettatore, per raddrizzare una situazione piuttosto complicata tra posizione in classifica di Premier League e i rapporti pessimi tra lo spogliatoio e il suo predecessore. Il richiamo del suo grande amore calcistico l'ha convinto a lasciare anzitempo il Molde. Per uno scherzo del destino, anche da calciatore lasciò il club scandinavo nel 1996 per passare alla corte di Ferguson, che ne fece una super riserva di lusso, incaricato di risolvere i momenti complicati e le partite controverse, sempre quando ormai volgevano al termine. La stampa inglese lo soprannominò Baby Face, quindi Baby-Faced Assassin per il suo volto giovanile che nascondeva una vena realizzativa spietata sotto porta.

Tra Solskjaer e i minuti di recupero di Champions League è amore infinito. Divenne l'uomo della speranza quando all'81' di Manchester United-Bayern Monaco, finale di Champions League 1998/99, Sir Alex Ferguson lo buttò nella mischia per tentare una rimonta impossibile sui bavaresi, avanti di un goal e abili nel controllare la situazione senza troppi problemi, Neanche a dirsi, dopo il pareggio di Sheringham, fu proprio il norvegese due minuti dopo, al 93' e a un passo dai supplementari, a trascinare i Red Devils sul tetto più alto d'Europa.

Con lui la parola impossibile viene cancellata, i muri abbattuti. Ogni problematica viene sovvertita dal corso degli eventi e dal fattore Baby Face, che non risparmia coloro che provano ad intralciare il proprio cammino. Essere Ole Gunnar vuol dire puntare in alto gli obiettivi e cercare in tutti i modi di raggiungerli e superarli, per poi impostarne altri nuovi, avvincenti, come egli stesso ha definito la sua avventura nel momento in cui è ritornato a casa, nella sua Manchester.

Nonostante la mossa sembrasse un azzardo, altamente rischiosa per risollevare gli animi di un ambiente uscito devastato dal metodo Mourinho - forse poco adatto in un contesto dove regna ancora la dottrina di Ferguson -, Solskjaer ha ridato smalto ai vari Pogba, Martial, Herrera, Rashford, Lukaku. Ha portato lo United al quarto posto e in piena zona Champions a suon di risultati utili consecutivi (era a -11 dal Chelsea al suo arrivo), ai quarti di FA Cup ancora da disputare contro il Wolverhampton. Soprattutto, ha portato ai quarti di Champions League - dove i Red Devils mancavano da cinque anni - ai danni dell'unica squadra in grado fin qui di battere il nuovo United sotto la guida di Baby-Face Assassin, un PSG che si è sciolto ancora una volta nel momento cruciale della stagione.

La favola di Solskjaer continua e probabilmente sarà riconfermato dalla dirigenza dello United. E a noi non resta che gustarci le gesta di Baby Face, l'uomo che risolve che situazioni impossibili.

 

Andrea Cardinale