Niente da fare, per Henrikh Mkhitaryan la finale di Europa League non s'ha da fare. Il trequartista dell'Arsenal non potrà prendere parte alla partita più importante della stagione, che contrapporrà i suoi Gunners di fronte al Chelsea. Poco importa se si tratta di un atto conclusivo di una importante competizione europea per club, avrebbe i connotati del classico dettaglio infruttuoso, di per sé inefficace per i risolvere una vicenda fastidiosa per tutti, ma quei tutti non hanno forse il potere di ribaltare la situazione venuta a crearsi. Il problema è a monte: la sede della finale.

C'è una mancanza di narrazione nel Vecchio Continente: alla domanda se ci fosse una buona narrazione da raccontare, non sappiamo dare una risposta positiva. L'Europa politica nasce imbrigliata tra mancati accordi economici, burocrazia all'insegna della tolleranza zero nonostante si corra il perenne rischio di scontrarsi tra muri fragili e indistruttibili (vedi Brexit). Eppure non è fantascienza che la nascita dell'Unione doveva mettere fine a secoli di conflitti in un unico organismo di pace straordinaria, aperto a tutti e occupato a risolvere problemi pur al di fuori della Comunità.

Questo è un caso curioso che coinvolge anche la UEFA, organismo sportivo indipendente ma troppo politico. Il silenzio incombe, l'imbarazzo prende il possesso delle personalità che - in qualche modo e nel breve tempo possibile - dovrebbero fare scelte coraggiose, affinché vengano superati tutti gli ostacoli per garantire un'uguaglianza sostanziale e il sopravvento del calcio in merito a questioni lontane anni luce dal concetto di gioco applicato al calcio e dal buonsenso.

Baku sarà il palcoscenico della finale tra Arsenal e Chelsea, ma è prima di tutto capitale dell'Azerbaigian, stato della regione del Caucaso che segna il confine tra Europa Orientale e Asia Sud-occidentale. Ricco di petrolio, il Paese è in guerra con l'Armenia, un conflitto ufficialmente terminato 25 anni fa, mai tuttavia dimenticata e tuttora oggetto di un clima perennemente teso tra i due Stati, per il controllo del Nagorno-Karabakh, territorio conteso da entrambi nel sud del Caucaso poco conosciuto. Così come la guerra, dal 1994 mai dichiarata e mai dimenticata.

La "colpa" di Mkhitaryan è quella di essere armeno e le ragioni di sicurezza gli impongono di non presentarsi in territorio azero, pena l'arresto in quanto "nemico della nazione", come se fosse un soldato pronto a rompere l'accordo sul "cessate il fuoco" e bombardare senza sosta. Neanche un visto speciale può bastare: gli armeni non sono graditi in Azerbaigian (e viceversa) a prescindere dal contesto. Qui, tuttavia, la UEFA ha il dovere di intervenire e sovvertire le questioni politiche e far prevalere lo sport, perché anche a Baku fa gola l'indotto (non come la Champions, ma non trascurabile) generato da una finale di Europa League, specie se si tratta di un derby stracittadino in salsa londinese.

Il silenzio dell'organo amministrativo, organizzativo e di controllo del calcio europeo non fa più di tanto discutere, è semplicemente lampante e sgombra il campo ricco di parole inutili e per fortuna pronunciate da nessuno. Già in passato, proprio lo stesso fantasista dei Gunners all'epoca in forza al Borussia Dortmund, dovette rinunciare alla trasferta di Europa League in terra azera contro il Gabala. Era il 22 ottobre 2015, da quel momento non è cambiato nulla, ma già prima di quel giorno era necessario intervenire.

Ed è chiaro che la politica sovrasta la debole e inetta UEFA, in un mondo nel quale il calcio dovrebbe abbattere i muri, non alzarli. L'ipocrisia e il coraggio degli spot "No al Razzismo" firmati Uefa, vengono cancellati in un colpo solo da una triste vicenda passata sotto banco, neanche in secondo piano, affrontata nel silenzio di chi riesce solo a prendere spunto dalla pilatesca lavata di mani, invece di agire e impedire che venga macchiata l'onorabilità di un organismo che, nel suo dialogo con i rappresentanti UE, intende mettere al primo posto tutte quelle caratteristiche particolari che rispecchiano - o dovrebbero farlo - il calcio e lo distinguono da tutte le altre faccende non gradite, conflitti in corso.

Tuttavia, se ancora nella prossima stagione non potranno essere sorteggiate nello stesso girone e poste l'una contro l'altra nelle fasi ad eliminazione diretta squadre ucraine e russe, il calcio non riuscirà mai a far prevalere le proprie ragioni su quelle belliche. E il caso Mkhitaryan non insegna nulla, solo che il silenzio talvolta racchiude sdegno, debolezza e altre migliaia di parole impronunciabili.