L'ennesima vergogna nazionale e mondiale si verifica alla Sardegna Arena: dagli spalti, alcuni stolti fintamente tifosi rossoblù si qualificano in un modo del tutto distinto, per nulla equivocabile, indirizzando ululati razzisti - misti a fischi di sfida, ma soprattutto i vergognosi "buu" - all'attaccante dell'Inter, Romelu Lukaku, "colpevole" di un'inesistenza, di un concetto vivo soltanto nell'accezione completamente negativa della frangia villana della società odierna. Solita musica, copione già scritto. Tra gli omertosi, i distratti e quelli che vogliono minimizzare per non dare spazio e voce agli "egregi", emerge la verità dei fatti.

Siamo seri per una volta: del razzismo non importa nulla. Non sussiste, non esiste, è un qualcosa di astratto messo qua e là in alcune discussioni. Il tutto finché non va a colpirci sul personale, solo allora il razzismo è un fenomeno da combattere senza fermarsi, senza diritto di replica. Ma anche questa è un'illusione: solo nelle occasioni definite inevitabili, dove non si può far finta di nulla, insieme ai veri lottatori di questo scempio - cui va il sincero e caloroso ringraziamento per ciò che fanno ogni giorno - si mescolano gli opportunisti.

Quando accadde l'episodio di Koulibaly in Inter-Napoli, ci fu giustamente una reazione risentita da per quei beceri ululati e il caso divenne mediatico. Lo stesso - a dire il vero in toni leggermente minori - avvenne quando fu Kean la vittima di quei cori partiti da alcuni sedicenti tifosi del Cagliari; qualcuno sostenne che da quei punti sarebbe partita la riscossa da parte delle istituzioni per ostacolare, affrontare e combattere il razzismo, un fenomeno da non confondere come mera questione racchiusa in un impianto sportivo, perché interessa tutti noi, la società, la popolazione di un Paese che sta smarrendo tutti i suoi valori.

Ed ecco il problema: dopo l'incresciosa disavventura capitata a Lukaku, sarebbe stato un nobile gesto da parte di tutte le tifoserie, specie quelle delle squadre "colpite" in precedenza, alzare la voce e unirsi in solidarietà e come "soldati" in una guerra nella quale il termine razzismo deve sparire al più presto. Invece niente, non ne parla nessuno, non merità la stessa trattazione di Koulibaly o Kean oppure Boateng. Nessuno ne parla fino a quando non viene toccato personalmente e solo in quel momento partono le sommosse, altrimenti prevale il detto comune "meglio lui che a me". Sarebbe stato più che signorile se gli stessi indignati per i propri campioni avessero difeso totalmente anche l'attaccante nerazzurro, stigmatizzando il comportamento dei soliti bifolchi.

Un altro problema è la trattazione dell'argomento da parte dei media: nessun caso, solo goliardia. Un gesto da sminuire e da archiviare secondo alcuni, solamente perché inseriti in un contesto sportivo, dunque più accettabili. Non è bastato neanche un comunicato standard da parte del Cagliari Calcio, atto a prendere le distanze da quegli ululati, nel quale tuttavia non viene menzionato il termine razzismo perché è un guaio mettersi contro anche quella frangia della tifoseria.

Ancora una volta si è persa l'occasione per fare quadrato tutti insieme e scacciare via questa sottocultura, che a quanto pare ci sta bene, non guasta la nostra armonia.
Tanto siamo tutti fratelli finché non mi tocchi, no?