Sono due giorni, ossia da quando Allegri ha presenziato allo Sky Calcio Club di Fabio Caressa e compagnia, che uno stormo di appassionati pallonari non parla d’altro: quanto è bravo Allegri, che belle idee di calcio che ha, chissà su quale panchina siederà la prossima stagione, certo che uno come Allegri è davvero raro, un genio, un grande, un eccezionale allenatore.

Sarà. A me, invece, è sembrato che l’ex allenatore di Juventus e Milan abbia espresso idee di calcio superate e stantie. Ha provato a fare un elogio della “semplicità del pallone” che si è tradotta, nei fatti, in un concorso di banalità senza soluzione di continuità. I discorsi di Allegri sui terzini, sulla tattica, sul palleggio, sulla gestione degli spogliatoi, hanno confermato che, posti come estremi Nereo Rocco da una parte e Pep Guardiola dall’altra, il mister toscano è certamente più vicino al primo ed è anni luce lontano dal secondo. Mentre Guardiola, Klopp, Nagelsmann, giusto per citare tre allenatori tra loro molto diversi per idee ed interpretazione del gioco, sono il presente e il futuro del gioco, Allegri ci tiene a farci sapere che egli è il passato. Orgogliosamente il passato. Come i peggiori conservatori, come i reazionari più duri e puri, il tecnico livornese sogna per l’Italia e per l’Europa un ritorno all’Ancien Regime pallonaro. “Bisogna partire dall’ABC”, afferma con sicumera. Se avesse allenato il Bologna o la Sampdoria e le avesse condotte in Europa League, avrebbe dimostrato di aver ragione. Siccome invece ha allenato fuoriclasse del calibro di Ibrahimovic, Ronaldinho, Robinho, Higuain, Cristiano Ronaldo, diciamo che ha avuto la fortuna di avere un ABC di altissimo livello. “Bisogna partire dai settori giovanili”, ha pontificato; eppure non ricordiamo che Allegri abbia attinto dall’ottima primavera juventina dei suoi anni e i giovani lanciati dal mister toscano si contano sulle dita di una mano. “Nessuno ha mai vinto la Champions giocando con la difesa a tre”, ha evidenziato: chi glielo ricorda che ha fondato le sue fortune sul tridente difensivo Barzagli, Bonucci, Chiellini? “Hai sfiorato due volte la Champions”, gli ricordano, tra una leccata e una lisciata, gli avventori del Club; peccato che andarci vicino conti solo a bocce e che, come lo stesso Allegri tuonò in conferenza stampa dopo lo scudetto vinto sul Napoli di Sarri, il calcio è come l’ippica: conta solo vincere, anche a corto muso.
Sappiamo che il calcio, per Allegri, non sia uno spettacolo: “se uno vuole lo spettacolo, vada al circo”, affermò anni fa. Non si deve stupire, quindi, che dopo anni di vittorie indiscutibili e di altrettanto indiscutibili prestazioni penose delle sue squadre, capaci di una decina di partite memorabili in cinque anni, Agnelli gli abbia dato il benservito. Perché vincere, per gli juventini, è l’unica cosa che conta… ma anche vincere in quelle maniere può far venire il voltastomaco. E non si parla solo degli Orsato o degli Scansuolo, dei fruttini e dei bidoni al posto del cuore, che releghiamo agevolmente alle chiacchiere da bar. Si parla delle partite vinte uno a zero facendo un tiro in porta, del catenaccio indecoroso che, al confronto, faceva assomigliare Trapattoni a Zeman, di Cristiano Ronaldo che allarga le braccia perché, in vantaggio di un gol e di un uomo per settanta minuti, si veniva surclassati dagli avversari. 

Allegri è un ottimo mestierante del gioco del pallone. Pare che sia anche un grande gestore di campioni. E’ certamente un vincente, anche se ha vinto con Milan e Juventus (le due squadre più vincenti del calcio italiano) e in Europa ha vinto meno di Sarri o Emery, che hanno allenato squadre ben più deboli. La sua idea di calcio, però, è figlia di un risultatismo che non ha più ragion d’essere. Perché se contano solo i risultati, allora Di Matteo è un genio della panchina. Se conta solo arrivare davanti, anche se a corto muso, Hitzfield dovrebbe essere studiato a Coverciano. Invece a Coverciano in pochi sanno chi sia stato e il calcio di Allegri, probabilmente, sarà condannato al medesimo oblio.