Salendo al Col del Lys, nel torinese, in giorni di fine estate, si gode dello spettacolo dell’autunno incipiente con i boschi rivestiti di macchie di colore dal rosso, al giallo vivo, al marrone scuro; tutti salgono al colle in quei giorni per non perdersi lo spettacolo. Dopo tante svolte si arriva in cima e quando inizia la discesa si giunge ad un paesino di baite, che a Bertesseno chiamano grange. Sorgono fra ombrose frasche di valle o protese su celesti spazi di ampio respiro. Sono culle di pietra, dal tempo sospeso, capaci di fugare leggende da antichi timori.

Spinti da un vento d’autunno ci si addentra nel borgo tra baite e fontane, trovando qualche refolo gentile creato dal vento insinuatosi nei vicoli. L’atmosfera è di aromi di funghi e di legna che arde. La curiosità porta a scrutare ogni angolo, ascoltando il battere del cuore in un ospitale silenzio.. Subito ci si sente diversi, forse migliori, come se si tornasse a casa essendo originari di qua. Ogni pietra pare essere là da sempre ed ha una storia da raccontare, come la soglia di quell’antica stalla, o le pietre del tetto del campanile con la sua meridiana: testimoni del tempo, a ricordare che vi fu un passato perché oggi ci fosse un presente.
Il passo percuote pietre e sassi, suonando a vuoto sul terreno battuto da innumerevoli viandanti, mentre lo sguardo si aggira su baite conservate con cura, con tracce d’animo di chi vi dimora e con quel fascino dell’autentico di chi ha a cuore il valore della propria terra. Aggirandosi fra stretti vicoli , ci si può dissetare bevendo acqua fresca, sentendosi accolti, perché su ogni fontana è posto un bicchiere ed è tutto come se, chi governa la fontana ti stesse aspettando, e ti salutasse chiedendoti se hai sete, sporgendoti un boccale in ferro, ed anche quando passi e non bevi avverti il suo saluto.

Ci si spinge oltre, ed all’improvviso si giunge a sentieri che proiettano lo sguardo al cielo e che sembrano condurre verso il vuoto delle valli circostanti, dove l’animo si espande respirando aria viva, su cui non è raro vedere planare  aquile o falchi. A guardare quelle valli, da terrazze di pietra o da prati con fiori vivaci,il pensiero vola sicuro, temerario, scivolando su boschi e borgate, per risalire leggero verso un cielo blu, sorretto da imponenti montagne. Ed in quest’animo trovi persone che salutano chi passa e discorrono volentieri di tempo e di spazio, accogliendo chi si guarda attorno con aria meditabonda, ed i pensieri scompariranno nei giorni di festa, giocando e mangiando con tutta la gente in un’unica tavolata. Poi ciascuno va, portando il ricordo del gallo che razzola nei cortili, del profumo di fragole di bosco e del muschio all’ombra di antichi sentieri fra i boschi che conducono a ponti romani.

Si va, e quando si ritorna ci si ferma sul ciglio della valle a Sud a contemplare le stelle, così tante e luminose su quella coltre di cielo blu, come fori sul manto della notte che separa dal giorno. Luci immobili indicano direzioni e strade da intraprendere per partire o ritornare a seconda di ciò che lo spirito infonde. Affascinati dalla magia della notte tiepida si ammira il cielo splendente, con quella lunga scia di combinazioni astrali chiamata Via Lattea estesa fino all’orizzonte, che serpeggia e curva verso est, maestosa e luminosa, la più ampia delle strade del cielo da seguirsi per giungere in luoghi remoti. In questo spazio luminoso di stelle si avverte il vuoto cosmico e la piccolezza dell’uomo di fronte alla maestosità dell’universo ed il silenzio è l’unico verbo in momenti di tale grandezza.
L’occhio si abitua alla fievole luce del cielo e a quella di qualche raro fioco lampione, sufficiente a trovare la via di casa: non è così buio ma abbastanza da limitar le voci a bisbigli ridotti all’essenziale, finché si giunge sulla soglia della baita, a casa. Si apre la porta e si è accolti dalla luce del camino scoppiettante, ci si ritrova con gli amici che ci hanno preceduto, in nostra attesa per la cena.
La porta come un diaframma separa un’atmosfera mistica dal festoso raduno che prosegue per tutto il tempo della cena in un amabile conversare. Qualche sorso di grappa porta una sincera allegria.
Qualcuno apre la porta per uscire e subito esclama meravigliato: “Venite… guardate!?”. La notte stellata con la fioca luce è scomparsa al sorger della luna: ora una magica luce argentata che  rischiara il paese. Si esce per le strade del borgo un po' chiassosi seppur a tarda ora. Ci si conduce ad uno spiazzo dove si scorge bene quell’enorme lanterna su nel cielo, proiettando a terra ombre nette. Qualche nuvola oscura la luna, si è fatto tardi e ciascuno avverte la stanchezza dopo una settimana di fatiche. Si va a riposare.

Entro in camera mia ed alla luce viva, preferisco quella di una lampada a petrolio che più si addice a quella atmosfera di fiaba che aleggia in quella casa. Il letto in ferro battuto con calde coperte addossato alla parete, da un lato un grande armadio con a fianco una specchiera enorme che riflette la mia immagine nel condurre la lampada e dall’altra parte una antica toilette con la brocca pronta per la mattina. Fa freddo, rapidamente mi spoglio e m’infilo sotto le coperte ed il calore del mio corpo scalda veloce il giaciglio, e lentamente scivolo nel sonno.
Nella notte fonda mi sveglio e dopo qualche attimo realizzo dove sono e sento un forte scrosciare all’esterno; esco sul ballatoio e là dove c’eran le stelle e poi la luna, è notte senza luce mentre piove a dirotto e mi sovviene di quelle nuvole della sera precedente, vedo il lampo seguito dal tuono della tempesta e rientro rapidamente per rifugiarmi nel mio letto, il sonno arriva all’allontanarsi del temporale quando la distanza riduce i tuoni  e svaniscono i brontolii.