Vi è mai capitato di pensare “questo non è il mio tempo”? O al contrario, sentirvi fortunati di vivere in questo momento piuttosto che in un altro? Del tipo: “Chissà come sarebbe stata la mia vita nell’antica Roma” o magari “quanto sarei durato dietro a una trincea”, o ancora “quanto sarebbe stata dura scoprirsi in una storia d’amore frutto di un’orchestrata manovra della Stasi…”.
Tutti quesiti senza soluzione che portano ad un sogno comune a molti: viaggiare nel tempo. Quante volte e quanti nei secoli hanno sognato di trovarsi in un determinato posto, in un preciso momento? Non necessariamente per assaporare un’altra epoca, magari semplicemente per incontrare una fonte di ispirazione, o anche banalmente per evitare di commettere un errore riavvolgendo il nastro di dieci minuti, in modo da “sistemare le cose”.
Ogni tanto, tra i tanti pensieri sconnessi che mi fanno vivo, è una riflessione che torna, dettata da eventi della storia, o da personalità che non sono contemporanee ma che sembrano così tanto vicine nel modo di fare, di essere. Ma poi, alla fine, non è questione di essere simili o meno, sono le passioni che si hanno a farci sentire prossimi a idoli o semplicemente a pensieri, aforismi, scritti o scolpiti a fuoco nella voce di qualche intervento rimasto talmente impresso da prendere la connotazione di “senza tempo”, o come amano dire gli inglesi “evergreen”.
Sono da sempre affascinato dal ventennio che copre la parte centrale del '900, da quel che ha rappresentato a livello storico, culturale, artistico e musicale. Pensate cosa dev’essere stato trovarsi tra la folla il 28 Agosto del 1963, mentre Martin Luther King urlava al mondo davanti al Lincoln Memorial di Washington “I have a dream”. Sì, molto probabilmente è qualcosa che non mi appartiene, che non può appartenermi non avendo sulla pelle la sofferenza di quella gente, così forte da far nascere la speranza di quel discorso sentito.
Chissà poi se veramente chi era lì quel giorno fosse conscio che stava vivendo una pagina da “libro della storia”; forse è solo chi viene dopo, chi li legge che arriva ad apprezzare davvero i momenti. Sono abbastanza convinto che quel sogno la gente lo respirava davvero, come un qualcosa di non lontano nel tempo, un qualcosa che sarebbe diventato più che la calda voce di un oratore, di tangibile, a portata della loro esistenza.
Nella commedia all’italiana si sentiva anche in pellicole degli anni settanta la frase “siamo nel 2000”: da bambino ho sempre pensato “ma che sta a di' questo? Mamma, ma non erano gli anni 70?”. Col senno di poi, credo fosse anche normale che si sentissero prossimi al nuovo millennio, visto che mancavano all’appello appena tre decenni per chiudere il “portone” all’ultimo secolo dell’anno mille.
E’ che come esseri viventi siamo mentalmente pronti a salti temporali brevi, a quantificare la vita media come unità di misura, finendo talvolta per "scappare" dalle misure che contano, che sono quelle della natura, con tempi decisamente più dilatati definibili corti, al contrario di come facciamo, pensando che cinquanta, sessanta, ma pure cento anni addietro siano un qualcosa di giurassico, di immensamente lontano. Di conseguenza capita di sentirsi “superiori”, di credere che il progresso ci spinga per forza di cose verso altri traguardi, non solo dal punto di vista dell’innovazione, della scoperta, ma proprio del miglioramento umano, quello relativo al pensiero, verso un modo di affrontare la quotidianità diverso dai nostri predecessori, soprattutto se facciamo riferimento a secoli ormai lontani.
In realtà poi basta leggere qualcosa di un filosofo del settecento, di un poeta, o semplicemente di qualcuno che amava guardarsi attorno e commentare il mondo, per rendersi conto che non è cambiato assolutamente nulla, se non gli strumenti, le malattie, i modi, ma non riflessioni e obiettivi. “Dicono che i sogni sono tutti gratis, ma son quasi tutti quanti usati”, scriveva e cantava Ligabue nel testo “Happy Hour”, e il “sogno”, alla fine è sempre vivere serenamente i propri giorni. In tanti ci si arriva bene o male. Più o meno. Dipende dove nasci, in che periodo nasci.
In ogni caso, ad opporsi al sogno della serenità, ci sono gli altri, quelli che ambiscono a prevaricare, a prendersi tutto, ad espandersi, a soggiogare fino a sopprimere chi voleva semplicemente godersi in pace una bella alba e una notte stellata. Ad ogni periodo di pace, breve o lungo che possa essere, segue un successivo periodo di conflitti, di guerre, e poi di nuovo pace per ricostruire, debiti enormi da saldare, nuovi equilibri da stabilire - che poi sono sempre gli stessi - innumerevoli vittime da commemorare, strategie di ripresa per rinascere e…nuove guerre da alimentare.
Pensiamo al secondo dopoguerra: è così lontano il modo di essere o di fare, settanta anni dopo? Negli anni cinquanta prendeva piede la “pop art”, che faceva diventare arte un barattolo di fagioli, un aereo, un televisore, il viso di una star, qualsiasi cosa circondasse la massa; in buona sostanza finiva per essere uno sberleffo del consumismo nel momento stesso che nasceva. Sembra tremendamente attuale. Che poi, non che il sottoscritto sia indifferente al “fascino” del consumismo, soprattutto se penso a pezzi dell’epoca che sono diventate appunto icone pop, come il juke-box o il celebre wolkswagen T1, anche detto “bulli”, furgoncino di una bellezza clamorosa. Che cosa meravigliosa il juke-box…non poteva mancare a casa mia! Un annetto fa comprai una versione del Wurlitzer 1015, in buona sostanza il juke-box dell’immaginario collettivo, chiaramente un prodotto simile solo esteticamente, molto lontano per meccanismi e costo d’acquisto, seppur con la stessa bellezza delle luci (ma senza bollicine) e il fascino del vinile, che non ha prezzo. Alla fine, non avendo modo di viaggiare fattivamente nel tempo, quale modo migliore per sentirsi parte di un periodo che non hai vissuto? Apri il cassettino, appoggi il disco e aspetti che la puntina faccia iniziare la magia: musica! Parte What’s going on di Marvin Gaye ed è subito 1971: 
War is hell, when will it end?” (La guerra è l’inferno, quando finirà?)
Are Things really gettin’ better, like the newspaper said?” (Le cose stanno migliorando davvero, come diceva il giornale?)
What’s going on across this land” (cosa sta succedendo su questa terra)

Cinquant’anni fa. Marvin non c’è più, ma le domande che si poneva sono le stesse che ci poniamo tutti i giorni, e ogni giorno di più.
I want to Know ‘cause I’m slightly behind the times” (voglio saperlo perché sono leggermente indietro rispetto ai tempi)
Non eri indietro caro Marvin. Né indietro né avanti, perché la storia è sempre la stessa.

Qualche giorno fa mi è capitato di vedere un “meme” che circolava sul web, dove un uomo dava dello stupido a uno scimpanzé e questi gli rispondeva che l’uomo è l’unico essere vivente costretto a pagare per garantirsi un posto nel mondo. Un qualcosa che doveva strapparmi un sorriso, e invece è stato un autentico pugno nello stomaco. Niente di nuovo comunque. Lo diceva Rousseau già nel 1755, senza usare meme, pubblicandolo in toni diversi nel “discorso sull’ineguaglianza”: 

Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire questo è mio e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i pioli o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno, siete perduti!

Certo, un discorso di questo tipo risultava vetusto già duecentocinquanta anni fa, attraversati da generazioni che hanno plasmato il mondo come lo conosciamo sin dal primo vagito, così come i nostri genitori prima di noi, e così come inevitabilmente lo vivrà chi ci succederà. Dopotutto, un posto caldo dove dormire, un posto che si possa chiamare “casa” piace a tutti, così come immagino piacesse anche al buon Jean-Jacques, che infatti lasciò alle generazioni a venire “il contratto sociale”, alla base dell’idea si stato democratico.
Anche i cittadini di Lanai, ovvero una delle isole più grandi delle Hawaii, evidentemente si trovavano bene a vivere nelle loro abitazioni, nel loro posticino circondato dall’oceano pacifico, un’isola che adesso appartiene per il 98% alla stessa persona, ovvero a Larry Ellison, uno dei fondatori della Oracle Corporation (società informatica multinazionale) e nono uomo più facoltoso al mondo (dati Forbes). Si, avete letto bene, è letteralmente il proprietario di tutta l’isola e di tutto ciò che c’è sopra, quindi in pratica anche delle persone che ci abitano, ridotti in buona sostanza a “dipendenti”, giusto per non ricorrere al termine più congeniale. Gli abitanti dell’isola, si sono visti man mano costretti ad abbandonare il luogo natio, vuoi perché non lo riconoscono più come loro, coma “casa”, dato l’aumentare di sfarzi e hotel di lusso, lontanissimi da usi e costumi hawaiani, vuoi perché costretti ad accettare la chiusura di attività che fino all’arrivo di quello che è effettivamente il “re dell’isola”, in luogo di nuove e meno redditizie proposte lavorative. Inoltre, con l’arrivo dell’americano, è sparito il diritto ad avere casa propria, in quanto sull’isola non ci sono abitazioni in vendita, ma solo ed esclusivamente affitti, manco a dirlo esorbitanti. Come da manuale tutto iniziava con quel solito da fare da “salvatore”, da “uomo della provvidenza” che arriva ed elargisce soldi e idee, innovazione sostenibile, attività di sviluppo e chi più ne ha ne metta.
Si leggono libri del sedicesimo secolo di “conquistadores” e colonie, ma il mondo è ancora qui, lo stesso, identico e immutabile, come la natura dell’uomo e la nostra sete di potere. Che poi ogni guerra nasce con il paradossale proposito della pace, un qualcosa del tipo “siamo qui per liberarvi”.

Parlare di quanto succede tra Russia e Ucraina risulta persino superfluo. Il peggio è che ci fanno credere che ai mali del mondo non c’è soluzione: si parla della mafia e ti dicono che non può finire, o ancora meglio “non esiste” come affermò il magistrato Corrado Carnevale; si parla di fame nel mondo, di aiutare i bisognosi…ma è mai possibile che in tutti questi anni, non si sia trovata una soluzione per aiutare concretamente il continente africano? O semplicemente, fa comodo continuare a chiedere soldi alla gente, attraverso “onlus” o pseudo-tali? Dove finiscono realmente tutti i fondi che vengono elargiti continuamente da milioni di persone nel mondo?
Chiesi ad un autista di Uber, a Salvador de Bahia, come mai ci fosse tutta quella violenza in Brasile, aspettandomi una risposta che non fosse solo “povertà”; questi mi rispose “in Brasile c’è violenza perché il crimine genera denaro”… Sipario gente! Come dargli torto.
Ci sono programmi televisivi, telegiornali h24 che informano e aggiornano di continuo su quanto di brutto accade nel meraviglioso paese verdeoro, fondati sostanzialmente su quello, sul parlare di quanto stia messo male il Brasile, allontanandosi dal copione quasi solo per soffermarsi sulla forza della saleçao, su chi si “bombi” in quel momento Neymar e sul baby-fenomeno di turno, “futuro certo” della gloriosa nazionale.
Di cosa parlano se non c’è crimine? Su cosa fanno campagna elettorale i politici locali se non sulla promessa di “uma Bahia mais segura”? Per non parlare della possibile scelta per il prossimo presidente: Bolsonaro o Lula. Il primo un guerrafondaio che in un paese già pervaso da armi, pensò bene di liberalizzarne la vendita, perché a detta sua queste avrebbero reso le case dei brasiliani più sicure. Per non farsi mancare uscite infelici e di una stupidità fuori dal comune, in piena pandemia Covid: “se volete diventare dei coccodrilli prendete il vaccino”.
L’altro, Lula, già presidente dal 2003 al 2011, arrestato per corruzione: What a wonderful world!
Fosse solo questo. Non parliamo poi di quanto fattura la chiesa evangelica lì… i pastori sono autentiche star, con pagine social seguitissime, video sul “tubo” e pubblicità. Inoltre c’è la famigerata “decima”: se vuoi far parte della “cricca” evangelica, devi donare ogni mese un decimo dello stipendio, e comunque, più doni più ricchezza ricevi da Dio! Fanno soldi come piovesse conducendo una vita tutt’altro che dissoluta e in preghiera.
Nel frattempo migliaia di persone per strada a tirare su qualche reais vendendo acqua e caramelle. Ma se si accetta di votare gente così, di accorrere in massa, anche a costo di farsi ammazzare - e accade - per un pregiudicato e per un altro che probabilmente meriterebbe lo stesso titolo, allora è giusto così. Vuol dire che va bene così.
Mi torna alla mente anche il bellissimo “manifesto” pubblicato da Angelredblack un po’ di tempo fa, con ipotetici punti accettati da tutti noi, inconsciamente. E’ assolutamente così. Siamo tutti colpevoli, indistintamente.
Anche da noi è uguale, seppur con una struttura politica differente. Andai ad apporre la mia crocetta assolutamente incerto sul dove farla capitare: ma che classe politica è la nostra? I migliori auguri a chi ha vinto. Chi è uscito perdente fa un gran parlare di “giorno triste”, di “democrazia a rischio”… Ma chi sono i tutori della democrazia? Chi tra i candidati? Questi politicanti che si seggono sui troni del potere? E ci si sorprende che al voto si sia registrata la più bassa affluenza di sempre…

Ma tanto è sempre uguale. Il mondo gira lo stesso. Gira come sempre.
Oh mondo. Soltanto adesso io ti guardo. Nel tuo silenzio io mi perdo e sono niente accanto a te”: chissà se qualcuno tra quelli che prendono decisioni per tutti ogni tanto guarda quello che ci circonda con gli occhi di Jimmy Fontana…
Fortuna che non si possono fare i viaggi nel tempo. Riusciremmo a fare più casini di quanti già fatti. Per quanto riguarda il lato fascinoso dell' usare oggetti, o indossare e vivere usi e costumi del passato, beh, c'è di tutto in giro. Alla peggio, ci guardiamo un bel film tra i tanti ambientati in epoche remote. 

We didn’t start the fire”: bella questa di Billy Joel! C’è tutto dentro. C’è il mondo. “Non abbiamo appiccato il fuoco, bruciava sempre sin da quando il mondo gira”. Poi aggiunge “non l’abbiamo acceso, ma abbiamo cercato di combatterlo” e stila per tutto il testo una valanga di nomi di personaggi politici e non che hanno contribuito a porcate assurde nel corso degli anni, intramezzate da distrazioni come la Disney, il rock, il baseball…canzone pazzesca.

Forse ho esagerato. Tra canzoni, citazioni e considerazioni. Almeno noi dovremmo essere “leggeri”. Dopotutto è sempre un blog sul calcio. Ogni tanto però riflettere su quanto accade fa bene. O no?
Anche se non cambieremo mai, di tanto in tanto interrogarsi, pensare “What’s Going on” anzi, più che cosa sta succedendo, pensare “cosa stiamo facendo” è doveroso. Colpiti dalla pandemia da Covid ci eravamo ripromessi di essere persone migliori: il celeberrimo “andrà tutto bene” con la gente che si riscopriva patriottica sui balconi di tutta Italia, è diventato ben presto “va tutto come sempre”.
Giusto il tempo di mandare in letargo i virologi.
Un abbraccio.

FR27