A volte capita di assistere a scene che riconciliano con il mondo. Situazioni che cancellano dubbi su scelte che solo poche ore prima sembravano improbabili, impossibili, assurde.

Samuel Umtiti
E’ quello che deve aver pensato anche quel ragazzo di 28 anni, partito con la famiglia dal Camerun, con la speranza di un’avvenire migliore, nella multietnica città di Lione. Come avrebbe mai potuto, anche per un singolo istante della vita, pensare di ritrovarsi in Salento, Samuel Umtiti? Un calciatore che a 18 anni e due mesi, esordiva in Ligue 1 con la maglia di quella che è di fatti la sua città, quella Lione così cara anche ai tanti amanti della buona cucina, tanto da essere definita “capitale gastronomica della Francia” (e in effetti nei bouchon lyonnais, si mangia divinamente). Umtiti che dopo 170 presenze passava legittimamente al Barcellona, non solo perché buonissimo difensore, ma anche per la bravura con entrambi i piedi, fattore che lo rendeva maggiormente appetibile per una squadra che ha fatto le migliori fortune attraverso la “posesion del balon”, il celebre “tiki-taka” che ha portato i 'blaugrana' a vincere tutto, più volte.
Se quello stesso calciatore, poi, ha alle spalle un titolo mondiale vinto da protagonista, la traiettoria dell’esistenza di questo ragazzo è ancora più imprevedibile, inspiegabile. Quando gli è arrivata la proposta deve aver pensato: Lecce? Ma dov’è Lecce? Che campionato fa? Cioè, ma io guadagno milioni al Barça e devo andare in una neopromossa in Serie A? Ma alla Juve non serve un centrale? Che ne so, al Milan? Ma un posto per me a Lione non c’è? Stanno raccattando tutti gli ex quest’anno… hanno ripreso Tolisso, che pure non mi sembra abbia avuto meno problemi fisici, Lacazette pure è tornato lì… e dai su, vedi che puoi fare… ci vai tu a giocare a Lecce!”.
Sarebbe legittimo se un professionista con alle spalle un curriculum del calibro del francese avesse ragionato in questa maniera, anche perché quando ‘tocchi il cielo’ è difficile ripartire da zero, anzi, sotto-zero, giacché il suo “zero”, era il Lione.
Poi succede che si convince, magari pensando che possa essere un luogo di rinascita, un trampolino di ri-lancio verso grandi piazze e il grande calcio. Oppure può essere che nella “grande piazza” ci è già arrivato, perché puoi vincere trofei, guadagnare milioni, ma alla fine quel che ti “tiene in vita”, quel che ti motiva oltremodo sono i tifosi: né a Lione né a Barcellona né tantomeno dopo la vittoria del titolo mondiale Samuel si era ritrovato così acclamato, in lacrime, senza aver ancora dimostrato nulla per quella gente che era lì, fiera, a cantare il suo nome.
Questo è il Salento? Questa è Lecce? Ammazza che accoglienza! Ma questi so più pazzi di me… sono a casa!
Quando si mette le mani in faccia, poi a ballare, sulle note dei salentini che lo portano in trionfo… questo è il calcio ragazzi, questa è quella ‘sana’ malattia, che ci trascina per chilometri, per ore, che ci fa amare ogni singola giornata spesa per i colori che abbiamo sulla pelle. Le lacrime di Umtiti sono le lacrime di chi ama la vita, la sorpresa, la gioia di vedere un popolo contento di averti lì, e questo non ha prezzo: non c’è cifra che tenga. Sono sicuro che adesso Samuel dubbi non ne ha più: svaniti nel nulla in quel ‘benvenuto’ e nella straordinaria bellezza di giocare al Via del Mare, per la gente più solare d’Italia.

Paulo Dybala
Il 16 Maggio del 2022
 si chiudeva un cerchio lungo sette anni. In quella circonferenza vi sono racchiusi 5 scudetti, 4 coppe italia e tre supercoppe italiane, oltre a qualche dolorosa sconfitta europea. Quando o picciriddu ha salutato il suo popolo non aveva idea del futuro, o forse aveva qualcosa in mente, ma si sa, del futuro non puoi avere certezza, e lui lo sapeva meglio di altri, visto che stava lasciando un club a cui mai avrebbe voluto dire addio. Perché Paulino la Juve ce l’ha nel cuore, e non potrebbe essere altrimenti: dopo gli anni in rosa-nero, che pure gli hanno dato tantissimo, i bianconeri rappresentavano l’apice, o comunque se non il punto più alto, senz’altro una vetta a cui aspirare da ragazzini, quando tra le strade di Laguna Larga dava calci ad un pallone e alla vita, con la speranza di mutare il sogno in esistenza.
E lui era lì: della Juve, simbolo tecnico e numero dieci.
Con l’addio alla Juventus però, gli orizzonti per l’argentino erano tutt’altro che chiusi: un giocatore dall’elevato tasso tecnico, uno dei pochi - se non altro nel campionato italiano - a possedere la qualità della giocata imprevedibile, del “numero” che lascia il tifoso a bocca aperta, dell’ultimo passaggio che apre scenari di gloria alla punta.
Così, seppur deluso dal mancato rinnovo con i torinesi, a ventotto anni, la ‘joya’ si affacciava al mondo post-Juve, con la tranquillità di chi a stretto giro di posta avrebbe trovato una nuova casa e nuovi tifosi pronti a esultare dinanzi alla sue gesta.
Marotta, l’uomo che aveva curato il passaggio di Dybala dal Palermo alla Juve, conosceva perfettamente le qualità dello stesso, e abituato da sempre ad anticipare la concorrenza, soprattutto sul mercato degli svincolati di “lusso”, aveva prontamente contattato l’entourage dell’ormai ex Juve - qualcuno malignamente dice già molto prima della naturale scadenza del contratto - causando in qualche modo pure la ‘ritirata’ dei bianconeri sul rinnovo che avevano proposto al loro numero dieci.
Poi succede che Lukaku, scontento della sua situazione con il Chelsea “spinga forte” per rivestire la maglia nerazzurra, pentito più che mai della scelta fatta solo dodici mesi prima: le condizioni si rivelano talmente favorevoli che, pur prediligendo l’asso argentino, Marotta non può far altro che chiudere per il belga, convinto che in ogni caso il mercato gli avrebbe permesso prima o dopo di arrivare anche a Paulo.
Contrariamente a quanto pensava lo stesso argentino, i giorni si facevano mesi e lo status da "disoccupato" continuava a permanere. D’un tratto, Antun, agente di Dybala, gli recapita una proposta d’ingaggio, che arriva da Roma, sponda giallorossa:
Antun: Paulo, la Roma ti vuole!
Dybala: “(…sorriso…) la Roma Jorge? Ma dici sul serio? Cioè io vado via dalla Giuve, e vado alla Roma? Marotta aveva detto che mi voleva… è passato tempo, ma altro non c’è? Qualcosa in Premier? In Spagna non mi vuole nessuno? Possibile?”

Nel frattempo Mourinho 32934*****: 
Dybala: "Pronto?"
Mourinho: "Ciao Paulo, sono Josè… Vieni alla Roma?"
Dybala: "Buongiorno mister… non so… lei è un grande allenatore, ma non so se è una buona scelta…"
Mourinho: "E' la migliore scelta, qua sta il sole, lì piove sempre… ah no questa è per gli inglesi, la dissi lo scorso anno a Tammy per convincerlo ahahahah!".
Dybala: "Ma per cosa lottiamo mister? Vinciamo qualcosa?"
Mourinho: "Tu vieni e vinciamo insieme".
Dybala: "Vale mister, allora vengo!"
Poi rivolgendosi al suo fidato agente:
Dybala: “Jorge, ma sicuro che non stiamo facendo una cavolata?
Antun che intanto fa i conti con la calcolatrice delle percentuali che si metterà in tasca per il trasferimento:
Tranquilo Paulo, la Roma es la mejor opcion. I tifosi ti ameranno!
Pervaso dai dubbi, ma assillato dalle decine di chiamate del portoghese, Paulo, quasi per sfinimento, accetta di buon grado la destinazione. Il presidente per dargli percezione di essere arrivato in una società piena di soldi, si presenta con l’aereo privato e lo porta in Algarve, dove i compagni si allenano nei primi giorni di preparazione:
Dan Friedkin: "Welcome Paulo! This is my plane! Do you like it? I’m very happy that you have decide to Join us!"
Dybala: "Hola presidente… che ha detto Tiago?"
Pinto: "Niente, se ti piace il suo aereo e che è felice che sei con noi"
Dybala: "Ah sì, molto bello l’aereo… pure io sono felice… credo"
Conoscendo la squadra poi, Dybala comincia a sciogliersi, se non altro felice di riprovare quelle sensazioni da calciatore vero, quegli allenamenti specifici e di squadra che per quanto simulabili con staff e preparatori personali non ti trasmettono quei dettami tattici e schemi di squadra, l'opposizione di avversari reali, insomma, quella serie di emozioni che puoi vivere solo in gruppo.
Tornati a Roma, Paulo si cimenta con le canoniche foto di rito con la nuova maglia, il breve video di saluto ai tifosi e la solita intervista a cui vengono sottoposti i nuovi arrivati, nella quale rivela di essere curioso di vedere il benvenuto che gli avrebbero riservato i tifosi, e di vivere con smania la voglia di giocare all’Olimpico, in quella città che tanto ha amato in passato da turista.
Il 25 Luglio 2022, al cosiddetto “Colosseo quadrato”, Dybala viene presentato alla folla, una 'bolgia' di oltre diecimila anime, in una cornice pazzesca e che ha stupito tutto il mondo del calcio, a qualsiasi latitudine.
Per capire cosa abbia pensato o picciriddu in quei frangenti, non serve simulare pensieri o dialoghi: i suoi occhi dinanzi a quello spettacolo irripetibile hanno detto tutto ciò di bello si potesse pensare, probabilmente non avendo a disposizione vocaboli che potessero rendere appieno quel momento, ha provato comunque a esprimere a parole le sue sensazioni:
Ho vissuto un momento unico. Nemmeno nei più grandi sogni avrei immaginato qualcosa di simile
Ne sono certo mio caro ‘ventuno’. Perché chi vive un giorno così, ha già vinto. In pochi altri posti avresti potuto vivere quel che hai vissuto, e nessuna cifra può regalarti momenti come questi: questo è il calcio Paulo, è amore puro! 

Francesco Totti
Il 28 Maggio del 2017, dopo venticinque anni, si ritirava il biondino di Porta Metronia: Totti Francesco, nato il 27 settembre del 1976.
Di lui si sa tutto: nascita, vita e “miracoli”, soprattutto in seguito al docufilm - bellissimo - e alla serie tv, che mi sono imposto di non vedere perché narra di un momento molto doloroso, con una vicenda troppo personale e che a mio umile avviso non andava raccontata in quella maniera.
Quel che raccontiamo invece, è un episodio diverso, un atto d’amore non ricevuto dalla sua gente.
Quell’anno, a causa del gelido rapporto che intercorreva con l’allenatore, il capitano si è visto privato di un “degno saluto” in quei teatri storici dove ha scritto pagine memorabili, e vissuto delusioni cocenti. Un episodio su tutti, quello avvenuto allo stadio San Siro, o meglio non avvenuto, il 07 maggio di cinque anni fa. La Roma si impose sui rossoneri per 4 a 1, in quell’anno storico dove facemmo addirittura "en-plein" di punti con le milanesi: dodici su dodici, non so quante altre volte sia successo, sono abbastanza sicuro che bastino meno delle dita di una mano per tenerne il conto.
Al 78° minuto, El Shaarawy faceva 1-3, in seguito alla doppietta di Dzeko, e alla rete di Pasalic che arrivava appena due minuti prima della marcatura dell’Italo-egiziano. Insomma, velleità di rimonta milaniste spente sul nascere, due reti di vantaggio e meno di un quarto d’ora da giocare. Totti, che già si scaldava da tempo a bordo campo, aspettava ansiosamente di fare ingresso in quel prato su cui tantissime volte è stato protagonista. A quel punto accade che tutto lo stadio, sottolineo tutto, chiede a gran voce l’ingresso del numero dieci romanista, consapevoli di essere dinanzi all’ultima partita dello stesso alla "Scala del calcio".
Si alza la bandierina per l’uscita di Dzeko, ma anzichè esserci in verde, il numero dello storico capitano, spunta il tredici, di Bruno Peres: il pubblico si rivolta contro la decisione di Spalletti, cominciando a fischiarlo pesantemente, e a piena ragione, aggiungo io.
Non mi sono mai opposto alle decisione degli allenatori, che fanno un lavoro che stressante è dir poco, soprattutto in piazze difficili come quella giallorossa, per di più partendo sempre dal presupposto che ogni scelta è fatta con la logica di essere quella giusta in un determinato momento, ma in quella circostanza Spalletti fece un qualcosa di illogico, e totalmente opposto allo spirito di chi era lì ad assistere alla partita e lì anche per salutare un giocatore straordinario, che ha dato tantissimo alla Serie A e al calcio in generale.
Se si potesse unire il pensiero di uno stadio intero, in quella circostanza sarebbe stato:
Luciano…ma che ca**o fai?
Successivamente, partirono i cori per il campione, sia dal settore ospiti - chiaramente di parte - che dal pubblico milanista, da sempre abituato ad ammirare i grandi campioni, e con Berlusconi e Galliani, estimatori del romano da sempre, cercato più volte nell'arco della carriera, e rispettato da dirigenza e tifosi, oltre che per il grande talento, proprio per la scelta di legarsi eternamente alla sua Roma.
Una pagina brutta per il solo Spalletti, perché puoi evitare a un professionista qualche minuto in campo, ma non puoi arginare l’amore dei tifosi: questo è il calcio!

Grazie a tutti gli atleti, i personaggi dello sport e del calcio che regalano e si regalano emozioni, attraverso scelte che possono far dubitare loro stessi, ma non i tifosi, che ameranno strenuamente i loro beniamini e i grandi avversari.
Grazie a Samuel Umtiti: vederti saltare, sorridere, piangere per i tuoi nuovi tifosi mi ha cambiato la giornata, e mi ha dato ancora una volta quella carica di amore verso questo, che non è solo sport: è amore puro!

Buon sabato amici!
ForzaRoma27