Monfalcone, città dei cantieri, ma anche città dei divieti. Hai il velo? Ebbene, non puoi entrare negli uffici pubblici. Che poi oggi tutti siano mascherati e coperti per la questione del coronavirus, che cosa vuoi che conti? Il divieto deve rimanere. Si tratta di una questione ideologica, di principio, di sicurezza. Sicurezza. Quel mantra che per anni ha caratterizzato in Italia le politiche di amministrazioni soprattutto di destra ma a volte anche più o meno di sinistra per rincorrere la destra e non rimanere indietro, tanto che alla fine, arrivati ad un certo punto, non si capiva più cosa fosse di destra e di sinistra. Divieto di qua, divieto di là, e tra i tanti vi è quello di giocare a pallone. Un cartello che puoi trovare in diverse città italiane come anche a Monfalcone. La legge lo consente. La legalità è rispettata.
Ma ci sono cose che vanno ben oltre la legalità, oltre le inferriate antidegrado, oltre la concentrazione di telecamere a più non posso da fare invidia alla Cina, per la società del grande fratello 3.0. Si può perseguire la via della sicurezza anche in maniera diversa. Ci sono cose che passano per la via del buon senso. Ma a volte è preferibile cavarsela con un sano cartello. Il tutto è più semplice, sbrigativo, immediato. Pugno sbattuto sui tavoli. Qui non si gioca! Ci sono state generazioni che altro non facevano che rincorrere la palla per le strade, improvvisare campi di calcio sull'asfalto, dove si lasciavano buona parte delle proprie ginocchia ma il prezzo valeva la candela del divertimento. E che dire delle pubblicità di campioni che si dilettano a realizzare imprese calcistiche circensi nei luoghi più disparati? No, non si può giocare a pallone nei parchi, nelle aree verdi.

Come a Monfalcone, succede anche in tante altre località, va detto, ma da qui vuole partire una riflessione.
Nessuno vuol prendersi una pallonata in faccia, tra i denti, mentre attraversa un parco pubblico. E ci mancherebbe. Ma con educazione, con il filtro della mediazione, si può arrivare ad evitare a vietare di giocare a pallone. Quella mediazione, quel filtro, che oggi non c'è più. Più semplice e facile e sbrigativo sbatterti in faccia un cartello, un bel divieto, una strepitosa ordinanza comunale, con la spada di Damocle della multa possibile che incombe sulla testa del calciatore o della calciatrice mancata, piuttosto che mediare, dialogare, e vietare di vietare, ma consigliare su come comportarsi. Si può giocare a pallone anche con gentilezza, si può giocare a pallone anche senza rischiare di prendere a pallonate qualcuno, si può giocare a pallone in tanti modi, basta parlarsi, educare, informare, formare, mediare. Di casi di divieti revocati in tal senso in Italia ve ne sono a bizzeffe, quasi sempre perchè comitati di genitori si son attivati protestando perchè si comprometteva il diritto al gioco del bambino come previsto dalla Convenzione internazionale di New York sui diritti del fanciullo del 1999, che riconosce il diritto al gioco come diritto alla piena manifestazione del carattere del bambino.
Siamo l'Italia, il Paese del calcio, che va in delirio per una vittoria della Nazionale, che mitizza i giocatori, che va alla ricerca dell'eroe e dell'antieroe nei 90 minuti del rettangolo di gioco, che si perde in narrazioni infinite sulle imprese tentate, sfiorate o raggiunte, che si esalta quando dalle strade delle periferie si arriva ad indossare la maglia della squadra di calcio da sempre sognata, ma dove si può vietare anche di giocare a calcio, come a Monfalcone oltre che altrove.
Ma siamo certi che una Monfalcone diversa è non solo possibile ma anche necessaria, e questa visione diversa della città e della società non potrà che passare dalla rimozione di divieti come quello di giocare a pallone, perseguendo altre vie, e strade dove il calcio al pallone e la sicurezza di vivere diversamente il parco pubblico possa essere garantito per armonizzarsi sotto il segno del convivere civilmente senza escludere, ma includendo facendo forse il goal nella porta immaginaria più bello per la città.