Dedicato a un amico che oggi ha intrapreso il suo viaggio nell’eternità. 

Ci sono momenti in cui è difficile trovare le parole. Momenti in cui le parole stesse sviliscono nel vuoto lasciato dall’emozione, una tempesta che spazza via ogni cosa che trova sul suo cammino, sterilizzando completamente ciò che sei, ciò che pensi, ciò che provi, anche se per poco. Vorrei trovare termini migliori per descriverlo. Perdonatemi se in ciò, lo so già ora, fallirò miseramente. Oggi un caro amico se n’è andato, sconfitto dalla maledizione che ha deturpato, e continua a deturpare, il mondo intero da oltre un anno. Un caro amico che ebbe l'onore e il merito di creare un luogo che non fu un semplice bar , ma un posto in cui le generazioni giungevano a incontrarsi, conoscersi, raccontarsi. Ed essendo che questo spazione si chiama proprio BarVxL, ho pensato bene di mandargli il mio saluto da qui, condividendolo con voi, miei cari amici oltre lo schermo. 

La malttia ti ha piegato nel corpo, costretto all’incoscienza dell’intubazione per più di un mese, con le speranze abbandonate a un continuo sfiorirsi, come petali al vento. Eppure, amico mio, per quanto alla fine la piaga abbia avuto la meglio sulla materia grezza di cui noi tutti siamo fatti, nulla ha potuto sul tuo spirito, sulla tua parte più vera. Il tuo sorriso, il tuo voler rassicurare tutti anche quando quel maledetto casco ti veniva agganciato alla testa, con i polmoni che cominciavano a fare i capricci. E quel tuo ultimo messaggio. Vado… ma come scrisse Califano “non escludo il ritorno”. Quel tuo ridere persistente, persino in faccia alla nera signora che forse già era lì, nel momento in cui scrivevi queste parole, paziente ad attenderti sull’uscio della tua porta. Dove hai trovato le forze per spingerti a così tanto, amico mio? Mi ero segnato di chiedertelo, quando rincuoravo me stesso nel dirmi che sì, ti avrei rivisto, e ti avrei rivisto bene, al di là di ogni dubbio. Così non è stato e quella domanda non te la porrò mai, non in questa vita almeno. 

Ricordi le tante sere passate nel tuo bar? Sebbene ci fossero diverse decine d’anni a separarci, alla fine facevamo tutti parte di un’unica grande generazione. La generazione di quelli che vogliono ridere, quelli che vogliono andare oltre le cose, quelli che sanno piangere senza vergognarsi quando ce n’è bisogno. E le partite del Milan. Ricordi cosa pensavi di Seedorf? Ogni volta che lo criticavi a partita in corso, pronti via, l’olandese la buttava in rete. Sembravi quasi farlo apposta, come se lo sapessi, e volessi come al solito prendere le vesti del clown. Ma non quei pagliacci brutti, anche un po’ tristi sotto tutte quelle dita di fondotinta. No, io intendo di quelli che si sanno prendere in giro, che fanno dell’autoironia un punto di forza, che godono nel sorriso altrui. Ricordi le tante sere d’estate passate a raccontarci di tutto, dall’utile al futile, dal bello e brutto, dal gioioso al doloroso? Che cosa rimarrà di tutto ciò, amico mio, ora che non ci sei più?

Il grande limite alla fine dobbiamo affrontarlo tutti, presto o tardi. Su questo non ci si può illudere, anche se la nostra società cerca di farcelo dimenticare il più possibile. Sarà forse per questo che quando ciò accade a un nostro caro, che sia improvviso o meno, si è sempre un po’ impreparati. Perché nessuno di noi, amico mio, era preparato alla tua partenza, sì la voglio considerare così, in questo tuo nuovo e misterioso viaggio. Per questo torno a ribadirtelo ancora una volta, te lo chiedo anche se so che non potrai rispondermi in maniera convenzionale: come hai fatto, amico mio? Come hai fatto a guardare in faccia il tuo destino, che forse già conoscevi nel profondo del tuo animo, senza che paura e dolore potessero aggredirti? 

Se solo ci ragionassi un po’, forse mi basterebbe ricordare cosa è stata la tua vita in questo mondo per capirlo. Il dolore infatti venne parecchie volte a farti visita. E non il dolore ordinario che bene o male tutti conosciamo, ma quello in grado di spezzarti l’anima, di frantumarla in mille pezzi lasciandola un insieme informe di cocci quasi impossibile da ricomporre. La perdita che tu subisti anni orsono, quel genere di perdita che è profondamente innaturale, ingiusta, contro ogni logica universale. Tu riuscisti ad andare avanti, anche se con un dolore indelebile e innegabile nel cuore. Substine et abstine dicevano gli antichi. Tu ne eri un po’ una personificazione. Un atteggiamento che forse ci avrebbe permesso di attraversare meglio questo periodo maledetto. Una consapevolezza che ci avrebbe fatto vedere oltre le mancanze imposte, oltre ciò che in apparenza avevamo perso, facendoci percepire ciò stava attraverso la fitta cortina di nebbia. Che cosa non so dirlo. Ma qualcosa c’era o ci sarebbe stato. A tuo modo, al di là dei comprensibili momenti di dolore legati alla memoria, fosti un esempio in questo. Non so dove tu ora sia, dove tu stia andando e se ci sia qualcosa oltre ciò che possiamo percepire. Se seguissimo la voce dei nostri sensi e della nostra ragione, anche se sappiamo bene quanto siano limitati, ci arrenderemmo alla futile, e forse ingannevole, evidenza. Quanto temiamo quel vuoto imperscrutabile, quel silenzio della mente, della ragione, del comprensibile e del definibile. Lo temiamo perché non lo possiamo comprendere. I nostri mezzi non ce lo permettono perché mancano sempre di un qualcosa, di una visione d’insieme che va oltre la conoscenza. Per quanto ci si possa illudere, la conoscenza è solo uno sminuzzare la realtà in pezzetti sempre più piccoli, più dettagliati e più precisi, nell’illusione che così ci sia permesso comprendere meglio ciò che ci circonda. Questo spasmodico bisogno di rispondere al come le cose funzionino, come siano fatte, dimenticandoci di quel perché che si nasconde dietro ogni essenza, ogni sostanza, ogni forma. Questo costante rifuggire dal vuoto che tanto temiamo. Eppure è forse proprio in quel vuoto che si nasconde l’unica risposta. L'universo stesso ce lo insegna. Lui - o lei, non importa - che ha nascosto la risposta delle risposte, quella che rivela il suo funzionamento,, forse il suo senso, all'interno di quella tenebra impenetrabile che noi chiamiamo buco nero. Una risposta tanto semplice quanto incomprensibile, che sosta al di là di quel confine terribile da cui non è concesso ritorno. L’orizzonte degli eventi che delimita l’oscurità assoluta, dove persino la luce si perde e, nel suo silenzio estremo, terrorizza la logica fallace delle nostre menti. E’ proprio laggiù, in quel luogo dove ogni cosa perde di senso, che si nasconde la risposta. Mi piace pensare che il tuo viaggio riguardi un qualcosa di simile, amico mio. Diretto là dove noi crediamo, o temiamo, non vi sia nulla. Diretto là dove il tempo e lo spazio, così solidi per noi, così evanescenti nella realtà, smettono di esistere. E lasciano posto all’eterno. Eterno come il ricordo, dove il nostro caro non conosce malattia, non conosce vecchiaia, non conosce morte. Una dimensione così innaturale, eppure così reale. Forse l’unica a esserlo per davvero. 
Così giungi ad attraversare quell’orizzonte, oltre il quale noi non possiamo vedere. Così oltrepassi quella linea di demarcazione che ci divide da ciò che noi pensiamo essere vuoto… ma che è sede indelebile e immutabile di chi abbiamo amato. E che, nonostante non siano fisicamente qui con noi, continuano a plasmarci, a rincuorarci, a guidarci, forse poi così vuoto non è. 

Buon viaggio amico mio. 
Un abbraccio.

Igor