Eppure in tutto ciò, nel calcio violento, dove si possono avere anche segni di nausea, si sottovaluta forse un qualcosa di importante. Certe situazioni, inquinando l'ambiente, lo compromettono alla radice e chi allo stadio ci andava per diletto, per viversi l'ambiente, il calore dello stadio, gli sfottò, e tutte quelle cose che fanno parte del calcio... ebbene, quando si va oltre, il calcio di cristallo si frantuma.
Un sogno che che si perde, la perdizione nell'illusione e allo stadio si rischia di non tornare. Magari non subito o forse mai più. Abbiamo faticato tanto per cercare di civilizzare il calcio italiano, ma abbiamo fallito.
Certo, non bisogna cadere nella banalità del qualunquismo, dove si confonde la rivalità calcistica con l'odio ed il razzismo. Un conto sono i cori da stadio, gli sfottò, anche gli insulti accettabili, un conto è quando la rivalità calcistica diventa ponte per scatenare i peggiori istinti che sfociano in razzismo e violenza. Non siamo in una società da baci e abbracci, siamo in un tempo violento, con guerre ai confini di Europa, usciamo da tre anni di pandemia che hanno procurato migliaia di morti in Italia e divisioni da guerra civile. La crisi economica non ha sicuramente favorito la cortesia e la solidarietà. Ed il calcio italiano oltre ai slogan annacquati e retorica da quattro danari nulla è riuscito a fare per contrastare l'omofobia.
Quanti sono i giocatori gay nel calcio italiano che possono dichiararsi per ciò che sono? Il calcio non è vissuto come un luogo protetto e sicuro. Anzi. Nulla si è riuscito a fare per contrastare il razzismo comune, come ha dimostrato il caso Lukaku, del serbo Vlahovic, dove addirittura c'è chi ha parlato di maleducazione e non di razzismo. Nulla si è riuscito a fare per contrastare il sessismo, come se bastasse un solo arbitro donna per ribaltare le cose o dire che il calcio femminile è ora professionistico, tanto fumo, zero arrosto. Ed in questo nulla incontrastato il calcio violento ha una, dieci, cento autostrade per fare quello che vuole e come vuole.
Ci crediamo un Paese moderno e civile, siamo tra i fondatori dell'Europa, ma la realtà è poco celestiale ed idilliaca. Sentirsi dire che si ha nausea di questo calcio e non voler andare più allo stadio è un colpo a freddo, ma che non arriva dal niente, ma da un tutto che è stato tollerato, accettato. Possiamo fare tutti gli stadi più fighi di questo mondo, ma se i contenitori avranno contenuti degni della peggior preistoria calcistica...
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