DRAMMA IN PALESTINA - Come citato nel mio precedente articolo, la guerra tra Palestina ed Israele ha completamente destabilizzato tutto il Medio Oriente, prima, e tutto il mondo, oggi. Il 7 ottobre 2023, i terroristi di Hamas hanno eseguito un attacco aereo verso il territorio Israeliano, infiammando un conflitto lungo quasi 80 anni. Per capire bene come nasce questo conflitto, bisogna partire dal XVI secolo, con la dichiarazione di Balfour del 1917. Quel giorno, il governo Inglese, intrigato dal ministro degli Esteri, Arthur Balfour, informó il leader della comunità ebraica nel paese, Walter Rothschild, di essere favorevole alla costituzione in terra Palestinese di un focolare Ebraico, avente propri diritti. La lettera aveva prevalentemente interessi strategici, ma Balfour si impegnò a creare una vera e propria realtà in cui la popolazione Ebraica potesse avere anche uno status politico. Questa ipotesi restó solo un’idea fino alla fine della seconda guerra Mondiale, ossia quando l’assemblea generale dell’ONU approvó un piano di partizione della Palestina, facendo nascere lo stato di Israele che fu proclamato ufficialmente autorizzato il 14 giugno 1948. La nascita di Israele fu subito recepita come una minaccia da diversi paesi Arabi, che decisero immediatamente di attaccare il nuovo stato. Nonostante Israele fosse piccola e “neonata”, riuscì a vincere la battaglia, conquistando, addirittura, un territorio più ampio di quello assegnatogli dall’ONU. I Palestinesi rimembrano questa sconfitta ogni anno, con la “giornata della Nabka” del 15 maggio, istituita per commemorare “la catastrofe”. Nel 1956, Israele, accompagnata da Francia e Inghilterra, oltrepassò il confine Egiziano, facendo esplodere la crisi di Suez. Solo 11 anni dopo, nel 1967, scoppió la guerra dei sei giorni, un conflitto nato per ragioni simili a quelle che avevano contribuito alle tensioni del 1949, che portò Israele a conquistare altri territori, compresa la Cisgiordania. Questo causó altri problemi, poiché la comunità Internazionale non riconobbe la conquista dei nuovi territori, definendo di fatto Israele come “occupante”. Per qualche anno regnó la tranquillità e il silenzio, ma era solo una calma apparentemente, visto che nel 1973 scoppiò la guerra dello Yom Kippur, che, indovinate un po’? Venne nuovamente vinta da Israele. Dopo tutti questi scontri si creó un dualismo tra Egitto e Israele, che venne normalizzato grazie agli accordi di Camp David, che prevedevano il riconoscimento, da parte dell’Egitto, di Israele. Purtroppo questa decisione non venne presa bene da tutti, e il presidente Sadat, colui che aveva avviato la guerra del 1973 e che riteneva Israele una minaccia per tutta la Palestina, venne definito traditore della patria e fu ucciso da alcuni integralisti Islamici. Dopo la sua morte, l’Egitto fu espulso dalla Lega Araba. I Palestinesi, nel mentre, continuavano a rivendicare i loro territori, alzando pericolosamente la tensione. Il 9 dicembre 1987 scoppió cosi la prima “Intifada delle pietre” e i manifestanti iniziarono a lanciare sassi e molotov contro le forze dell’ordine Israeliane. Ufficialmente peró, la causa dei conflitti, fu un incidente in cui un autotreno Israliano colpì volontariamente due furgoni che trasportavano degli operai di Gaza a Jabaliyya, un campo profughi di oltre 50.000 persone, uccidendo ben quattro Palestinesi. La situazione di conflitto tra Israele e Palestina non si risolse mai, ma nella storia ci sono momenti di pace, fiduciati da patti di non belligeranza, destinati a non durare. Il 13 settembre del 1993, Ytzhak Rabin, primo ministro Israeliano, e Yasser Arafat, leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), firmarono gli accordi di Oslo, che costringevano, Israele a riconoscere all’OLP il diritto di governare sui territori occupati, e l’OLP a riconoscere ad Israele il diritto ad esistere, evitando qualsiasi tipo di violenza, per creare e stabilire, finalmente, un vero e unico stato Palestinese. Andó tutto per il meglio, fino al 1995, quando i due leader si incontrarono per firmare una nuova serie di accordi, noti come gli accordi di Oslo II, che rivisitavano i precedenti accordi con ancora più unione da parte delle due compagini. Per i fanatici religiosi, era troppo, cosi decisero di uccidere Rabin e l’OLP venne accusata di essere complice della lotta armata. Per rincarare la dose, l’anno seguente, in Israele, divenne Premier Benjamin Netanyahu, un politico diventato popolare tra la popolazione Ebraica per la sua definizione di errore totale proprio degli accordi firmati in precedenza. La tensione ritornó quindi in auge nei primi anni 2000, dopo un totale fallimento, su tutti i fronti, di nuovi negoziati di pace, che spinsero il nuovo leader Israeliano, Ariel Sharon, alla visita della Spianata delle moschee, luogo considerato sacro dagli Arabi. Il 28 settembre 2000 ci fu una nuova protesta che diede vita alla seconda Intifada, quindi a nuovi attacchi terroristici. Nel 2014 esplose un vero e proprio conflitto, che causò tra l’altro 100mila sfollati, mentre di una nuova intifada si tornò a parlare nel 2015 a causa di un’altra serie di scontri, che si intensificarono a causa del fallimento di nuovi colloqui di pace e causarono altre migliaia di vittime. Da lì in poi ci fu una vera e propria escalation di attimi di pace intervallati da conflitti violenti e dolorosi. Nel 2017, Donald Trump, annunció di voler spostare l’ambasciata Americana a Gerusalemme, riconoscendola come capitale di Israele. Questo aumentó la tensione che scoppió nel 2021, con il rischio per alcune famiglie Palestinesi di essere sfrattate da Gerusalemme che fece partire una guerra di 11 giorni con la morte di quasi 300 persone. Ad inizio 2020, Israele, Emirati Arabi e Bahrein firmarono gli accordi di Abramo, che facevano riferimento al riconoscimento ufficiale di Israele, sotto gli occhi vigili degli Stati Uniti. Tutto molto bello, fino al 2022, dopo alcuni attacchi terroristici ai danni di Israele, le forze armate Israeliane hanno ucciso tre Palestinesi in Cisgiordania, affermando fossero armati e si trovassero in quel luogo per uccidere un gruppo di Israeliani. Questo attacco portó Naftali Bennet, Premier Israeliano dei tempi, ad avvisare i suoi cittadini di portare delle armi ogni qualvolta uscissero dalle loro abitazioni, per difendersi. La polizia Israeliana ferì centinaia di Palestini anche sulla Spianata delle Moschee, ci fu addirittura uno scambio di accuse tra le parti con il bombardamento di un sito nella Striscia di Gaza da una parte r il lancio di un missile da parte di Hamas dall’altra. Arriviamo di questa al 7 ottobre 2023, quando dalla Striscia di Gaza parte un massiccio lancio di migliaia di razzi verso Israele, che colpiscono anche Tel Aviv. Dietro all’attacco, come previsto, c’è Hamas, che fa ufficialmente partire l’operazione al-Aqsa, per mettere fine ai crimini Israeliani. Alcuni miliziani riescono a sfondare le barriere fisiche e ad addentrarsi nel territorio di Israele, mentre il governo di Tel Aviv risponde con l’operazione militare “Spade di ferro”. Decine di migliaia di riservisti vengono richiamati nell’esercito e Netanyahu, eletto nuovamente nel 2022, annuncia l’inizio della guerra tra Palestinesi e Israeliani. Situazione gravissima con i due territori che decidono di lanciarsi missili a vicenda e di prendere ostaggi senza ritegno. In molti sospettano che Hamas sia supportato da altri stati, come ad esempio Russia e Iran, ma al momento in cui sto scrivendo questo articolo, sono tutte voci non ufficiali. Le motivazioni sono da ricondursi al fatto che il conflitto sia scoppiato in un momento in cui stavano per finalizzarsi i negoziati del rapporto tra Israele e Arabia Saudita. Ruslan Suleymanov, giornalista Russo, sostiene che la coincidenza tra il giorno dell’attacco e il compleanno di Putin abbia un valore simbolico non indifferente. Secondo il Russo, molti paesi Nato si stanno convincendo di una sorta di nuovo ordine mondiale con a capo la Russia di Vladimir Putin, affiancata dalla Palestina, dalla Bielorussia e della Corea del Nord, tutte nazioni unite sotto l’ideale anti-liberale.

YOUCEF ATAL - Per quanto storia fosse una delle mie materie scolastiche preferite e per quanto io ami esprimere le mie conoscenze culturali, non vi ho raccontato tutto ciò per gonfiare il mio ego, ma per farvi capire che le scelte politiche negli anni hanno mischiato i ruoli di vittima e di carnefice, rendendo difficile la decisione di un’unica scelta autoritaria. Molti non sanno se supportare Israele o la Palestina, l’unica cosa che accomuna tutti, o che almeno dovrebbe, è che i civili non dovrebbero rimetterci la pelle per stupidi giochi di potere. Questo supporto diversificato si è inserito anche nelle dinamiche calcistiche, partendo proprio dalla Francia. Youcef Atal, terzino Algerino del Nizza, durante la sosta per le Nazionali, è stato indagato dalla Procura di Nizza. L’Algerino, sabato scorso, aveva condiviso un video di un predicatore Palestinese intento ad augurare una giornata “nera” agli Ebrei. Nonostante il giorno successivo, il video sia stato rimosso, Atal non ha potuto evitare l’escalation di eventi susseguiti nei giorni a venire. La Procura di Nizza ha spiegato di aver acquisito, ai sensi dell’articolo 40 del codice di procedura penale, la diffusione di materiale sui social network, accusando il calciatore di apologia di terrorismo e incitamento all’odio e alla violenza basata sulla religione. Il sindaco di Nizza, Christian Estrosi, ha preso una posizione dura nei confronti dell’Algerino, aspettandosi le scuse pubbliche e la denuncia dei terroristi di Hamas, chiedendo addirittura di trasferirsi altrove, in caso contrario. Anche la Federcalcio Francese ha voluto esprimere la propria opinione, definendo eticamente sbagliati gli appelli di violenza lanciati dal terzino del Nizza, non consentendo l’incitamento all’odio. Youcef Atal, in seguito alla notifica dell’apertura dell’indagine preliminare, sarà chiamato a dare spiegazioni alla commissione disciplinare straordinaria della Ligue 1 ed, ovviamente, alla Procura. Una situazione davvero complessa anche per il club Francese del Nizza, che ha creato la sua rosa proprio attorno alla duttilità di Atal ed oggi rischia di perdere il suo calciatore simbolo.

KARIM BENZEMA - Pochi giorni fa, anche Karim Benzema ha espresso il suo parere sul conflitto tra Israele e Palestina, con un post scritto su X (ex-Twitter) in cui il Francese esprimeva la sua vicinanza alla vittime di Gaza, dichiarando profondo dispiacere soprattutto per donne e bambini immancabilmente non risparmiati dai bombardamenti. Un post che ha fatto il giro del mondo, finché non è finito di fronte all’ex portiere Israeliano, David Aouate, ritiratosi dopo aver giocato nel Maiorca, nel Deportivo la Coruna e al Racing. Il portiere Israeliano ha deciso di rispondere al messaggio solidale di Benzema con toni alquanto pesanti, scrivendo “Figlio di puttana” in cinque lingue differenti (Ebraico, Francese, Inglese, Arabo e Spagnolo) con due emoji finali (Bandiere di Israele e USA) sotto il suo post. 

ANWAR EL GHAZI - Molto più complessa e delicata la situazione riguardante Anwar El Ghazi. L’Olandese ha deciso di prendere posizione attraverso le Instagram Stories, esprimendo anch’egli vicinanza alla comunità Palestinese. Il Mainz, suo club di appartenenza, che lo ha ingaggiato da svincolato solamente poche settimane fa, ha deciso di sospenderlo pubblicamente per quanto affermato. Per il club Tedesco non c’era alcun motivo di prendere una posizione riguardante il conflitto in Medio Oriente, ritenendo inaccettabile la scelta dell’ala del club. Situazione delicata per il calciatore che da ottima promessa del PSV Eindhoven solamente due anni fa, rischia di diventare un disoccupato di lusso, soprattutto in terra Europea. 

IL MIO PARERE NON RICHIESTO - Personalmente non sono in grado di esprimere un parere oggettivo sulle questioni citate, non so dove sia la verità nè tantomeno chi abbia ragione. Da parte mia posso solo dire che stiamo assistendo all’ennesima guerra di potere con migliaia di vittime innocenti, Israeliani o Palestinesi che siano. L’unico appunto sarebbe da fare sul parallelo tra la guerra in Ucraina e questa in Medio Oriente, poiché non capisco perché l’Europa decida da una parte di supportare l’occupata Ucraina ai danni della tiranna Russia mentre, dall’altra, di supportare Israele che, non solo non rispetta le sanzioni date dall’ONU, ma decide liberamente di occupare la Palestina, vantando un diritto basico basato su una leggenda Biblica. Ma, come detto, non sono la persona più ferrata per esprimere un parere su questo, preferisco esprimermi sulla libertà di espressione, uno dei diritti inviolabili dell’uomo, ancor di più per chi, come me, decide di intraprendere un tipo di carriera giornalistica, reportiva o informativa. Perché nessuno può esporre un appello di pace durante un assalto a Gaza, chiedendone il diritto alla sua esistenza, o anche solo esprimendo vicinanza a dei civili morti semplicemente perché nati in un posto piuttosto che in un altro, senza essere tacciato o definito terrorista? Perché un Ucraino che spara contro un militare Russo è un eroe mentre un Palestinese che difende la sua terra, allo stesso modo, viene definito terrorista? Perché i russi che attaccano i soldati ucraini e cercano di disarmare i civili sono considerati “demoni”, mentre gli israeliani che uccidono e arrestano senza nessuna scusa palestinesi, vengono considerati difensori della propria terra? Se vogliamo scavare proprio nel profondo, la Russia mira principalmente alle installazioni militari, cercando di lasciare l’Ucraina completamente indifesa ed obbligata alla resa, mentre Israele colpisce indistintamente un popolo cercandone l’annientamento completo. Vabbè, giudicate voi e riflettete liberamente con la vostra testa, qualunque sia la vostra idea, io sono per la totale libertà di espressione, con i giusti limiti legali e civili. Pensare, ragionare e riflettere sono le basi per una vita realmente libera, senza pregiudizi o sprechi di intelligenza, come diceva Evelyn Hall, è possibile non condividere un’idea ma bisogna necessariamente lottare affinché tutti quanti possano esprimere la propria visione, solo il discuterne, successivamente, potrà portare la ragione da una parte o dall’altra.