Il 27 maggio del 1965 sedevo, direi più propriamente stavo in piedi sotto un ombrello che mi riparava a stento da una pioggia battente, per assistere e sperare che l'Inter portasse a casa, la terza Coppa Campioni per una squadra italiana, seppur limitate a Milano, sulle 10 precedentemente dominate dalle squadre della Penisola Iberica nel suo insieme geografico. La prima non fu una squadra milanese a provare a rompere questo dominio iberico, la Fiorentina, una grande squadra che poco poté contro pure i padroni di casa, e subito dopo ci provò un altro grande Milan che ci andò vicinissimo, in una controversa finale finita ai tempi supplementari, in un Heysel poi diventato tristemente famoso dove vinse un'altra squadra italiana, la Juve. Per “sostenere” beninteso non per “tifare” nel senso classico, oppure “gufare” come oggi molti fanno contro squadre che in fondo rappresentano il nostro calcio. Per un milanista non è possibile “tifare” per l'Inter, ma sicuramente ammirarla e essere felice per i suoi successi internazionali, questo sicuramente sì, cosa del resto per me applicabile per qualunque squadra in quanto espressione del nostro calcio e, in fondo considerando la grande valenza socio-culturale che questo sport ha, più di tutti gli altri per la sua enorme trasversalità sociale, di una intera nazione. Ovviamente non denigro affatto chi questo senso di appartenenza in campo calcistico non lo sente per squadre che non siano quelle del cuore. Il calcio mette in campo fenomeni emotivi ai quali non si comanda facilmente. Quindi accolgo con gioia il fatto che l'Inter sia l'unica squadra di quelle ancora in lizza che si sia già qualificata per gli ottavi. Lo ha fatto con la sua solita partita di ragionamento e personalità pur contro una tonica e razzente squadra di ragazzini alcuni dei quali molto talentuosi, gestendola benissimo con saggio turnover e con la convinzione ormai radicata, anche se ogni tanto ritornano vecchi scheletri mai dimenticati, di essere una compagine alla quale nulla è precluso.
Sono figlio di un violinista-pianista-direttore di orchestra che per misteriosi motivi non ha insegnato musica ai figli ma invece a tanti altri, fino oltre i suoi 90 anni, e a uno in particolare ha suggerito una via diversa tale da diventare un solista di fama mondiale, cosa di cui era molto orgoglioso, oltre a essere un alessandrin-milanista direi piuttosto animato. Mi riesce quindi abbastanza naturale associare una squadra di calcio ad una orchestra e ho visto che qui nel forum ce ne sono che se ne intendono, e quindi un allenatore ad un direttore della stessa. In genere ad un direttore d'orchestra si associa anche il termine di “concertatore” niente di più applicabile ad un allenatore calcistico. Ci sono direttori che non solo leggono ma anche interpretano una partitura costituita da segni e indicazioni che comunque sono muti, dicono genericamente cosa fare nella intensità anche se le note sono precise, e quelli che queste partiture seppur sapientemente, semplicemente le leggono magari secondo uno schema di lettura loro, senza trarre ulteriori personali sviluppi nella loro esecuzione. I direttori della prima categoria traggono sempre dalla partitura delle motivazioni che fanno crescere l'orchestra nel tempo, i secondi la lasciano pià o meno sempre allo stesso livello. I direttori della prima categoria con il tempo costruiscono una timbrica particolare facendone partecipi i singoli orchestrali che crescono tutti individualmente pur rimanendo dentro un “insieme” armonico. I secondi non forniscono generalmente questi stimoli. Non so quindi purtroppo niente di musica, ho fatto studi totalmente diversi, ma so riconoscere la timbrica dei Wiener oppure dei Berliner pur nella stessa esecuzione di una partitura. Quindi i direttori della prima categoria sono “sviluppatori creativi” quella della seconda dire “tecnocrati efficientisti”.

Se porto questa trasposizione in campo calcistico il primo tipo di allenatore comincia a dare una timbrica attraverso il miglioramento dei componenti della sua orchestra/squadra, il secondo è un tecnocrate applicatore di schemi che non portano ad un rilevante miglioramento dei singoli e quindi al miglioramento del complesso, magari pur mantenendolo a livelli più che accettabili. Il primo migliora, il secondo solamente utilizza, e quindi quando scende dal podio lascia una orchestra più o meno come l'aveva trovata, molte volte anche peggio, in campo calcistico, ma sicuramente non migliora più di tanto. Quello che mi impressiona nell'Inter e che quindi in questo momento la rende la squadra migliore d'Italia, a mio avviso, tant'è che è la prima a qualificarsi e che il suo allenatore appartiene sicuramente alla prima categoria di direttori. In Europa tutto è difficile soprattutto in Champions, non esistono squadre deboli ma squadre che danno tutto e sempre, come si è visto ieri con il Napoli contro un modesto Union. La Champions non è un campionato, è un torneo simile a quelli antichi dove quando ci si scontra può sempre succedere di tutto, anche di essere disarcionato da un cavaliere meno esperto e quotato.
Se guardo i singoli componenti della squadra Inter non è tanto lo schema che utilizza, la tendenza ad essere offensiva oppure difensiva è il miglioramento pressoché globale dato dal miglioramento dei singoli, di molti dei suoi componenti, direi quasi tutti e che quindi cominciano a dare una “timbrica” che diventa sempre più inconfondibile, calcisticamente parlando. Si parla di maturità di squadra, direi di “timbrica” di squadra. Non voglio fare paragoni con il Milan, che a questo riguardo risulterebbero un poco ingenerosi, anche se magari un accenno cerco di darlo. A monte di un allenatore c'è una Società. E assegnazione di competenze precise e delineate. In più abbiamo un allenatore che, a mio avviso,  appartiene alla seconda categoria. In questo momento dopo aver eliminato  competenze specifiche e delineate siamo passati ad  un cocktail,  mescolando componenti e competenze francamente che produrranno un gusto non ancora ben definito. Tornando all'Inter e a Inzaghi quello che personalmente mi impressiona è la crescita di molti suoi componenti. Una crescita che vista prospetticamente è notevole non solo guardando indietro ma che addirittura lascia pure ancora margini di miglioramento, guardando avanti.
A questo si associano scelte di mercato con risultati altrettanto notevoli. A cominciare da Sommer. Dopo l'uscita di Handanovic e di Onana, autentica rivelazione, il ruolo era scoperto e il nuovo entrante già da subito sfodera un miglioramento di prestazioni rispetto a quelli che erano i suoi standard abituali. Può essere un caso, ma forse non lo è. Darmian ripescato 30enne e praticamente a fine carriera trasformatosi in un terzino tuttofare e pedina fondamentale. Il nostro Calha, inanellatore, da noi, di una serie infinita di prestazioni opache trasformato in un play basso di valore mondiale. Acerbi, quasi uno scarto della Lazio che ritrova una continuità se non una titolarità con prestazioni sempre di alto livello. Bastoni uno dei miglioramenti più eclatanti, un esterno dal piede in totale progressione, quello che definisco lo Stones d'Italia. Di Marco un esterno capace di azioni offensive e difensive sempre migliori. Lautaro, si sempre grande attaccante ma oggi è forse tra i primi 5 del mondo. Mkhitaryan, che come Acerbi a 34 anni produce prestazioni superiori rispetto a prima. Dumfries prima terzino di solo attacco e ora esterno completo ma sicuramente in fase di miglioramento. Non è certo una apologia dei risultati di Inzaghi, perché ad esempio con Barella, a mio avviso stiamo assistendo ad una involuzione negativa. Ma nel suo insieme il miglioramento progressivo dei singoli è evidente e l'orchestra comincia ad avere una sua timbrica precisa.
Nel caso del Milan, in gestione Pioli, e a livello societario, mi sembra che aspettiamo da acquisti un poco “depotenziati” che ritornino a livelli antichi, da Leao, che Sacchi addirittura fino a pochi giorni fa, non avrebbe nemmeno incluso in una “sua” squadra che diventi una vera stella. Affermare oggi che ha battuto Mbappé è una di quelle iperboli di cui ha già scritto, semplicemente ridicola. Rafa per essere un Mbappè di strada ne deve fare ancora tanta. L'unico vero miglioramento in un singolo l'ho visto in Bennacer. Di altri se erano buoni tali sono rimasti oppure migliorati di non tantissimo come Maignan, di alcuni come Reijnder si spera che migliorino, di Tomori non tanto di più del feroce difensore nel campionato vinto, di altri ancora nulla si sa. Due situazioni diverse in campo e fuori. Due direttori di Orchestra diversi. Uno, Inzaghi, interpreta le sue partiture l'altro le legge, anche benissimo, a volte, ma tutto rimane più o meno come prima.
La timbrica deve essere ancora trovata.