E così Vialli ci ha lasciati, come se fosse andato via con i suoi fenomenali dribbling e le sue finte, che preludevano al tiro vincente.
Ma stavolta il tiro non lo ha fatto, e rimane quell'azione sospesa nel tempo della vita e della morte, che prima o poi accompagna la nostra misera esistenza.  
Era nato il 9 luglio 1964 in una splendida città, Cremona. Ho avuto l'opportunità di visitarla, e mi era piaciuta, perché assemblava la modernità al suo centro di stile medievale, come se si trattasse di una città Toscana. Le persone che incontravo erano gentili, ma riservate, proprio come il nostro Gianluca. Campione in campo e nella vita. Un esempio da seguire, su tutti i fronti.
Esordisce giovanissimo con la Cremonese in serie B, a soli diciassette anni, e viene presto notato dai maggiori club, compresa la Juventus, che sembra sia la pretendente più vicina all'acquisto. Ma non si sa cosa succede, perché un osservatore mandato dalla società bianconera lo boccia, definendolo giocatore di "categoria".
Cosa volesse dire con quella frase, ancora non lo sappiamo, ma il fatto è che Vialli finisce invece a Genova, sponda Sampdoria. Allora il Presidente era Mantovani, che oltre a grandi capacità di scovare talenti, univa una grande umanità nella gestione degli stessi, comportandosi come un papà comprensivo e generoso. Infatti, aveva detto ai suoi pupilli, tra i quali Mancini, Vierchowood e Salsano che li avrebbe sempre lasciati liberi di andare in qualsiasi squadra volessero giocare, anche a costo di soffrirne la mancanza.
Ma i suoi "ragazzi" non lo lasciarono, se non dopo avere esaudito il loro desiderio legato ad una promessa: vincere lo scudetto con la Sampdoria.
E nel 1991, dopo una cavalcata trionfale, lo scudetto arriva, in panchina c'è Vujadin Boskov, grande allenatore. L'anno dopo arriva anche la finale della Coppa dei Campioni, a Londra, che però diventa amara, perché il Barcellona, con un tiro su punizione di Koeman, vince e ruba tutti i sogni dei blucerchiati. 
La delusione è cocente, ed intanto gli sfottò non mancano, con alcuni cartelli che indicavano di andare al Bar Cellona, dove potevano gustare l'Amaro Wembley, fatto con la pera Koeman.
Da quel momento qualcosa cambia, e la squadra comincia a perdere pezzi importanti, Vierchowood va alla Juventus, Mancini alla Lazio  e dopo poco tempo anche Vialli va alla Juventus, eludendo le "avances" di altri club, come il Milan di Berlusconi.
Ma è proprio alla Juventus che nel 1996 riacciufferà quella coppa sognata cinque anni prima, con la fascia da capitano ed il sorriso che si stampa sul trofeo alzato al cielo, come a ringraziare gli dei del pallone, che qualche volta esaudiscono i desideri. 

Gianluca fu meno fortunato in Nazionale, dove giocò con altri giocatori molto bravi, ma non riuscì mai a vincere qualcosa, neppure a livello giovanile, nonostante avesse compagni di squadra come Baggio e Mancini.
Si trasferì in Inghilterra appena dopo la finale di Roma, con la quale chiuse la sua carriera alla Juventus, e giocò nel Chelsea, dove poi divenne anche giocatore-allenatore. Nel Chelsea, finì la sua carriera di giocatore, divenendo poi allenatore del Watford. 
Nel campionato italiano, da giocatore,  aveva vinto 2 Scudetti, 4 Coppe Italia e  2 Supercoppa Italiana. In Inghilterra 1 Coppa di Lega  ed 1 Coppa d'Inghilterra. A livello internazionale, oltre a 1 Champions, anche 2 Coppe delle Coppe, 1 Coppa Uefa, ed 1 Supercoppa Uefa. Da allenatore vinse 1 Coppa di lega Inglese, 1 Coppa d'Inghilterra, 1 Charity Shield, ed a livello internazionale, 1 Coppa delle Coppe ed 1 Supercoppa Uefa. 

Mi ricordo che non mi era molto simpatico, per via di quel suo atteggiamento un po' guascone e con una punta di snob. Ma quando mi capitò di andare a vederlo giocare, mi rimangiai tutto. E siccome solo gli stupidi non cambiano mai opinione, mi ritrovai ad ammirarlo per la sua classe e la completa abnegazione che metteva in campo. Un misto di forza, tecnica ed umiltà al servizio della squadra. Correva tantissimo, e svariava da una parte all'altra del campo, facendo ammattire i difensori, arrivando anche a segnare il gol vittoria di quel Juventus-Inter, giocata in una fredda sera di novembre. Allora cominciai a capire chi era Vialli. Sempre disponibile alle interviste, e mai polemico. Dava e riceveva rispetto dagli avversari, con i quali era duro, ma leale. E pian pian si rivelarono le sue doti di comunicatore. 
Non per niente Mancini, C.T. della nostra Nazionale campione d'Europa, lo volle come capo delegazione. Non fu solo per la loro straordinaria amicizia, ma per il riconoscimento delle sue peculiarità di fine mediatore con l'ambiente esterno, grandi capacità di relazione con diverse istituzioni e non ultimo, il suo carisma che esercitava positivamente sulla squadra, alle prese con tensioni enormi, spesso difficili da superare.
Ma lui sapeva trovare le parole giuste, alzare l'autostima in ognuno, e per non apparire troppo diverso dagli altri, riusciva ad escogitare battute e siparietti che scaricavano le tensioni, per cementare l'unione del gruppo.
E Gianluca era sempre stato così, doti da leader, dentro e fuori dal campo. Ma un leader che era sempre in prima fila nella battaglia, che non si arrendeva mai. Come pure era un leader nei rapporti umani sempre pronto a trovare le parole e gli atteggiamenti giusti per ognuno. Ancora oggi si raccontano delle uscite che a Genova facevano insieme lui, Mancini, Salsano, Dossena, e altri compagni di merende.
Si divertivano molto, e spesso Gianluca faceva scherzi a qualche compagno di squadra per tenere alto l'umore della compagnia. 

Quando giocava nella Juventus, fu preso di mira da Zeman, che lo indicò come un sospettato di assumere "doping", lamentando la grandezza delle sue cosce, spropositate secondo il suo parere. Da questo partì il processo contro la Juventus, intentato dal Procuratore Guariniello, con accuse di doping. E forse era la seconda volta che Vialli veniva denigrato, la prima fu quando un osservatore della Juventus lo definì non da Juventus e pare che fosse un parente stretto di Zeman, suo zio Cestmir Vicpalek, bravo allenatore, ma che nell'occasione non ci prese. Almeno così si diceva. 

Cinque anni fa la malattia lo raggiunse, nel fiore degli anni, ancora forte e vigoroso, debilitandolo ferocemente. Sembrava che ne fosse uscito fuori, ma come successo a Mihajlovic, si è ripresentata, ancora più incattivita.
Nel frattempo, Vialli aveva deciso di fondare un'associazione per la lotta contro i tumori, insieme al suo grande amico Massimo Mauro, ex giocatore della Juventus. Ancora una volta, il campione era uscito fuori e dentro la sua corazza combatteva la sua partita più difficile. Una partita che però non voleva fosse solo sua, ma che potesse portare la vittoria anche per chi come lui lottava per lo stesso male. E dentro di sè, diceva che avrebbe voluto sapere che qualcuno, avrebbe trovato la forza di combattere pensando proprio al suo esempio, come un compagno di squadra, al quale dare una mano per rialzarsi e ripartire con la partita, non di calcio stavolta, ma della vita.
Addio Gianluca, ora giocherai a calcio con Paolo Rossi, Sinisa Mihajlovic e altri sfortunati campioni che ci hanno lasciato troppo presto.
Un abbraccio alla famiglia!