Spalletti ha un temperamento impaziente e la sua filosofia di gioco lo riflette. Le sue squadre producono almeno il 75% di quello che possono dare nei primi 35', per indirizzare il match a loro favore. Poi cercano di farsi bastare le energie rimaste per gestire quanto hanno raccolto.

Nel match della settimana scorsa, la differenza con la Macedonia era apparsa troppo netta. La carica iniziale aveva prodotto un 2-0. Questo doppio vantaggio era diventato poi 3-0 negli ultimi minuti del primo tempo a causa di una deviazione su tiro di Chiesa, ma la pressione degli Spalletti boys stava scemando. Non a caso, almeno a mio avviso, i modestissimi macedoni erano riusciti a rientrare in partita nei primi minuti della ripresa. Contro un'Italia non più irresistibile, avevano poi difeso lo svantaggio di 3-1 finché un'altra deviazione, questa volta a loro favore, li aveva portati a una distanza dal pareggio. Sommo e inenarrabile peccato, si erano lanciati a loro volta in attacco, offrendo praterie che perfino un'Italia meno brillante aveva saputo sfruttare. Il 5-2 finale per gli Azzurri non aveva dato un'idea esatta dei patemi sofferti dall'Italia.

Nello scontro di martedì contro l'Ucraina, gli azzurri avrebbero contato sulla chance di finire in pareggio e andare agli Europei. E proprio con tale viatico poco glorioso, sono approdati alle fasi finali della manifestazione. Ora, però, dobbiamo fermarci a ragionare su un punto che non va mai trascurato ovvero la cultura calcistica.

L'Ucraina attuale non è una formazione di fenomeni, ma è comunque un gradino più in alto della Macedonia. Cosa più importante, tuttavia, è che gli ucraini hanno cultura calcistica come pochi. A cavallo fra gli anni '30 e '40, infatti, la Dinamo Kiev era una delle squadra più forti del mondo, al punto da umiliare sul campo i Tedeschi occupanti durante la Seconda Guerra Mondiale. L'episodio, che ha ispirato il film "Fuga per la vittoria", condannò quasi tutta la squadra, tecnico compreso, a subire la vendetta dei nazisti (gente poco incline ad accettare le sconfitte con l'aplomb degli uomini di mondo).

Dagli anni '70 agli anni '90, la Dinamo Kiev del colonnello Lobanowsky tornò a essere una delle migliori squadre in circolazione, con l'handicap di avere una stagione agonistica concentrata nel periodo estivo a causa del clima di quella parte del mondo. E l'ultimo grande prodotto del calcio ucraino è stato il fenomeno Shevchenko.

Gli Ucraini di calcio ne capiscono, insomma, e il tecnico della nazionale è Rebrov, compagno di nazionale del più splendente Shevchenko.

Sul prato, praticamente neutro di Leverkusen, Spalletti ha chiesto ai suoi di scatenare subito l'inferno, cosa che in sé ci poteva stare. Portandosi avanti, infatti, l'Italia avrebbe potuto spegnere gli ardori dei discendenti di Oleg il Saggio, che avevano a disposizione la sola vittoria come risultato utile. Il problema è che le partite non si giocano in sé come credono i tayloristi del calcio (Sacchi ne é un autorevole esempio, ma anche Spalletti lo è), bensì in un certo giorno e luogo, contro un certo avversario, portandosi dietro i propri pregi e difetti. L'ingegner Taylor ha inventato la catena di montaggio, ma una catena di montaggio non deve affrontare nessuno che le mette i bastoni fra le ruote. Se poi quell'avversario, come ha fatto Rebrov, ti ha studiato bene e ha una bella listina dei tuoi pregi e difetti... eh sì, la partita non ha più nulla di in sé... .

Spalletti, dal temperamento nervoso e impaziente come pochi, ha ordinato la carica di Balaklava contro un avversario che era preparato a subirla e, magari, ad andare sotto. Nei primi 35' di Inferno, gli azzurri hanno fatto tremare gli avversari con la palla che danzava davanti alla porta. Li hanno fatti soffrire, ma non li hanno intimoriti oltre un certo limite. Gli Ucraini hanno retto anche alla fine del primo tempo, quando la spinta azzurra proseguiva solo sulla forza dei nervi. Poi, nel primo quarto d'ora della ripresa, non hanno sofferto oltre certi limiti.

Intorno al quarto d'ora dei secondi 45', quando la spia della benzina italica si è accesa, gli Ucraini hanno cominciato a macinare gioco senza commettere l'errore dei macedoni. Non si sono buttati all'attacco, perché sapevano che bastava loro un gol e un gol si puà fare anche allo scadere. Anzi, come in un'operazione di rastrellamento si batte palmo a palmo il territorio, i gialloblu hanno preso a restringere inesorabilmente gli spazi di cui gli Azzurri avevano bisogno per alleggerire la pressione.

L'Italia ha retto, perché Spalletti, a differenza di Pioli, sa rendere gli spazi densi e ridurre le occasioni per gli avversari, anche se i suoi sono in difficoltà. E di ciò va dato atto al tecnico toscano. La sua Italia è stata messa lì dal 60° al 75° e poi dal minuto 80 fino ai secondi finali, però è riuscita per larghi tratti a fare muro più avanti del limite dell'area, nonché a triplicare o quadruplicare le marcature in area. Eppure, si vedeva che la lingua dei giocatori nostrani penzolava, come si leggeva la preoccupazione nei loro occhi.

Tutti abbiamo pensato che, prima o poi, ci sarebbe stata l'occasione su sui Rebrov aveva costruito il match. Mudryk aveva mantenuto intatte le energie per il finale e al 93° ha perforato come il burro le vacillanti fortificazioni italiche per presentarsi solo davanti a Donnarumma. E' stato falciato da Cristante, ma il signor Gil Manzano ha compiuto un doppio prodigio arbitrale: non ha fischiato il rigore e, per di più, ha vanificato la presenza del VAR, assumendo con decisione la paternità del mancato fischio. Gil Manzano ha dimostrato di essere anche un autentico uomo di mondo del pallone.

Se il calcio fosse sport di prestazione, verrebbe da dire che Rebrov è stato impeccabile nella sue freddezza, tutta nordica, da Rus, quei Vichinghi che solcavano i fiumi delle pianure ucraine per predare e commerciare. Aveva una squadra inferiore e su quella inferiorità stava costruendo il successo, con annessa qualificazione, che l'impaziente taylorista Spalletti stava perdendo. Purtroppo per lui, il calcio è sport di risultato e la partita l'ha vinta l'Italia.

E' vero che va molto di moda esaltare le squadre che impongono il proprio gioco e non tengono conto degli avversari. E' anche vero che è importante spegnere subito le velleità avversarie. Ma ha senso andare in overboosting ogni santo match e poi terminare col fiatone? Ha senso scatenare l'inferno, per poi attendere il regalo arbitrale?

Su questo punto, gli arbitri intendo, dobbiamo fare un esame di coscienza. Se seguite le telecronache RAI, sono anni che impera il pianto sulle decisioni sfavorevoli, che a volte sono tali, ma a volte no. E' un piagnisteo spesso sgradevole, specie quando non c'è motivo di farlo. D'altro canto, però, pur riconoscendo agli Ucraini di essere stati penalizzati, consiglio a tutti di tenersi stretto il maltolto come gli Ucraini farebbero al nostro posto... sì, perché al nostro posto il maltolto se lo terrebbero.

Se poi, agli europei, il vento dovesse girare, non lamentiamoci e ricordiamoci sempre di come ci siamo qualificati.

Al momento, per concludere, l'unico vero attaccante di spessore della Nazionale è Chiesa. Se si dovesse rifare male, ci sarebbe da piangere.