Il "taylorismo" è un metodo di organizzazione del lavoro elaborato un secolo fa dall'ing. Taylor. E' alla base della catena di montaggio, nella quale ogni lavoratore esegue sempre la stessa operazione elementare presentandosi sostanzialmente come l'ingranaggio di un meccanismo. Applicato al calcio, il taylorimo è il fondamento di una ben precisa filosofia cara a diversi allenatori e commentatori: alla base del risultato non può che esserci il gioco. Tanto per fare un esempio a caso, se un giocatore va sul dischetto del rigore e sbaglia malamente, la colpa è del gioco. Il gioco è ovviamente una componente importante del risultato, come la qualità dei giocatori, la preparazione atletica, quella psicologica, le particolari condizioni psicofisiche dei singoli nell'occasione della partita, la prestazione dell'arbitro (essere umano) e così via. E tuttavia ogni buon taylorista, con ragionamento ex post, al termine del match dirà che il risultato è stato determinato dal gioco o che, se fosse stato diverso, sarebbe stato comunque determinato dal gioco.
Personalmente non interpreterei Torino-Milan alla luce della suddetta filosofia. Si è trattato del classico scontro fra due squadre buone, ma non eccezionali, e zeppe di punti deboli. Quando si scontrano due formazioni così si crea l'effetto flipper, spettacolare dal punto di vista emozionale ma da mettersi le mani nei capelli dal punto di vista tecnico. Il risultato diventa impredicibile, perché le variabili già molto complesse di una partita si ritrovano moltiplicate. Accade che una squadra vada sul 2-0 e che l'altra la riprenda con la stessa facilità. Può vincere l'una come l'altra e non per effetto del caso (che non esiste), ma per effetto di fattori che comunque riesce difficile individuare anche a posteriori a causa della confusione in cui sono nascosti. La serata di Romagnoli è stata pessima, Lijaic è rimasto spiazzato dal fatto che Antonioli è rimasto immobile, il Torino denota una certa difficoltà a carburare dopo l'intervallo, il Milan è un diesel che carbura nei secondi tempi. E' c'è anche una diversa fisionomia di gioco del Milan rispetto al Torino, più marcata nei rossoneri e meno nel Torino. Dire però che alla fine ciò che ha influito è il gioco, mi sembra "ideologico".
Allo stesso modo non mi convince la spiegazione basata sulla personalità delle squadre o, precisamente, sulla mancanza di personalità dei giocatori del Torino. La personalità collettiva di una squadra e la personalità individuale dei giocatori sono una delle tante componenti della partita, ma rischiano di deresponsabilizzare gli allenatori (quando danno la colpa ai giocatori) e i giocatori (quando si dice che sono i tecnici a dover dare carattere alla loro formazione).
Ieri sera in una trasmissione televisiva Mihajlovic ha accusato i suoi di perdere facilmente la testa e, quando gli è stato fatto notare che era lui a dover trasferire la mentalità "giusta" ai suoi ragazzi, ha replicato che le "palle" bisogna averle e non si allenano. L'ultimo concetto espresso da Sinisa è corretto, perché ci sono delle cose che, se non hai, nessuno te le può dare. Mihajlovic ha però sbagliato all'inizio, quando ha scaricato le colpe sui suoi uomini, perché non ha considerato che, personalità o no, il risultato può essere stato frutto di tanti altri fattori ai quali come tecnico non è estraneo.
Voglio un bene dell'anima a Sinisa, ma un allenatore, quando le cose non vanno bene, deve saper "coprire" i suoi uomini. Ieri non lo ha fatto.
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