Mentre sulla sponda rossonera del Naviglio, come testimoniano anche alcuni prodotti del nostro blog, vi è una divisione tra pro Maldini e contro Maldini, l’amore che lega l’Inter al suo storico capitano continua ad essere trasversalmente universale. Se ci pensiamo, è probabilmente un unicum nel calcio italiano (e raro nel calcio internazionale): oltre alla leggenda rossonera, anche Totti e Del Piero non hanno avuto fortuna (almeno ad oggi) con le società di cui sono state immense bandiere. Javier Zanetti, invece, svestiti i panni di terzino destro, terzino sinistro, mediano, interno di centrocampo, ala e chissà cos’altro, ha trovato posto nell’organigramma del nuovo corso, divenendo vicepresidente del club. Vederlo in tribuna a soffrire e gioire con noi è un’emozione. È come se quell’amore nato nel 1995 non si fosse mai interrotto. Ed è proprio dall’estate di quell’anno che voglio partire per ripercorrere i 10 momenti più importanti della storia neroazzurra di Pupi, che oggi compie 50 anni e a cui non possono che andare i migliori auguri.

10) Quello meno forte – La dinastia Moratti è appena tornata al vertice della Beneamata. A febbraio di quell’anno, Massimo ha ripreso in mano la squadra che suo padre aveva portato al vertice del mondo e le intenzioni sono quelle di replicare i successi di papà Angelo. E per cominciare a costruire un castello che troverà completamento 15 anni più tardi, pescherà dal Sud America: arriva Roberto Carlos dal Brasile e un semisconosciuto (almeno alle nostre latitudini) Javier Zanetti dal Banfield, campionato argentino. Ci pensate? In quell’anno avevamo la potenziale coppia di terzini più forte di tutti i tempi o giù di lì (poi sappiamo come è finita con il carioca, divenuto stella del Real Madrid). L’arrivo di Zanetti coincide con quello di tal Sebastian Rambert dall’Independiente: alla conferenza di presentazione, i fari sono puntati sull’attaccante, che dovrebbe essere il gran colpo tra i due. E invece, “quello meno forte” fa presto a rubare la scena: Bergomi, capitano e leader di quella rosa, al primo allenamento rimane stregato, in quanto il nuovo arrivato è abilissimo nel possesso palla, non perdendo mai la sfera. Persino Maradona si lascia sfuggire un commento dal peso incredibile, ritenendolo il miglior acquisto dell’anno. Insomma, ben presto lo scenario di quella presentazione estiva si inverte: il vero primo colpo della gestione morattiana ha il volto di Javier.

9) L’incredibile litigio – Il capitano neroazzurro è sempre stato un simbolo di sportività, correttezza, onestà. Qualità riconosciute da tutti, tifosi ed avversari, che lo hanno reso uno dei monumenti del fair play. Eppure, anche lui ha perso le staffe. Stagione 1996/97. Javier ha ormai trovato il posto da titolare e in campionato la squadra è al terzo posto, ma è in Coppa UEFA che offre il meglio, arrivando in finale contro lo Schalke 04. All’andata, in Germania, i teutonici si impongono di misura per 1-0. Nel match di ritorno, in un Meazza stracolmo all’inverosimile, l’Inter pareggia i conti con il gol di Zamorano a 5 minuti dal termine. La conduzione arbitrale, però, è pessima: l’arbitro spagnolo Aranda espelle Fresi all’89’, lasciando la squadra milanese in 10 per tutti i tempi supplementari, a causa di un fallo non così eclatante da meritare il secondo giallo. Di contro, lascia correre su un contatto tra De Kock e Ganz in area di rigore: fallo nettissimo secondo l’attaccante, che a fine gara non le manderà a dire, così come tutto il club. Insomma, l’inferno. Ma, come se non bastasse, Roy Hodgson, tecnico dell’epoca non propriamente rimasto nei cuori interisti, ci mette del suo: a un minuto dal termine dell’extratime, sostituisce Zanetti per inserire Berti. Incomprensibile: ed è in quel momento che il futuro capitano scatena il parapiglia, non digerendo la decisione dell’allenatore, in una partita già a fortissima tensione a causa della posta in palio e dell’arbitraggio. I tiri dagli undici metri condanneranno l’Inter. Fu comunque fatta subito pace, sebbene l’inglese non colse immediatamente il ramoscello d’ulivo teso da Javier, ritenendosi deluso dal comportamento del suo giocatore. Alla fine, con la signorilità che lo contraddistingueva già poco più che ventenne, il numero 4 chiuse la lite: «Sono rimasto malissimo per la sostituzione, volevo giocarla questa finale e volevo tirare anche i rigori. Certo, è vero che mi sono lasciato prendere dal nervosismo. Ma poi gli ho chiesto scusa e anche lui ha chiesto scusa a me». Al termine della stagione, le strade di società e tecnico si separeranno: in panchina arriva Gigi Simoni.

8) La partita più bella – Quando, alla vigilia del Mondiale per Club 2010, gli fu posta la domanda su quale fosse stata la serata più bella della sua storia interista, in molti si aspettavano la finale di Champions League del Bernabeu. O, al massimo, la semifinale contro il Barcellona. Lui, invece, come sul campo spiazzò tutti: «La finale di coppa Uefa '98, vinta a Parigi contro la Lazio anche grazie a un mio gol». Ebbene sì, la notte del Parco dei Principi è il ricordo più intenso per lui, forse anche dovuto al fatto che mise a segno una delle tre reti con cui i neroazzurri travolsero i biancocelesti, vincendo la terza Coppa Uefa della storia (e in 8 anni), regalando al presidente Massimo Moratti il primo trofeo della sua era. Un’annata particolare, con i veleni per l’epilogo del campionato tra Juventus ed Inter che ancora oggi scatena polemiche, e con un Ronaldo in versione aliena: non vincere qualcosa con il brasiliano al top sarebbe stato contro la logica.

7) Javier capitano – Il 2002 è un anno pessimo per la storia interista, con il tricolore perso all’ultima giornata che tanto male ha fatto ai cuori neroazzurri. Contemporaneamente, nell’estate dei mondiali nippo-coreani (manifestazione a cui Javier partecipa per la seconda e ultima volta, ma ne parliamo dopo), il Fenomeno lascia la squadra che più di tutte lo ha amato e accetta la corte del Real Madrid. Piove sul bagnato. Ma, di proverbio in proverbio, non tutto il male viene per nuocere. A raccogliere l’eredità della fascia che era passata al brasiliano dopo l’addio al calcio dello Zio Bergomi, c’è proprio il numero 4. Un passaggio di consegne che in quel momento non placa la delusione per l’addio di uno dei più grandi calciatori di sempre, ma che col tempo avrebbe preso tutta un’altra piega.

6) Arrivano i titoli – L’aspetto che ha caratterizzato la carriera zanettiana è l’amore incondizionato per l’Inter, nonostante il lungo digiuno. Le sirene spagnole e inglesi avrebbero potuto farlo vacillare, come hanno fatto molti altri, ma lui no. Ha sposato una causa, ha perseverato, ha atteso e alla fine ha avuto ragione. Con l’avvento di Roberto Mancini nel 2004, alla prima stagione arriva la Coppa Italia: è il primo trofeo alzato da capitano del club, dal grande valore simbolico ma anche tecnico. Infatti, è proprio da quella doppia finale contro la Roma (all’epoca si giocava ancora andata e ritorno) che inizierà il grande ciclo vincente della storia interista, con sette stagioni di fila che vedranno il capitano alzare trofei a raffica. Nel 2005/06 arriverà il primo scudetto, vinto a tavolino, mentre l’anno dopo non ci fu storia, con un dominio assoluto della Serie A. In molti parlarono di campionato impoverito dall’assenza della Juventus e dalle penalizzazioni, ma va ricordato che in quella stessa stagione il Milan si laureava campione d’Europa e, a prescindere dal segno meno, finì a distanza siderale.

5) Il gol alla Roma – Per smentire gli ultimi scettici, nel 2007/08 ai nastri di partenza vi è anche la neopromossa Juventus. Il Milan ancelottiano è agli sgoccioli, mentre la vera rivale di quel periodo è la Roma, quell’anno guidata da Spalletti. Il duello vedrà le due compagini spalla a spalla fino alla fine, con la grande vittoria di Parma targata Ibrahimovic il quale, tornato dall’infortunio che lo aveva tormentato per mesi, entrò nel secondo tempo del "Tardini" e risolse il match a suo modo, siglando una doppietta e confermando il tricolore a Milano. Qualche mese prima, però, ci fu lo scontro diretto tra Inter e giallorossi, fondamentale per l’andamento del torneo: il 27 febbraio, l’altra bandiera, Francesco Totti, porta in vantaggio i capitolini a fine primo tempo. A due minuti dal termine, però, il forcing della squadra manciniana ha effetto: su un pallone vagante sulla trequarti, Zanetti si infila tra due marcatori e di potenza scaglia un destro dalla lunetta coordinandosi perfettamente, che si infila in porta senza possibilità di replica. Delirio. Lui corre, impazzisce, è il gol più importante della stagione e forse il più bello della sua carriera: l’interismo di quella rete va oltre la rilevanza del gol stesso.

4) L’incubo del Barcellona – Un altro dei suoi appellativi è El Tractor. Instancabile, ara il terreno di gioco costantemente, macina chilometri. Una potenza muscolare, di voglia, di abnegazione. Tratti di cui si accorse l’astro nascente della storia del calcio e un’intera squadra, quella catalana, che patì una delle sue più grandi delusioni sportive, ancora oggi non digerita. In quel momento i blaugrana sono la compagine più forte del pianeta: Guardiola in panchina, Iniesta a centrocampo (il più forte, quello di cui si ricordano tutti, al contrario di quello che stava al suo fianco) e Messi davanti sono i pilastri di un collettivo unico. Di fronte, però, troveranno una squadra determinata, incarnata dal suo capitano: nel doppio confronto, la spunta Mourinho. È finale di Champions League 2009/10. Eliminati gli alieni, che non accettano la sconfitta, si aggrappano agli idranti: è tutto bellissimo.

3) Il trionfo di Madrid – 15 anni. Questo il tempo necessario per arrivare a giocarsi tutto. Il sogno di Moratti è coinciso con quello di Zanetti. L’argentino è il più longevo, colui che ha vissuto tutte le vicissitudini del periodo presidenziale. Ed insieme hanno affrontato l’ultimo ostacolo, il Bayern Monaco. Il numero 4 racconterà che rimase sconvolto dal muro umano neroazzurro in quel di Madrid: fu quella la chiave. La partita la conoscono tutti, doppietta di Milito e Inter sul tetto d’Europa dopo 45 anni: finalmente, quel percorso iniziato 15 anni prima, in quell’estate in cui era considerato il “meno forte”, aveva avuto compimento, alla faccia delle delusioni accumulate. Mai mollare: questo è il vero messaggio della sua carriera. E fu questo il trionfo che zittì definitivamente i critici: quella Inter entrò di diritto tra le squadri iconiche del calcio.

2) Le esclusioni dalla Nazionale – Nonostante il Triplete, non troverà spazio nella lista dei convocati del Mondiale 2010. Proprio Maradona, che lo aveva considerato l’acquisto dell’anno nel 1995, decise di non chiamarlo. Un peccato: la sua esperienza e il suo percorso meritavano una conclusione iridata con la maglia della Nazionale argentina. Se, però, in questo caso la carta di identità può essere considerata una motivazione valida per l’esclusione, fu quella del 2006 che non ebbe alcun senso: il calciatore interista giocò praticamente tutte le partite per le qualificazioni al mondiale tedesco, ma poi venne lasciato a casa da Pekerman. Un calciatore come lui ha giocato “solo” 2 Mondiali: un altro dei grandi misteri del calcio.

1) L’addio al calcio giocato – Il 18 maggio 2014 è la data in cui un pezzo di storia, dell’Inter e del calcio intero, se ne va. Zanetti lascia il calcio in quel di Verona, in un’annata che lo ha visto per la prima volta cedere fisicamente: è quello il momento di salutare. Mazzarri non gli concederà di giocare l’ultimo derby della sua strepitosa carriera: una vergogna assoluta, sebbene lui, con grande e solito rispetto, lo abbia comunque ringraziato per aver dato la possibilità di giocare dopo l’infortunio. Nulla potrà comunque scalfire quello che ha dato al club, da calciatore e, adesso, da dirigente. Auguri ancora Javier!

«Ho sognato di chiudere la mia carriera all'Inter, la mia casa, ed è un orgoglio poterlo fare».

 

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