No, non è supponenza per la quinta vittoria consecutiva nelle stracittadine ambrogiane (evento mai accaduto). E non scambiatela per arroganza, quella che potrebbe venire naturale dopo aver stravinto un derby con un punteggio di una portata tale, in favore dei nerazzurri, che non si vedeva da mezzo secolo. E non crediate che sia la foga per la testa della classifica, per il successo schiacciante, per quella sana rivalità che ti fa sentire meglio quando vinci un derby rispetto a qualsiasi altra partita.
No, niente di tutto questo. È semplicemente l’ennesima conferma: l’Inter è di un altro pianeta rispetto al Milan. E la cosa non dovrebbe risultare una sorpresa, un qualcosa di imprevisto, un accadimento del tutto inaspettato. È così. E la cosa, personalmente, la sottolineo da anni, persino quando i rossoneri vinsero la Serie A. Oggi sarebbe troppo facile parlare di “Leicester d’Italia”, di uno scudetto vinto per caso o per episodi, di anomalia rispetto al trend. Sarebbe troppo facile, e non voglio farlo. Però, e credo che sia sotto gli occhi di tutti, non si può mettere in discussione che il percorso intrapreso dai neroazzurri sia molto più maturo rispetto a quello dell’altra compagine del Naviglio. E questo va detto soprattutto a chi, appena qualche settimana fa, eleggeva la squadra che ha salutato il suo storico capitano Maldini a regina del calciomercato, con tanti innesti freschi e giovani, di ben altra pasta rispetto all’estate strampalata di Marotta e soci, che hanno avuto il demerito di aver collezionato due di picche a raffica al punto da rifugiarsi in calciatori over 30 o poco performanti. Ecco, il campionato è ancora lungo, ma direi che una prima risposta l’ha offerta il terreno di gioco, che è e rimane l’unico giudice supremo: la profondità della rosa è solo una delle differenze marcate che il pomeriggio piovoso di San Siro ha fatto emergere. Pioggia che in molti hanno scambiato per lacrime milaniste, che a mio avviso avrebbero dovuto aumentare in potenza dopo le dichiarazioni di Pioli. Prometto che poi parlerò dell’Inter perché è ciò che mi compete, ma ho bisogno di esprimere le mie poche sensazioni sul terribile post-gara offerto dall’allenatore rossonero.

Pioli è un grande allenatore. Gli va riconosciuto il merito immortale di aver vinto uno scudetto con una squadra di quel genere, che era ben al di sotto delle contendenti. Giusto essere fieri e orgogliosi di quel risultato, mettiamolo agli atti. Quello che, però, sta succedendo puntualmente alla fine di qualsiasi derby sta scalfendo l’immagine di un ottimo tecnico. E, per sua fortuna, i derby nel 2023 sono terminati: almeno fino al famigerato panettone, può stare tranquillo. Capisco che non sia semplice digerire sconfitte su sconfitte nella partita più importante per la sua squadra. E capisco anche che non è che ogni volta puoi subire stando in silenzio.
Però, ci sono momenti e momenti. Non so se sia stato mal consigliato, se abbia volutamente assunto un atteggiamento più “duro” perché mediaticamente potrebbe pagare di più, non so se sia semplicemente la difficoltà nell’affrontare i giornalisti dopo una batosta del genere, ma ritengo che chiunque possa concordare su alcuni aspetti davvero incredibili. Dopo che nella semifinale di andata hai parlato di 7 minuti in cui sei rimasto in partita, come puoi fare lo stesso errore comunicativo e affermare che l’approccio nei primi 4 minuti è stato buono? Come puoi ridurre un 5-1 ad una semplice scaltrezza interista in alcune situazioni? No, caro Pioli, l’Inter ti ha dato una lezione di calcio, di tattica, di rabbia agonistica, di gioco, di concretezza. E l’impressione è che i nerazzurri abbiano anche tirato il freno per buona parte del match, premendo sull’acceleratore dopo aver subito il 2-1. E quando l’Inter accelera, non c’è Theo, Loftus-Cheek o Maignan che tenga. Questo è quello che è accaduto. Sono entrambe compagini semifinaliste di Champions League, eppure la sensazione è che si trattasse di due squadre appartenenti a due competizioni europee ben differenti tanto che, ed è innegabile, senza penalizzazioni juventine la squadra rossonera sarebbe approdata in Europa League. Troppo scarto, troppo semplice per l’Inter andare a segno, troppo tutto. Davvero, una prova di forza che certifica le distanze tra le due milanesi e che lancia un forte messaggio a tutta la concorrenza: l’Inter c’è.

E appunto sul gruppo di Inzaghi. Mentre Pioli fantasticava di mancate scuse ai tifosi (25 anni fa un signore di nome Fabio Capello, che aveva vinto 4 scudetti e una Coppa dei Campioni, chiese scusa dopo una sconfitta tremenda), Simone continua a viaggiare sulla sua strada, parafrasando l’interista doc Ligabue. Mai esaltato, mai giù di tono, sempre sul pezzo e a testa alta. Ecco, e a proposito di questo, lasciatemi togliere un sassolino. In questi mesi il web è stato inondato dai soliti intelligentoni con commenti del calibro di “Giraffe” e sciocchezze simili. Non mi era mai accaduto di assistere ad una roba del genere: uscire dal campo a testa alta è diventato motivo di insulto o di presa in giro. Ecco, è vero che se non vinci le finali i trofei sono comunque zero, ma ci sono enormi differenze tra perdere come ha fatto la squadra del tecnico piacentino contro i marziani del City e perdere come ha fatto il Milan ieri. Uscire a testa alta significa essere consapevoli che le distanze non sono così larghe, che si è usciti sconfitti per un episodio, per i dettagli. Per carità, significa che ci devi lavorare, ma un conto è perdere di misura e lottando fino alla fine, un altro è perdere malamente sovrastati dalla potenza di un avversario. Detto questo, l’Inter è stata micidiale. Verticalizzazioni, ripartenze efficaci, forza fisica, velocità nel cambio di passo: questa squadra ha tutto per dominare il campionato. Quello che più mi ha impressionato, ma anche questo non è sconvolgente, è la compattezza e la determinazione del centrocampo, a prescindere dagli interpreti. Carlos Augusto, per alcuni versi, mi è sembrato persino più in palla di Dimarco: non so se rendo l’idea. Mkhytarian è la prova che l’elisir della giovinezza non è una leggenda, Calha ha la fame dell’ex, Frattesi è entrato e si è confermato in stato di grazia. Ed ecco perché fin da inizio campionato ritengo l’Inter la grande favorita: non è il tifo, ma l’organizzazione. Di gioco e di uomini. Quando sul mercato hai delle idee, le metti in pratica, rimani spiazzato ma riesci comunque a reggere, allora poi il campo ti dà ragione. L’Inter del finale della scorsa stagione ha già dimostrato di essere la più forte in Italia e tra le big in Europa. Mancava solamente sostituire i partenti efficacemente e puntellare le seconde linee. E i frutti si stanno vedendo. Poi, c’è il capitolo Thuram: dove sono tutti coloro che ancora credono che il precampionato abbia valore? Dove sono quelli che già piangevano perché abbiamo perso i gol di Lukaku? Qui si vede quando una società, e un allenatore, lavorano bene. Hanno creduto nel giocatore, gli hanno messo sulle spalle la numero 9, non lo hanno affossato dopo un’estate sottotono ma, anzi, gli hanno dato fiducia e lui ha tirato fuori un coniglio dal cilindro che ha fatto impazzire San Siro. E sono questi i gol che fanno scattare l’amore: il figlio d’arte è già entrato nelle grazie del popolo nerazzurro. Insomma, dopo una serata così... siamo felici e raggianti.

Ma sia ben chiaro: non c’è nulla di speciale. A livello metropolitano, ancora una volta, lo possiamo gridare a voce alta: l’Inter è di un altro pianeta rispetto al Milan.

 

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