Clamoroso
Shock
Incredibile

Questi i titoloni di televisioni e giornali, di radio e blog, di siti e pagine social. Tutto il Paese affronta un Ferragosto alle prese con il rincaro dei toast e con ombrelloni al prezzo di due minuti di ingaggio di Cristiano Ronaldo con un altro carico da novanta: le dimissioni di Roberto Mancini.

Sconcertante questa decisione, inaspettata per i più, soprattutto dopo la nomina riservata dalla FIGC a Gran Mogol di tutto il settore giovanile federale. Insomma, un plenipotenziario delle Nazionali italiane, in grado di gestire più gruppi contemporaneamente, che assume tutte queste cariche dopo non aver condotto la squadra al Mondiale qatariota del 2022 (requisito minimo per l’Italia). Insomma, con queste premesse, cosa mai poteva andare storto? Sarà una banalità, ma è l’unico solo fatto meritevole di commento: nel momento in cui la Nazionale che ha vinto 4 volte il titolo iridato e 2 volte gli Europei che è riconosciuta universalmente come una delle compagini più accreditate a livello globale non riesce ad accedere alla fase finale di un’edizione della Coppa del Mondo, il Commissario Tecnico in carica deve rassegnare le proprie dimissioni o, in alternativa, i vertici devono gentilmente e con immensa gratitudine sollevarlo dall’incarico. Oltre a riflettere anche loro su eventuali dimissioni.
Qui, invece, in un Paese dove lasciare poltrone e incarichi appare maledettamente sempre di più un’utopia, dove ammettere l’errore sembra sempre sinonimo di debolezza, dove il concetto di sconfitta non esiste perché in qualche modo si vince sempre, ecco che ci siamo ritrovati ad avere un proseguimento come se nulla fosse successo, come se avessimo perso una qualsiasi amichevole o la Nations League. No, signori, non si tratta del torneo estivo di beach volley organizzato dai miei amici sulla spiaggia, ma della competizione sportiva più importante del pianeta. Non è ammissibile che un territorio in cui il calcio è vissuto in modo quasi religioso non trovi la propria collocazione all’interno della manifestazione ideata dal buon Rimet. E dopo che ci eravamo assuefatti (l’altro lato negativo, ci si dimentica troppo in fretta di tutto), arriva l’imponderabile. Vuoi per l’allontanamento di Lombardo ed Evani dallo staff, vuoi per ricchissime offerte che voci di corridoio danno sempre più consistenti, vuoi per qualsiasi altra ragione, ma mollare adesso è uno schiaffo ulteriore alla Nazionale. Attenzione, non è l’epilogo che si discute (perché, come detto, Mancini doveva mollare un anno e mezzo fa), ma è il momento. Non si può lasciare di punto in bianco la squadra ad un mese da partite fondamentali, che una volta avremmo etichettato come scontate, ma che ormai da anni non lo sono più.

Piccola parentesi: l’abbraccio con Vialli e la vittoria degli Europei nell’anno 2021 resteranno per sempre nella storia del nostro calcio. Non si discute. Quell’impresa ha restituito un sorriso in un periodo storico che tutti vogliamo dimenticare, ha ridato colore e gusto ad una Nazionale che veniva dall’altra disfatta, quella del mancato accesso a Russia 2018.
Il merito lo ha avuto. Roberto Mancini ha creato un gruppo, ha inanellato una serie di risultati utili inimmaginabile, ha riavvicinato e compattato l’ambiente, ha ribaltato i pronostici, andando a vincere, con una dose di buona sorte (ma quella ci vuole sempre in competizioni corte), quel trofeo che dalle nostre parti mancava dal 1968. Fino a quel momento, la gestione manciniana era stata la migliore dopo il trionfo di Lippi 15 anni prima.
L’apoteosi della notte di Wembley, con un clamoroso corso e ricorso storico: Mancini e Vialli avevano perso la possibilità di essere campioni d’Europa per club con la Sampdoria proprio in quello stadio, nel 1992 contro il Barcellona. 29 anni più tardi, quello stesso teatro li ha portati sul tetto del Vecchio Continente con gli Azzurri.
Che meraviglia, è stato tutto bellissimo. Peccato che, dopo quella strepitosa avventura, in cui è stato toccato il massimo, Roberto non è riuscito a replicare minimamente i risultati prodotti.

Inutile ripercorrere quello che è accaduto, lo sappiamo tutti. Si può non passare un girone con Svizzera, Irlanda del Nord, Bulgaria e Lituania? Pareggiando 4 volte su 8 incontri? Risposta senza possibilità di smentita: no. È inconcepibile.
Poi, negli spareggi può succedere di tutto. Fossimo usciti con il Portogallo di Cristiano Ronaldo, forse ce ne saremmo fatti più facilmente una ragione. Ma diamine, uscire con la Macedonia del Nord in casa no. No. E poi no.
La cosa più brutta è stata che non era più una novità.

Ricordo nitidamente la partita contro la Svezia nel 2017. Mi trovavo a casa delle mie amiche dei tempi universitari. Quando Florenzi baciò il pallone per l’ultimo corner, e vidi Buffon in area di rigore alla disperata ricerca del pari, sperai. Mi dicevo: non può succedere che, nella mia vita, vedrò un Mondiale senza l’Italia. Non può succedere.
Poi, quel pallone non entrò mai in porta. Rimasi incantato, non riuscivo a dire una parola. Per qualche minuto pensai che quello che ritenevo non sarebbe mai accaduto, era appena successo.
E quattro anni e mezzo dopo, ecco la stessa cosa. La tristezza era meno intensa rispetto a prima, ma la delusione era identica: per la seconda volta di fila, l’Italia non si è qualificata.
Penso ai ragazzi nati, che ne so, dal 2008-2009 in poi, che non hanno mai ancora avuto piena consapevolezza di che cosa voglia dire vivere un campionato del Mondo con la partecipazione del nostro Paese. Non sanno che, in quei momenti, l’Italia si ferma. Tutti lasciano quello che stanno facendo, ci si collega tutti, non ci sono più Juventus, Inter e Milan, ma siamo tutti insieme. Anche a chi non frega nulla del calcio. Ma i Mondiali sì, sono patrimonio di tutti gli italiani.
E la gestione Ventura prima, e quella Mancini successivamente, ci hanno impedito di vivere serate che abbiamo sempre vissuto. Solo un’altra volta successe una roba simile, nel 1958: la stampa lo definì il “disastro di Belfast”, il punto più basso almeno fino a 60 anni più tardi. In entrambi i casi, le strade dei due commissari tecnici (Foni e Ventura) si separarono dalla panchina.
Quello che invece è accaduto a Mancini è un’incredibile fiducia. Non è cambiato nulla, in panchina e al vertice. Ma che esempio è? In quale altra situazione chi sbaglia così drasticamente ha diritto a rimanere nella medesima posizione, addirittura con maggiorazione di incarichi? Siamo completamente allo sbando.

Guai, però, a dire che il calcio italiano è in crisi e di riflesso la Nazionale. Perché, come ho sempre sostenuto, sono due mondi differenti. I club hanno dimostrato che, con organizzazione, si possono raggiungere grandi risultati, a dispetto degli investimenti mostruosi della Premier. Anche qui dobbiamo aspettare le controprove per vedere se la stagione 2022/23 è stata solamente un fuoco di paglia o la vera miccia della rinascita della Serie A, ma di sicuro c’è stata competenza e coraggio nel ritornare ad un livello più alto rispetto alla mediocrità che abbiamo attraversato per anni. Gli azzurri, invece, hanno sbagliato tutto e il contrario di tutto.

Dopo la vittoria dell’Europeo, l’ormai ex CT ha commesso l’errore da non fare mai quando si guida una squadra, soprattutto una Nazionale: la riconoscenza. Io sono il primo a difendere i grandi campioni, a provare nostalgia. Ma io sono un semplice appassionato, non devo prendere decisioni. Un allenatore, invece, ha un solo arduo compito: scegliere. Tanto più il CT, che è infatti definito, non per caso, selezionatore. È lui che deve selezionare chi merita di far parte della rosa. Con negli occhi ancora il trionfo inglese, Mancini ha pensato bene di affidarsi inizialmente ai soliti nomi, non capendo che in alcune situazioni sarebbe stato opportuno prendere altre direzioni.
Dopo l’eliminazione, ha invece invertito la rotta in un modo totalmente inadeguato e incomprensibile. Ha voluto strafare, ha fatto convocazioni che parevano più una provocazione che una vera scelta di campo, si è lamentato con i club (come fanno tutti, per carità), ma nello stesso tempo ha ignorato quei talenti che invece sono emersi nelle stesse compagini a cui lui si riferiva (un esempio su tutti: Tonali).
E poi, sono anche stanco di sentire la storia che l’Italia è scarsa, che non ci sono alternative, che non abbiamo un organico importante. Non è vero! Noi abbiamo solo un grande problema: l’attacco. Non è poco, lo ammetto, ma in difesa e a centrocampo non siamo messi male e, come ben sappiamo, storicamente sono i reparti che ci hanno sempre fatto vincere.
Anche a me mancano i Baggio, i Del Piero, i Totti, i Vieri: quanto darei per innamorarmi nuovamente di attaccanti del loro calibro, o che almeno si avvicinassero. Quanto vorrei non pensare, come cantava Cremonini: «Ah, da quando Baggio non gioca più». Ed è vero, in questo momento non ci sono. Ma in difesa e a centrocampo, così come in porta, abbiamo delle primizie. Dei talenti che molte Nazionali potrebbero invidiarci.
Quindi, no. No e poi no. L’ultimo anno ha visto convocazioni di 30 ragazzi (ma come si fa a creare un gruppo così?), senza criterio. Una volta esisteva un termine giornalistico (che studiavo fin da piccolo) che era “giro azzurro”. Veniva affibbiato a coloro che entravano a far parte del ristretto circolo di atleti facenti parte della Nazionale.
Una volta (e scusate il tono da nostalgico dei tempi andati), si andava a vestire l’azzurro quando si convinceva davvero. Quando sfornavi prestazioni che mettevano in difficoltà il selezionatore, che doveva necessariamente considerarti. Ora, invece, si arriva a convocare un calciatore con qualche buona prestazione o, addirittura, con qualche fiammata nei campionati giovanili.
Ora, va bene tutto, ma davvero si può chiamare qualcuno che non ha mai giocato in massima serie o in una Prima Squadra? Qui, lo ammetto, ha ragione sui club. Bisogna lanciarli i ragazzi, rischiare qualcosa in più, ma questo non significa che per lanciare messaggi tu chiami chiunque abbia mostrato sprazzi di classe. Allora così vale tutto.

Insomma, Mancini ha sbagliato tutto dopo quel fantastico Europeo, e la sua decisione è stata solamente in ritardo nei tempi. Attenzione, però, che questa è solamente la punta dell’iceberg: tutto il movimento è in crisi. È il manifesto di uno scenario ai limiti. A parte la competitività del campionato e dei club in Europa, tutto il resto è ancora fermo a discorsi che si fanno da un decennio a questa parte: le strutture (fatta qualche eccezione) sono indecenti, i diritti televisivi non crescono, la Coppa Italia ha un format ridicolo, i settori giovanili non hanno sbocco, la Serie A è ancora a 20 squadre (basta!), ogni estate ci ritroviamo con i vari casi Lecco e Reggina, in Serie D è passata una riforma che rischia di far morire il settore dilettantistico e, in tutto questo, non riusciamo neanche ad arrivare ai Mondiali.
Serve un reset, non possiamo fare diversamente.

Luciano Spalletti, pensaci tu. Sei l’unico profilo che potrebbe clamorosamente unire tutti e rilanciare un movimento che versa in una crisi profondissima (col massimo rispetto per gli altri nomi fatti).
Hai fatto il miracolo quest’anno, adesso te ne si chiede un altro ancora più difficile: ritornare a farci amare l’Italia. Qualificarsi agli Europei e poi portarci in America.
E, magari, non farci più rimpiangere i vecchi campioni. E non farmi più pensare: «Ah, da quando Baggio non gioca più».

 

Indaco32