Mi sveglio alle 7 circa, non so bene di preciso. Giusto in tempo per collegarmi e assistere agli scampoli del quarto e ultimo set della semifinale degli Australian Open. Quando vedo i parziali rimango sbigottito: 6-1, 6-2 e poi una caduta di misura 7-6. Allora sì, può essere un risveglio orgoglioso. Djokovic è nervoso, chiede all’arbitro se intende dire qualcosa al pubblico che (sovente accade) lo becca.
Quello è probabilmente il momento in cui Jannik accede per la prima volta ad una finale di uno Slam.
Il Re si è tradito, confesserà nel dopogara di aver disputato la sua peggior gara; forse, mi permetto di correggere Sua Maestà Novak (non sono ironico), ha incontrato il peggior avversario della sua carriera, capace di renderci orgogliosi e di spingerci a tifare per colui che potrebbe diventare il primo italiano a poter fregiarsi dell’ambito primo titolo della stagione tennistica. Si parla di un interesse di Amadeus per invitarlo al Festival di Sanremo, si è conquistato le prime pagine dei quotidiani sportivi odierni: forse non ce ne siamo ancora resi conto, ma stiamo vivendo nell’epoca di uno dei più grandi sportivi nazionalpopolari di sempre.

 

Allegri e i paragoni: ora basta! – Dopo il mezzo scivolone su guardie e ladri, Max ha pensato bene di vivacizzare (come se ce ne fosse bisogno) l’ultimo turno di campionato prima della settimana più importante dell’annata del calcio italiano. Almeno fino a questo momento. La data del 4 febbraio è ormai impressa nella roccia, e il tecnico bianconero ha sfoderato l’ennesima prova di un eccesso di umiltà: l’Inter è Djokovic e la Juve è Sinner. In cuor mio mi auguro si sbagli, visto l’epilogo della semifinale succitata, ma questo continuo prendere le distanze ha un po' stufato. La Juventus, al netto del recupero, è la capolista del campionato. Basta fingere, basta continuare a urlare ai quattro venti che l’obiettivo è il quarto posto: ma la squadra più blasonata del Bel Paese può davvero mandare questi messaggi? È come se il Real Madrid dicesse che basta arrivare ai quarti di Champions League perché Manchester City e Bayern Monaco sono più attrezzate. Basta, caro Allegri: anche perché siamo permalosi, lo hai detto tu stesso…

 

Toro da Europa, l’omaggio per Riva – Una partita speciale, quella di ieri sera. Tutta l’Italia si è commossa per l’addio del più grande goleador della Nazionale di sempre, un cannoniere inarrestabile, un simbolo di una città, di un’isola, di un’appartenenza. Gigi Riva è la storia del Cagliari e del calcio italiano, ma non solo. È semplicemente uno dei più grandi di sempre. Un segno del destino, quello che ha messo di fronte la sua squadra contro una delle più romantiche: il Torino di Juric, che si conferma sempre più maturo. Difficile rientrare nelle prime 8 (ricordiamoci che, se le nostre fanno il loro dovere in Europa, spediremo 5 squadre in Champions League e otto totali in Europa), ma stare lì in agguato ad approfittare di eventuali scivoloni dev’essere l’obiettivo di un gruppo che, se non quest’anno, l’anno prossimo deve fare il salto in UEFA. Juric e Zapata permettendo, of course.

 

Le milanesi, tra Leao e Zielinski – Il portoghese è il grande assente della stagione rossonera. Un Milan che ha vacillato nelle coppe ma che tutto sommato sta facendo il suo in campionato, viaggiando ad una media punti importante, se non fosse per il ruolino fuori categoria di Inter e Juventus. E probabilmente, per ridurre il gap, oltre a qualche innesto di mercato, basterebbe rivedere la miglior versione di Rafa. Pioli lo considera un genio. Non lo è, ma ha l’estro dell’artista, della pennellata, del pittore capace di tutto ma indolente. Peccato che, a dispetto di ciò che si pensi, Picasso viveva 24 ore su 24 in funzione dell’arte. Lato Inter, si avvicinano Zielinski e Taremi, ma la trasferta di Firenze è la vera urgenza. Barella e Calha out: finalmente è la grande occasione per Frattesi e Asllani, in una partita complicata. Non facciamoci prendere dalla frenesia: dobbiamo arrivare a distanza minima allo scontro diretto. Non voglio rivivere i fantasmi di due anni fa. Ti prego, Simò.

 

Gli addii: Osimhen e Klopp – Si attendeva solo l’annuncio, adesso è arrivato dal numero uno del Napoli: l’eroe del terzo tricolore azzurro lascerà i partenopei a giugno 2024. Il Corriere dello Sport riporta le dichiarazioni del presidente. E no, non parliamo di sorpresa: l’attaccante non ha mai nascosto le sue ambizioni da Premier League, e probabilmente è lì che finirà. Magari al Liverpool, fresco di un addio, questo sì, davvero spiazzante. JUR-GONE, titola il Mirror, giocando con il nome del condottiero Klopp, capace di riportare i Reds ai fasti di un tempo e vincendo un titolo che in patria mancava da 30 anni. Non ne può più di alcune cose di questo calcio, che non si vedono, ma che lui sente. Non è un mistero che l’ex Dortmund sia sempre stato uno dei tecnici meno accomodanti e, nello stesso tempo, amato e temuto dai suoi avversari. Questo calcio frenetico, instancabile: memorabile fu il calendario che vide la sua squadra giocare a 24 ore di distanza una partita di Coppa inglese e una per il Mondiale per Club. Apoteosi di ciò che questo sport è diventato, che comincia a dare la nausea anche a chi lo ama visceralmente. È la fine di un’epoca per il Liverpool e per il calcio inglese, ma che sia anche monito per i governanti del gioco più popolare del mondo. Altrimenti, può essere che cominceremo a vedere Klopp in tribuna a Wimbledon, magari facendo il tifo per il nostro Sinner. E con lui, tanti delusi da un calcio che ha bisogno di tornare sui suoi passi, e non di evolvere.

 

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