La partita dell’Olimpico può essere letta da più angolazioni, eppure, ci sembra di trovare nel non-gioco proposto da Inzaghi il comun denominatore a qualsiasi prospettiva possibile. L’abito è sempre il 3-5-2, ma qualcosa è cambiato rispetto alla precedente stagione. La condizione generale della rosa non è al top, tuttavia, ciò non basta per spiegare il film horror andato in onda contro la Lazio. Come avevamo già segnalato in occasione del debutto di Lecce, questo gruppo non manca soltanto di freschezza fisica, ma di una vera e propria identità di gioco. Infatti, definire “gioco” la monodia tattica dell’Inter 22/23 sarebbe eccessivo, così come abbandonarsi a uno sterile pessimismo, per giunta ad appena tre giornate dall’inizio del campionato.

Il “vizietto” dei nerazzurri è ormai quello di voler imporre le stesse soluzioni a prescindere dall’avversario. I dogmi del mister sono principalmente tre: 1) ricerca esasperante dello scarico sul portiere; 2) ripartenza palla a terra dalla difesa e 3) l’impiego di Lukaku come perno della manovra offensiva. Questi temi hanno dominato anche in occasione del match di ieri, quando, sin dai primi minuti di gioco, è apparsa chiara la volontà dei meneghini d’imporsi sul piano del palleggio per poi andare a colpire in velocità una difesa schierata e particolarmente stretta, che ha annichilito un Lukaku abulico e costantemente spalle alla porta.

La mano d’Inzaghi non si vede, il calcio fluido e votato alla rapidità funziona a tratti e, quando riesce, il belga trova sempre il modo per rallentare la manovra di due o tre tempi. In tutto ciò, il centrocampo si è eclissato e ha smesso d'essere muscolo e cervello di una squadra ormai tendente a spaccarsi in due blocchi ben distinti, concedendo all’avversario di turno il dominio sulla propria trequarti. Atteggiamento andato in onda anche ieri e reiterato senza alcun criterio per tutto il corso della partita.
In occasione del secondo gol laziale, è palese come Sarri abbia preparato la gara giocando proprio sulle debolezze dei nerazzurri, colpevolmente “schiacciati” in difesa e inattivi sulla trequarti, dove Luis Alberto intercetta in tutta tranquillità un retropassaggio di Pedro e la calcia con potenza nel sette alla sinistra di Handanovic. La stessa disattenzione si era vista più volte contro il Lecce, come in occasione della rete di Ceesay, quando tutta la linea arretrata era stata calamitata dalla palla sul proprio fianco destro, senza che il centrocampo portasse alcuna pressione su Strefezza, lasciato libero di andare in porta su un’eventuale ribattuta.

Si potrebbe commentare ogni singolo episodio, ma il rischio sarebbe quello di guardare il dito e non la Luna, o la LuLa... In questa occasione, ci pare invece più opportuno sottolineare come l’Inter somigli sempre più a un mostro a due teste: un po’ “contiana” e un po’ “inzaghiana”. Il problema principale è che i due stili di gioco – benché prevedano la stessa disposizione degli uomini sul campo – restano inconciliabili e diametralmente opposti nei principi. Non è affatto produttivo insistere sull’uscita veloce palla al piede (dogma d’Inzaghi) se la proiezione offensiva in velocità è votata alla ricerca di Lukaku come terminale. Privo di alcuna finalità è anche il voler sfruttare oltremodo le catene laterali (dogma di Conte) con cross prevedibili e lenti, effettuati in gran numero da Dimarco sulla mezzala, senza mai ricercare il fondo, specialità che invece apparteneva a Perisic.

Inzaghi sta tentando in ogni modo di far coesistere Lukaku alla propria idea di calcio, esperimento destinato a fallire perché il belga non è in possesso di grandi capacità nel palleggio e nel fraseggio stretto. Questo esperimento sta portando a un’ambiguità tattica senza precedenti, che rischia di trasformare l’Inter in un “incompiuto”, una squadra che fa di tutto per essere ciò che non può diventare. Le ragioni di tale involuzione andrebbero ricercate nel mercato delle “opportunità” tanto caro a Marotta, che avrà molti pregi, ma non quello di scegliere gli uomini in base alle necessità tattiche dell’allenatore. Da ghiotta occasione, Big Rom rischia di trasformarsi in minestra riscaldata, e neppure tanto bene.

La LuLa sembra essersi ricomposta un po’ a caso, come un Frankenstein, un corpo i cui pezzi sono stati giustapposti l’uno all’altro, senza alcuna cura per le conseguenze. Il prodotto finito è un undici che non ragiona più come collettivo, troppo “inzaghiano” per essere “contiano” e viceversa. La soluzione sta nel rimettere la chiesa al centro del villaggio, partendo dall’umiltà e dalla propensione al sacrificio. Lukaku potrebbe giovare di qualche panchina e, nel frattempo, lavorare in allenamento per assimilare soluzioni che non siano all’insegna della prevedibilità. La sua prestazione contro la Lazio va contro ogni logica, tanto che, in alcuni frangenti – come nell’occasione della rete di Lautaro – ha dimostrato di essere più d’impiccio che utile, andando quasi a schermare l’argentino sulla ribattuta alta di Dumfries.

Prima del tour de force pre-mondiale, sarebbe opportuno sfruttare la prossima occasione con la Cremonese per trovare maggiore equilibrio, magari proponendo la coppia Lautaro-Correa e riservando a Lukaku l’ultimo scampolo di gara. Il classe ’93 potrebbe infatti essere più utile a partita in corso, con avversari stanchi e non in grado di reggere la sua fisicità. Trovare la quadratura resta per l’Inter l’obbiettivo primario. Non è ammissibile arrivare al derby conservando tale atteggiamento tattico, né tanto meno pensare di poter affrontare il Bayern Monaco senza subire traumi indelebili.

Allora che fare? Le turnazioni saranno fondamentali, ma anche da questo punto di vista c’è poco da stare sereni. Attualmente, Gagliardini, Agoume e Asllani restano le uniche alternative disponibili a centrocampo. Difficile con questi profili pensare di sostenere un calendario fittissimo, con una gara ogni 72 ore. Da qui alla sosta per il mondiale, sarà quindi necessario dosare al meglio le risorse disponibili e, casomai, pensare a modi nuovi per affrontare una stagione che si prospetta all’insegna della fatica.

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