La parola dialettale "cunnu", usata perlopiù in Sardegna e nel profondo Sud, deriva dal latino "cunnus/cunni" e serve a identificare, a livello locale, l'organo riproduttivo femminile. Dalla prospettiva calabrese, essendo nato e cresciuto ai piedi della Sila, la parola "cunnu", almeno nella mia zona viene soppiantata dal sostantivo "fissa", più simile al dialetto partenopeo; tuttavia, si è soliti utilizzare l'affermazione "u jurnu du cunnu" ("il giorno della vagina") per affibbiare un'accezione irrealizzabile alla narrazione dei fatti. Facciamo un esempio: "quando ti sposerai?". Risposta: "u jurnu du cunnu", ossia "mai". Da buoni abitanti della Magna Grecia abbiamo sostituito le "calende greche", foriere di utopie, con un concetto più materiale, vale a dire l'associazione della vulva all'imponderabile, a ciò che non sarà mai. Inoltre, sempre facendo riferimento alla tradizione popolare, si associa tale ricorrenza, "u jurnu du cunnu", alla data del 3 Giugno, sempre in terra calabra. Non ho notizie sul perché la calabra epifania della fregna venga associata proprio a questo giorno; sarà stata, anticamente, la festa pagana della Sorca Invicta?

Scherzi a parte, non sarò qui a comporre un poema sulla sacralità e la bellezza dell'organo femminile. Ci ha pensato, qualche secolo fa, un mio conterraneo di nome Domenico Piro, detto Duonnu Pantu, sacerdote di Aprigliano, piccola località del cosentino, a decantare le gesta e le splendide angolazioni dalle quali narrare/osservare il motore immobile per antonomasia. Ammazza 'sti calabroni come sono fissati con la passera! Costoro, allo stesso tempo e allo stesso modo, come nel caso della suddetta, nutrono una passione smisurata per la Vecchia Signora. Non è un caso che i maligni stabiliscano un nesso tra le sfide esterne della Juve e lo spopolamento della terra dei Bruzi e degli Enotri. Non sarà compito nostro, altresì, esaltare l'organo riproduttivo juventino, per noi tifosi, assolutamente asessuata, ma portatrice di piacere erotico, in certi casi.

Il chiodo fisso, il pallino di Madama, un po' come la fagiana per certi maschietti (o femminucce, in alcuni casi), è rappresentato dalla Champions League. Statistiche alla mano, essa ha disputato ben nove finali della massima competizione europea, vincendone solo due. Di solito, è il mese di Maggio ad evocare nefasti ricordi negli animi dei bianconeri, sebbene le ultime due partite secche, in ordine cronologico, si siano tenute nel mese di Giugno. Correvano gli anni 2015 e 2017: sulla panchina bianconera sedeva "Acciughina" Allegri. La prima finale si tenne a Berlino, il 6 Giugno 2015. Il teatro scelto per ospitare la seconda fu il "Millennium Stadium" di Cardiff, in terra gallese.

"Sputa ca 'nnumìni" ("prova a indovinare") quale sia stata la data dell'ultima finale di Champions giocata dalla Signora: 3 Giugno 2017. Per noi calabresi e, nello specifico, juventini calabresi questa data aveva un sapore particolare: se Madama avesse vinto la Champions in concomitanza con "u jurnu du cunnu", sinonimo di illusione dal sapore eterno, la maledizione si sarebbe spezzata. E poi suonava anche bene, voi cosa ne dite? "La Juventus quando vincerà 'sta benedetta Champions?". Risposta "U jurnu du cunnu". Sarebbe stato bellissimo. L'attesa di quella partita fu carica di ansie/aspettative, al pari di Berlino, ma, forse, c'era una dose in più di consapevolezza. La squadra appariva più forte, più determinata, più al corrente dei mezzi di cui poteva disporre.

All'entrata in campo di Ian Rush, ex flop juventino, con la Coppa dalle grandi orecchie in mano, qualche istante prima della gara, il mio cuore iniziò a tremare. Una leggera lacrima solcò il viso già provato dalle temperature estenuanti, segno di un'estate che anticipò di qualche giorno la propria entrata in scena. Da buon calabrese, juventino e scaramantico, indossai la solita felpa nera griffata Converse, non curante dell'esito del termometro. Il fischio d'inizio dell'arbitro non attenuò la tachicardia, ma la zampata di Ronaldo, sì. Apparve quasi quale sinistro presagio: Juve pimpante, ma Real Madrid cinico. Un tiro, un gol. 

Improvvisamente, nell'aria di Cardiff si vide un supereroe spiccare il volo e indirizzare la sfera dove Keylor Navas mai sarebbe arrivato. Il suo nome è Mario Mandzukic, idolo personale dai tempi di Monaco e, quella sera, firmatario del pareggio juventino. Salto in piedi, urlo a gran voce il suo nome, compromettendo le prestazioni di quest'ultima per eventuali altre marcature. Tanto non sarebbe più servita. Intanto, con il duplice fischio arbitrale si andò a riposo: una strana sensazione di rilassatezza pervase le membra del mio corpo. L'organismo produsse sostanze distensive forse perché la tensione accumulata diveniva sempre più insopportabile. Quest'ultimo non sbagliò affatto, dato che nei secondi quarantacinque minuti non ci fu partita: Casemiro, ancora CR7 e Asensio (4-1 è finita). Silenzio, sguardo fisso sullo schermo, facce sorridenti di anti-juventini gaudenti lì nelle vicinanze. Fu l'ennesima, cocente, delusione.

Il risultato sportivo, però, in alcuni casi, passa per forza di cose in secondo piano. Io e i miei amici non eravamo al corrente di ciò che era successo in Piazza San Carlo, a Torino. Dal clima di festa, con migliaia di persone a colorare di bianconero il salotto del capoluogo piemontese, si passò alle urla, al sangue, al dolore, alla disperazione. Migliaia di feriti si ritrovarono a scappare, dovendo fare i conti con l'istinto di sopravvivenza altrui, in uno spazio ridotto ai minimi termini dalla calca eccessiva. Vetri rotti, oggetti di valore, effetti personali per terra; poteva essere un secondo Heysel e, fortunatamente, non lo è stato. Ancora oggi, però, rivedere quelle immagini piene di tensione e di smarrimento lascia un senso di vuoto e di amarezza, per il modo in cui lo sport, alle volte, si trasforma in tragedia.

Il campo e la piazza, giudici supremi del pallone, cinque anni fa or sono, condannarono la Signora agli incubi e alla damnatio memoriae di quella data, il 3 Giugno. Il tifoso juventino di origine calabra, in cuor suo, già sapeva come questa data rappresentasse, a priori, ciò che potrebbe essere ma non sarà mai. Come è noto ai più, il pelo pubico ha una forza intrinseca ed estrinseca superiore all'aratro ante-litteram, ossia il bue. Tra la forza e l'attrattiva della Champions e la peluria inguinale non vi sono poi queste grandi differenze, vista l'ossessione della Juve verso la prima, assimilabile alla smania di unirsi carnalmente in un coito. Chissà quando Madama tornerà a salire sul tetto d'Europa. Una cosa è certa: non sarà "lu jurnu du cunnu". Parola calabra.