"Io so' de la Juventus e quest'anno vincemo pure la Coppa delle Coppe". "No, quest'anno vinci 'a pizza de' pizze". Questo è il divertente scambio di battute fra Tomas Milian, nei panni del mitico Maresciallo Nico Giraldi e Franco Lechner, in arte Bombolo, nelle vesti di Venticello, maldestro ladruncolo delle borgate romane. La pellicola in questione, "Delitto al Blue Gay", diretta da Bruno Corbucci, rappresentò l'ultimo film della saga del Maresciallo omonimo. Questa famosa gag, nata per le strade di Berlino Ovest, con tanto di sonoro ceffone impartito dal sottoufficiale al pittoresco interlocutore, non può che ricordare, a grandi linee e con innocenza, l'illusione che attanaglia ogni tifoso di calcio. L'aspirazione alla conquista di un trofeo, importante o irrilevante che sia, la quale non viene meno neppure nelle condizioni peggiori. 

Per noi juventini, la stagione 21-22 rappresenta il punto più basso da dieci anni a questa parte. Un dominio in campo nazionale senza grandi rivali, ma che, prima o poi, come ogni situazione esistenziale, sarebbe dovuto arrivare al capolinea. Già lo scorso anno fluttuava nell'aria il primo sentore di cesura dal cordone ombelicale che ha legato la Signora agli ambiti portaombrelli, esposti nelle partite che pesano maggiormente: le partite secche. Alle due medaglie d'oro conseguite la stagione passata, in Supercoppa e Coppa Italia, sono succeduti due orpelli argentati, segno di una sorte che ha voltato le spalle alla Signora. Aiutati ché Dio t'aiuta: in tal caso dell'"auto-aiuto" e del Padre Eterno nessuna traccia.
Dio è morto: ondeggiando tra Nietzche e Guccini, possiamo affermare quanto faccia rumore la caduta della divinità. Certo, l'Olimpico non è il Gòlgota; non si è squarciato il velo della Cupola di San Pietro; Allegri non è la Vergine Maria; Dybala potrebbe essere Giuda Iscariota, pur non avendo sabotato gli esiti dell'incontro. Rimanendo nel solco evangelico, non si può non accennare a questa annata, senza paragonarla a una Via Crucis. Troppe stazioni, troppa sofferenza, un esito scontato: qualcuno dovrà pur morire. "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", l'urlo disperato di chi sta per esalare l'ultimo respiro. Sentirsi traditi, seppur prossimi (?) alla resurrezione, è cosa buona e giusta (?).
Non si vedeva da tempo una squadra così scarsa e priva di una qualsivoglia spina dorsale. Per quanto in epoca più recente la Juve sia incappata in una retrocessione, una situazione del genere è stata più unica che rara, nel computo totale della storia bianconera. 
Perciò, la mente ritorna alla metà degli anni Ottanta. 

Trapattoni sposò la Milano nerazzurra, Platini si ritirò e la Juve perse ogni velleità per lo Scudetto.
Le analogie fra il primo e il secondo Trapattoni sono tante, se ci fate caso. Il ciclo iniziale del Trap è durato dal 1976 al 1986; l'epoca Conte-Allegri(-Sarri) dal 2011 al 2020. Incetta di trofei in entrambi i casi, con la differenza che il tecnico milanese riuscì a conquistare pure tutte le coppe europee, mentre il grande assente dell'epopea più recente è proprio il successo continentale.
Dopo il Trap I arrivarono Marchesi, Zoff e Maifredi: tanta tanta confusione. In più si pretese di sostuire il dio Platini con il modesto Magrin: eresia! Dal calcio pragmatico e interessato al risultato, si passò al caviale e champagne dell'ex Bologna Maifredi, per spirito di emulazione verso il Milan di sacchi. Risultato: indigestione e lavanda gastrica gentilmente offerta dal ritorno di Boniperti. Il quale, richiamando Trapattoni, cercò di ricreare le condizioni verificatesi fino al lustro precedente, ma ottenendo, di fatto, solo una Coppa UEFA. Vi ricorda qualcosa? Sempre a grandi linee: Trapattoni andò via e scelse l'Inter.
Conte idem, solo che a distanza di sei anni dall'addio a Madama. Entrambi hanno vinto uno scudetto in quel di Milano. Allegri è stato cacciato perché reo di non cucire l'abito di gala per la Signora: il "sarto" Sarri farà pure peggio. Zoff venne mandato via per movimentare l'ambiente, sebbene avesse vinto due trofei (Coppa Italia e UEFA): ennesima analogia, stavolta con le sorti di Andrea Pirlo.
Capisco che il discorso di cui sopra sia complicato e che le somiglianze ci siano, ma vanno creati gli incastri giusti. Quindi, secondo il ragionamento precedente, Trapattoni somiglia a Conte per aver abbracciato i colori nerazzurri; Allegri, al contrario, ricorda il Trap per esser stato richiamato, a poco tempo dalla "dipartita", sulla panchina bianconera. Chiaramente nessuno si augura che i giorni nostri abbiano gli stessi esiti del decennio 1987-1995: il tricolore mancò da Torino, viaggiando spedito fra Napoli, Genova e soprattutto Milano. Il capoluogo lombardo, dati alla mano, è il vero rivale della Signora, nella corsa allo Scudetto. Se Madama duella con squadre non meneghine, le difficoltà sono aggirabili; qualora la Milano calcistica tornasse protagonista, per la Signora i grattacapi aumenterebbero a dismisura. Non è un caso che chi ha sottratto lo scettro alla Juve sia stata l'Inter. Quest'anno, poi, con Madama tagliata fuori dai giochi e con il Napoli solito fuoco di paglia, a duellare fino all'ultimo sangue saranno proprio il Milan e l'Inter. 

Altra sinistra somiglianza risiede nelle dinamiche di mercato: nel 1990 dalla Fiorentina giunse a Torino il miglior prospetto, alias Roberto Baggio; sempre dalla Viola, nel 2022, è approdato sulle rive del Po, il goleador serbo Dusan Vlahovic. Proteste, mugugni e striscioni, ma, a giudicare dalle circostanze, nel 1990 andò molto peggio. Sotto l'aspetto tecnico, altra analogia si riscontra nella volontà di puntare sui giovani o presunti tali. Schillaci, Casiraghi, Di Canio, Dino Baggio e tanti altri ancora; tra lo scorso anno e questa stagione tanti under 30 hanno fatto il proprio ingresso in campo: De Ligt, Demiral, Pellegrini, Dragusin, Arthur, Locatelli, Zakaria, Rabiot, Kean eccetera eccetera. I giovani di allora portarono poco in dote alla Signora, figuriamoci quelli attuali. "E ho detto tutto".

Non sarà semplice tornare grandi, ma la storia ha sempre il grande compito di insegnare. Allegri come Trapattoni: Max è un gestore, non un allenatore da scuola calcio; idem per il Trap: non è lo stesso allenare Platini e un qualsivoglia sbarbatello dell'epoca. Abbassare l'età media è cosa buona e giusta. Non è salutare, tuttavia, sbarazzarsi dei vecchi (vincenti), per rimpiazzarli con giovani (inesperti, dunque perdenti). Manca l'equilibrio nelle scelte di chi risiede ai piani alti: mettere una pezza agli orrori è difficile (tre allenatori in tre anni, squadre costruite a caso, situazioni extra-campo, vedi Suarez); è altresì errato gettare le basi della vittoria, continuando a imperversare nell'orrore (giovani inesperti e non all'altezza, opinioni divergenti nell'assetto societario, proprietà che sgancia grano per coprire le nefandezze economico-finanziarie).

Il grande filosofo napoletano, Giambattista Vico, asserì come la storia avesse un andamento ciclico, tanto da ripetersi in epoche apparentemente diverse tra loro. Parafrasando il pensiero dell'intellettuale partenopeo, si nota l'ennesima analogia con l'aspetto ciclico che contrassegna lo sport. Puoi vincere per dieci anni, ma dovrà scoccare l'ora della sconfitta. Morto un Papa, se ne fa un altro, per mezzo di un conclave. Il segreto della Juve 94-95 risiedette nel profondo riassetto operato: via Boniperti-Trap, dentro Triade (Moggi-Giraudo-Bettega) e Lippi; ambiente totalmente rinvigorito dalla nuova nomenclatura societaria e dal nuovo tecnico. Oggi uno scenario del genere appare impossibile. L'unica speranza, dati alla mano, è che la Juve non debba aspettare un decennio per tornare a vincere lo Scudetto. Altrimenti, anche noi maschietti potremmo ravvisare i sintomi del ciclo mestruale, rimanendo in tema.