Andrea Pirlo è stato l'agnello sacrificale degli Agnelli. La scommessa del giovane presidente juventino di mandare in panchina un tecnico privo di esperienza è miseramente naufragata. Pirlo, più di chiunque altro, sarebbe stata la vittima perfetta di un gioco al massacro già delineato. Celare i difetti strutturali di una Signora febbricitante, attraverso il dilettantismo spudorato, era il target sottinteso di una dirigenza eterogenea in idee e programmazione. Consegnandogli una squadra inadeguata e piena di primedonne strapagate, sarebbero emerse con prepotenza le carenze intellettuali di chi la panchina non l'aveva mai assaporata.

A tutto ciò si aggiunga una narrazione giornalistica vomitevole e distante dalla realtà: descrivere scenari idilliaci, riscontrabili in un'allegra e spensierata preparazione estiva, è un insulto all'intelligenza degli appassionati di calcio. I veri allenatori sono frutto della gavetta. Dai campi polverosi di provincia all'erbetta british di Serie A, questa, di regola, dovrebbe essere la parabola del vero predestinato. Invece no: ti chiami Pirlo, sei stato una leggenda del calcio, quindi diventerai un luminare della tattica e della vittoria. La malafede del giornalista nasce proprio dall'ignoranza delle più basilari regole di questo sport. I predestinati sono pochi, senza saper di leggere e di scrivere, tanto più l'allenatore predestinato è colui che eleva alla regalità la cenerentola designata. Non si vendono più copie dei giornali rassegnandosi gioiosamente al misfatto che verrà.
Gli errori di inesperienza sono stati ravvisati sin da subito, per carità. Vedasi il pareggio di Roma, alla seconda giornata, con Kulusevski che, da seconda punta, nella gara precedente, si ritrova a dover lavorare su tutta la fascia; oppure il secondo gol dei giallorossi, patito in ripartenza dopo un'azione a favore da palla inattiva. Potremmo citare anche il pareggio di Crotone, ma il ragazzo aveva bisogno di tempo. Ci può stare. Il girone di andata, al netto di un tifo bianconero che non demandava miracoli, si è chiuso senza troppi danni.

Qualcosa si è rotto nella sfida del San Paolo, persa contro un Napoli attendista e rapace, scaltro nel portare a casa il massimo risultato col minimo sforzo. L'apoteosi della rottura, poi, non poteva che essere nei 210 minuti di Champions. Si potrebbe riassumere il tutto in una semplice formula matematica: Chiesa + altri 10. Ed eccoci di fronte all'ennesimo boccone amaro da ingoiare. Cosa dovrebbe fare un allenatore che si rispetti in questo caso?
La squadra, carente in ogni dove, non è stata minimamente stimolata, tantomeno migliorata dalla mano del tecnico. Alcuni giocatori, Bentancur su tutti, si sono addirittura involuti. Non si giustifica un collettivo così disgustoso, ma non si può neppure dare del "poverino" a chi manda in campo costoro. La società, inoltre, non presentandosi davanti ai microfoni per far sentire una vicinanza o per silurare velatamente i colpevoli, ha preferito trincerarsi nel più assordante dei silenzi. Un allenatore che si rispetti si sarebbe dimesso seduta stante.
Credere nel proprio lavoro ci può stare. Quando vengono a mancare, tuttavia, le condizioni minime attraverso le quali far progredire le dinamiche lavorative- il calcio ci insegna- l'anacronistica pratica dimissionaria non è poi da scartare. Stiamo parlando di un retaggio d'altri tempi, questo è chiaro. Se qualcuno dovesse ancora autoconvincersi di poter dare il proprio contributo alla causa, con poche idee (attacchiamo a 3 o a 4?), confuse (meglio segnare o far girare la palla a vuoto?) e allucinazioni fantozziane (LA COSTRUZIONE DAL BASSO!!!!!!!!!), ecco che la sofferenza aumenta e i risultati non arrivano (Verona, Benevento, Fiorentina...).

Pirlo, figlio di un pallone troppo contemporaneo, si ostina a offendere l'intelligenza di cui sopra. Da una settimana all'altra i suoi capisaldi mutano, non modificandone, purtroppo, la sostanza. Le dichiarazioni post-partita, allo stesso modo, appaiono come giustificazioni da prima elementare, tanto da farsi scappare, tra le righe, elementi di insoddisfazione e frustrazione. Quando mai si è visto un tecnico, guaire in panchina, senza mai dare vere indicazioni ai giocatori in campo! Senza nulla togliere all'accavallarsi di voci e suggerimenti che si levano sempre da quel settore. In novanta minuti potrebbero urlare verso il campo, in ordine sparso, tanto Baronio (vice) quanto Buffon, Pinsoglio o Bonucci. Se io fossi il disorientato Kulusevski chi dovrei seguire? "Mister" Pirlo, Baronio, Buffon o il medico sociale? 

Tra i miracoli del taumaturgo bresciano si paventava anche un progetto di inserimento dei giovani dell'Under 23. Alla terza giornata è stato lanciato (addirittura) titolare Manolo Portanova. Salvo poi rivederlo in campo in altre due sole occasioni. Frabotta, poi, destinato alla Serie C, inverte la rotta e inizia a duellare con Alex Sandro. 15 presenze e, dopo la prestazione horror di San Siro, fa tappa fissa in panca. Dragusin, classe 2002, dopo esser stato convocato in pianta stabile con la prima squadra, giocando peraltro 4 gare, ora va a rinsaldare le fila dell'Under 23. Se inserisci un prospetto nel giro della prima squadra, con un minutaggio così irrisorio, si presume sia una discreta presa in giro. I giovani, in Italia, vengono rovinati anche e soprattutto per la considerazione che gli viene data, alla stregua di un pacco postale.

Confermare Pirlo sarebbe un orrore da evitare. Non si riscontrerebbe alcun tipo di miglioramento, sia sul piano dei risultati, sia sul piano della tattica che della gestione del gruppo; ribadiamo: poche idee, confuse e giocatori involuti e svogliati. Il progetto Juve necessita di un ridimensionamento, ragion per cui è impensabile affdare la carovana a un Allegri o a Zidane. Ripartire da un allenatore medio, tagliare i costi insostenibili di un bilancio che annaspa e costituire un progetto a medio termine, per tornare a vincere, non è lo scenario da evitare, bensì da tenere in considerazione. I giocatori sono un problema, ma un allenatore che, non dimettendosi, crea ancora più scompensi, non merita alcuna giustificazione.