Premesso che un'analisi del genere, a circa quindici giorni di distanza dall'ennesima disfatta, abbia un'elaborazione a mente fredda, quasi ghiacciata. In preda a istinti giacobini, la soluzione tout court più percorribile risiederebbe nell'accusare gli stranieri di rubare il mestiere ai giovani italiani. E quindi via con i pipponi lunghi quanto l'Autostrada del Sole sull'inefficienza dei settori giovanili, delle strutture preposte e della scarsità di vedute di direttori sportivi e osservatori vari. La solita vecchia morale di chi non guarda in faccia la realtà e attribuisce al sudamericano o est-europeo di turno la non meritocratica investitura fra gli italici confini.

Diamo un'occhiata veloce alle convocazioni di Roberto Mancini: chi, meglio della trentina di convocati, avrebbe potuto assurgere alla chiamata alle armi? Il CT ha pescato dal meglio che aveva a disposizione tra tutti i giocatori potenzialmente "azzurrabili". Credo sia superfluo immaginare quello spettacolo osceno, partorito dai soliti violini scordati, dell'informazione sportiva che invocava a furor di popolo lo scongelamento di Mario Balotelli, il quale sta distinguendosi tra le fila dell'ultra-competitivo campionato turco. Oppure l'affaire-Joao Pedro, ormai divenuto un affaire-Dreyfus in salsa nostrana, manco avessero intravisto in lui le stigmate di Pablito Rossi. 

Ogni tanto bisognerebbe insaponarsi di buon senso e farsi un proverbiale bagno tra schizzi d'umiltà. I nostri ragazzi, salvo imprevisti e rari eventi (come l'Europeo vinto), non sono all'altezza dei palcoscenici internazionali. Non è solo per la miopia di chi li allena nei club a privarli di un posto stabile e di una facile convocazione in nazionale. Se costoro trascorressero più tempo ad affinare la tecnica sul campo e non sui social, ad auto-decantare la propria magnificenza, forse l'intero sistema trarrebbe giovamento dal leggero cambio di mentalità dei futuri talenti. 

Chi, invece, è deputato a rendere competitivo il nostro sistema, utilizza quelle bassissime percentuali utilizzabili del cervello umano in idee stravaganti. Vero, Presidente Gravina? Il numero uno della Federcalcio, novello paladino del calcio popolare da contrapporsi all'efferata Superlega, si sta battendo, da tempo, per introdurre il play-off, post-stagione regolare, attraverso il quale verrebbe sancito il detentore dello scudetto. Un'idea geniale! Ispirata senz'altro a campionati di primissimo livello, quali il Belgio, tredicesimo classificato del ranking UEFA per competizioni nazionali, secondo la classifica aggiornata al giorno d'oggi. Ci interroghiamo, allora, sull'indirizzo di residenza del Presidentissimo: vivrà in Italia o si sarà trasferito sulla Luna? Senza dubitare delle privilegiate postazioni d'osservazione del satellite terrestre, ma costui ha mai dato un'occhiata al livello infimo in cui versano i nostri campionati professionistici? Partiamo, dunque, dalla quantità di squadre partecipanti.  

L'allargamento della Serie A a 20 squadre, nel 2004, risultò fattibile data la situazione favorevole in cui il nostro movimento calcistico attraversava in quella circostanza. Un campionato già abbastanza competitivo, non più ai livelli degli anni Ottanta o Novanta, poteva accogliere altre due squadre in organico. Abbattutasi sul sistema la scure di Calciopoli, si assiste, negli ultimi quindici anni, a domini incontrastati anche quinquennali o più e a una lotta per non retrocedere senza alcun mordente. Dato di fatto che risiede nella pressoché consolidata certezza di stabilire già a fine girone di andata le prime due retrocesse. La conseguenza, poi, si manifesta nell'atteggiamento passivo e privo di stimoli delle squadre di mezza classifica le quali, solo raramente, influiscono sui verdetti di bassa e alta classifica. 

Perché non tornare a 18 squadre? In vista della nuova Champions League 2024-2025, onde aumentare la competitività e snellire la portata dell'organico, la Federazione francese ha decurtato il computo della Ligue 1 da 20 a 18, a partire dal 2023-2024. La Germania, dal canto suo, non ha ceduto alle lusinghe dell'eccesso e ha mantenuto invariata la composizione a 18. Quest'ultima, poi, ha architettato uno stratagemma altamente meritocratico per l'organico dell'anno successivo: due retrocessioni dirette in seconda divisione e due promozioni dirette in Bundesliga; a giocarsi la permanenza/retrocessione ci pensano la terz'ultima classificata della Bundes e la terza classificata della Zweite. 

Quanto all'Italia si è voluto dare spazio a play-off farseschi e logoranti, tra Serie B e C, ai quali prendono parte pure squadre da metà classifica (!). Risultato: molte neopromosse fanno ritorno nella categoria inferiore, sia per demeriti tecnici, sia per usufruire del cosiddetto paracadute che garantisce soldi a pioggia sulle malcapitate neo-cadette. Stranezze tipicamente italiche che si mescolano pure con le vicende extra-campo, legate alla stabiltà economica delle proprietà dei club. Se in Serie A si iscrivono club indebitati fino al collo, nelle categorie inferiori costoro non sopravvivono da una stagione all'altra o collassano a campionato in corso. Tra A, B e C ricordiamo i casi: Parma, Chievo, Modena, Trapani e, di recente Catania. Quindi, come fanno ai iscriversi al campionato squadre che non rispettano i parametri economici e finanziari? Chi sorveglia? Giovenale scriveva: Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?

Consigliamo a Gravina di lasciar perdere certe strane aperture a modelli di secondaria competitività, per dare un'occhiata alla sovrabbondanza di squadre professionistiche. Quanto alle leghe deputate al comando dei campionati, chiediamo che aiutino la federazione a operare un piano di riforme quantomeno sulla eccessiva quantità delle squadre che costellano il nostro pallone.
Infine, un monito contro la "xenofobia" calcistica: abituiamo i nostri ragazzi a confrontarsi anche con le proprie debolezze, senza lusingarli in eccesso per le doti da campione. Il protezionismo non ha mai funzionato in economia, figuarsi nel calcio. Proteggere i nostri veri talenti dalle facili illusioni e dal successo effimero, forse sì.