Negli ultimi anni il gioco preferito di molti è stato parlare del Milan. Voi mi direte che è tutto normale visto che ha scritto pagine di storia, le sue vittorie sono state raccontate ovunque e sono rimasti indelebili i cicli di Sacchi, Capello ed Ancelotti.
Il Milan di Berlusconi è stato un modello vincente, seguito in tutto il mondo, ma che ad un certo punto, quando gli altri avevano risorse economiche e progettuali migliori, superato e inefficace per stare al vertice.
Non sto certamente rinnegando la figura di un Presidente che ha fatto vivere anni densi di vittorie, ma sicuramente il sistema Milan è imploso anche per colpe sue. La prima quella del doppio amministratore delegato (la figlia contro il braccio destro del capo) ha iniziato a portare caos e instabilità all'interno della società. Ma anche, la poca lungimiranza nel non sostituire piano piano coloro che hanno scritto la storia, inserendo prospetti che sarebbero cresciuti insieme a coloro che, successivamente, sarebbero poi andati via. Ritrovandosi all'improvviso, non solo per questioni anagrafiche, a una diaspora che ha minato la forza di un gruppo. Perdendo, per questioni economiche, campioni come Ibra e Thiago Silva, venduti per non pesare nel bilancio  societario. Da quel momento si è smesso di parlare del Milan per quello che aveva fatto (29 trofei in 31 anni), l'ultima vittoria fu un colpo di coda inaspettato vista la vittoria ai rigori della Supercoppa Italiana, e si è ciarlato del Milan per i numerosi giocatori presi a parametro zero che niente di buono hanno lasciato, per un bilancio sempre in perdita che ha portato alla cessione del Milan, cosa che Silvio Berlusconi non avrebbe mai fatto in vita sua, secondo dichiarazioni pregresse rilasciate.

Si è parlato dell'interesse di magnati cinesi che lo avrebbero comprato e l'avrebbero fatta diventare il fiore all'occhiello della Repubblica popolare cinese, ed invece all'improvviso pregando che fosse tutto un incubo visto che lo aveva acquistato un personaggio che aveva fatto il passo più lungo della gamba. Ed anche qui tutti a discutere di quello che non è stato, le battute sul "cinese povero" si sprecavano e nello stesso istante, nell'altra sponda di Milano, i cugini pronti a ripartire prima con un thailandese e infine con i "cinesi buoni".
Una campagna faraonica, marchiata dallo slogan "passiamo alle cose formali" di Fassone e Mirabelli, non ha fatto altro che accrescere i dubbi su una società che rischiava seriamente di finire in situazioni economiche irrimediabili. La storia la conosciamo tutti, Yonghong Li non versa i 32 milioni dell'aumento di capitale deliberato dal consiglio di amministrazione e il Milan passa di mano al fondo americano Elliott, che già in precedenza aveva prestato oltre 300 milioni agli stessi cinesi. 
Da questo momento i milanisti rialzano la testa perchè sanno che possono contare su un fondo che dispone di una liquidità importante e che avrebbe messo a tacere, con i risultati sul campo, le numerose critiche piovute. Sia a Silvio Berlusconi che aveva promesso che avrebbe ceduto la società a mani salde che avrebbero rilanciato il Milan, sia ai cinesi che non erano stati in grado di garantire risultati ma solo rischi economici e sfottò dai tifosi avversari.

Nasce il Milan di Elliott, una società che possiede una proprietà che lavora soprattutto per mezzo di preziosi collaboratori scelti per portare avanti la "Mission". La quale è partita col puntellare tutti i disastri precedenti e mettere in salvo il Milan anche dalle sanzioni dell'Uefa la quale, più di una volta, aveva messo in chiaro che non avrebbe accettato una società che non rispettasse i parametri imposti dal fair play finanziario.
Ma il fondo, nonostante sia di passaggio in quel di Milano, una volta ridato splendore al club lo rivenderà al migliore offerente è poco incline a parlare in prima persona. Quindi a parlare dal suo insediamento sono stati i vari Leonardo, sostituito dopo solo un anno da Maldini e Boban (quest'ultimo per la società ha parlato troppo e anche senza preavviso ed è stato cacciato). Hanno parlato frequentemente Scaroni e, da quando ha preso in mano le redini del comando, dopo esser rimasto a guardare in silenzio, lo stesso Gazidis.
Fin qui niente di strano, anche perché sono tutte persone legate alla società con compiti precisi. I problemi iniziano, casomai, quando queste figure si accavallano o non remano nella stessa direzione. Il già citato Boban e la sua intervista a "La Gazzetta dello sport" data all'amministratore delegato, reo di aver sondato la disponibilità di Rangnick per il dopo Pioli, resta il classico esempio di chi non si parla dove si dovrebbe, ovvero la sede del club. Ma anche "da fuori" c'è un chiacchiericcio niente male. Lo stesso Rangnick che parla di Milan senza essere, ma tutti conoscono il segreto di Pulcinella, un tesserato, portano successivamente il buon Paolo a rilasciare un intervista che tutti conosciamo.
Ma perché tralasciare la vendita quotidiana di Donnarumma alla Juventus o a chi offre di meno, da parte di numerosi media, che forse non hanno capito che se fosse per Gigio lui resterebbe a vita al Milan, il quale chiede solo che ci siano progetti seri, altrimenti è meglio dirsi addio (ma non certamente a parametro zero).

Ma la notizia di giornata è stata quella che ha visto Sinisa Mihajlovic, a cui va tutta la mia stima per il coraggio e la forza dimostrata nell'affrontare la malattia, parlare (indirettamente) della società citando le intenzioni di Ibrahimovic per il prossimo futuro. Che tra il Milan ed Ibra ci sia silenzio è cosa nota a tutti, visto che, e anche questo è stato motivo di discussione da parte degli altri anche quando non trapelava nessuna dichiarazione da parte dello svedese, non rientrerebbe nei piani del nuovo allenatore. Ma che fosse qualcun altro a rivelare le intenzioni (prese), e soprattuto una società che, per l'ennesima volta è rimasta in silenzio, personalmente non me lo sarei aspettato.
Il Milan del passato, o perlomeno, il Milan, non avrebbe mai permesso tutto questo. Si sarebbe detto "non nominare il nome del Milan invano", scomodando le sacre scritture e cercando un modo di far valere la storia della società. Ma probabilmente, e questo non dobbiamo escluderlo, Sinisa con le sue dichiarazioni ha fatto un ottimo assist alla dirigenza, poco convinta dello svedese, che vuole evitare eventuali critiche da parte di chi vorrebbe ancora Zlatan a Milano, preferendo che siano lo stesso Ibra a farlo per lei.

Ora, in attesa dell'ennesima rivoluzione (lecita visto che la proprietà ha tutto il diritto di amministrare la società secondo un suo modello di riferimento consono ai suoi obiettivi), ci si aspetta che sia solo il Milan a parlare per sé, lasciando agli altri solo commenti positivi, per le sue vittorie, i suoi trofei e la rinnovata organizzazione aziendale.