Qualcosa sta cambiando, qualcosa è cambiato. Perché il termometro del nostro campionato sono i bambini, con le loro frasi ed i loro gesti.
All’uscita di scuola ne vedo due che si salutano e lo fanno in un modo particolare e spontaneo, solo come i bambini sanno fare.
Uno dice all’altro: “Ciao Ibrahimovic”, ottenendo come risposta: “Ciao Theo Hernandez”.
È la prova che siamo tornati, che i tempi del “siuuu” sono un ricordo lontano. Che immedesimarsi in un giocatore del Milan è tornato ad essere spontaneo, bello da vedere e sentire.
Non è stata la vittoria dell'altro ieri ad attestarlo, casomai è la conferma del fatto che il Milan è in alto in classifica non per casualità o diritto divino, ma per una ragionata programmazione, figlia dei tempi e della sostenibilità.

Al “Diego Armando Maradona” i rossoneri scrivono un altro pezzo della loro storia recente e riscrivono il loro nome in vetta alla classifica, nell’attesa di capire quando quella virtuale cederà il posto a quella reale. Una storia che mette in risalto, da un alto, come le vittorie con le “big” siano la specialità della casa e, quest’anno, sono state servite con precisione chirurgica e attenzione nei particolari; dall’altro evidenzia che i punti persi con le medio-piccole sono un rimorso ancora grande, per quello che potevano rappresentare nel presente e nel futuro.
Un mio amico, abile osservatore, mi dice sempre che sono queste le gare a cui bisogna dare massima attenzione durante la settimana, le quali necessitano di un intervento maggiore nella testa dei giocatori per tenere alta la concentrazione e non cadere nell’errore d’avere un atteggiamento presuntuoso che alla fine non paga. A differenza di quelle di un certo spessore che, invece, si “preparano da sole”, proprio per l’importanza della posta in palio.

Nonostante i pareggi con Spezia, Salernitana e Udinese, il Milan si ritrova ancora capo classifica, rimettendo la freccia per superare i "cugini" vincenti nella gara di venerdì contro quella Salernitana che a noi è costata in termini di punteggio; e lasciando indietro un Napoli che, al di là della sconfitta, merita i complimenti per quanto fatto di buono fino a questo momento.
Non ultimo, perché nella mia testa ho un tarlo che mi porto dietro dall’acquisto di Vlahovic, spegne l’ardore di una Juve vincente ma non bella, che aveva solo da guadagnarci nel caso ieri notte fosse finita in parità la sfida col Napoli. Invece vincendo, il Milan spegne (ma non del tutto) la possibilità che i bianconeri possano ritornare a stretto giro nella lotta scudetto, senza abbassare la guardia, guardando al futuro con rinnovato ottimismo.

Napoli-Milan ci restituisce una squadra abile a cambiare in corsa, anche alla luce delle assenze e della non perfetta condizione fisica di alcuni suoi interpreti. Capace di non concedere occasioni pericolose ai campani, e di amministrare con la giusta calma i momenti più caldi della partita.
Il gol di Giroud regala ai rossoneri la vittoria, ma è soprattutto il modo di stare in campo e di essere squadra che ha fatto la differenza. E se qualcuno non ha giocato secondo standard a cui eravamo abituati, è stato grazie al gioco che queste carenze sono state sopperite, regalando punti importanti in ottica scudetto.
Sì, perché oramai non sarebbe corretto nascondersi dietro un dito, posticipando sogni tricolori, che nella mente dei tifosi vanno comunque incanalati, nei quali giocatori, allenatore e dirigenza sono pronti a rispondere alla chiamata.
A fine gara vedere il clima di festa generato dalla vittoria fa evocare antichi ricordi perché Napoli è sempre stato un crocevia importante. E anche stavolta può e deve diventare spinta per il traguardo finale.

C’è un’immagine emblematica, quella in cui Maldini, Pioli ed Ibra si abbracciano. È il patto di ferro che sancisce di provarci fino alla fine, pur sapendo di non essere i più forti, senza tralasciare nulla al caso. Paolo sembra trasmettere quel carisma e quella serietà che aveva quando giocava in campo, dando l’idea di non aver mai abbandonato quel ruolo nonostante oggi sia un abile dirigente. Ibra, i cui infortuni lo portano a vedere il campo sempre più lontano, è il trait d’union tra Paolo e l’allenatore (se Paolo ha trasferito dietro la scrivania il suo essere calciatore, Ibra è un dirigente in campo) e allo stesso tempo tra allenatore e resto dei compagni.
Proprio quello che desiderava Maldini, ovvero avere un ruolo attivo di responsabilità dove poter incidere con le sue scelte, e non un vessillo da esporre a Casa Milan. Proprio quello per cui la scelta di puntare su Ibra, nonostante l’età, sia un punto cardine da non tralasciare e da tenere viva anche per la prossima stagione.

Serve questa compattezza e questo spirito e occorre metterla in campo da subito, nella partita in casa contro l’Empoli. Mancando dieci gare alla fine, ogni punto perso è un punto difficilmente recuperabile e rischia di pesare nelle dinamiche di questo campionato. Prima della Lazio il Milan dovrà giocare contro Empoli, Cagliari, Bologna, Torino e Genoa, ed è lì che i rossoneri dovranno dare uno strappo importante se vogliono mettersi in una condizione di vantaggio. Sono queste le gare che diranno se la lezione è stata appresa e quanto il Milan ha la consapevolezza di non ricadere in errori che possono compromettere quanto di buono fatto fino ad ora.
Il Milan, infatti, vince quando recupera il suo modo di giocare e stare in campo, grazie alla predisposizione dei suoi giocatori a sovvertire i pronostici avversi. Anche contro il Napoli non partiva certo da favorito, ma la storia di questa stagione insegna che contro le grandi il Milan non aveva mai perso, anzi aveva colto vittorie importanti sia per la classifica che per la fiducia.
Osimhen è stato controllato adeguatamente dal duo Tomori-Kalulu (siamo sicuri che al Milan serva un centrale, pagandolo cifre importanti, o non sia meglio destinare quel budget all’acquisto di un trequartista o di una punta da venti gol a campionato?) che gli hanno concesso il minimo spazio, rendendolo innocuo dalle parti di Maignan. Theo e Leao sono stati delle spine nel fianco della retroguardia partenopea, Kessié quando c’era da mostrare i muscoli lo ha fatto e, nei minuti di recupero si è messo in modalità Atalanta, nella zona della bandierina, nascondendo la palla e facendo passare del tempo prezioso.
Senza dimenticare Giroud. Ieri un pestone (da cartellino arancione) ha rischiato di fargli salutare il campo già nel primo tempo. Il gol nel secondo (nonostante l’assist provenga da un tiro calciato male da Calabria) è la dimostrazione che la gamba la mette sempre e che andrebbe servito meglio dentro l’area di rigore. Non si può dire niente alla stagione del francese per quanto riguarda lo score. In più l’attaccamento alla maglia e l’amore dei tifosi lo spingono a dare tutto in campo, tanto è vero che esce stremato quando la sua gamba non è più in grado di tenerlo in piedi.
E infine i tifosi. Anche ieri allo stadio il Milan non è rimasto solo. Aveva coloro che lo hanno accompagnato in trasferta e sostenuto per tutti i novanta minuti, così come coloro che da casa hanno gioito per la vittoria finale.
Come quei bambini che all’uscita di scuola si sono salutati affettuosamente, impersonando i loro eroi, così facendo hanno ricordato a tutti che siamo ritornati.

Il Milan c’è. Questi bambini ce l’hanno detto a modo loro e sono i testimoni che qualcosa sta cambiando, che qualcosa è cambiato.
Siamo tornati ed è giusto ricordarlo anche per i più smemorati.