Sono sempre stato un tenace difensore di questo gruppo, della società e dell’allenatore. Era doveroso farlo perché si stava ripartendo, per l’ennesima volta da zero, ed il percorso intrapreso necessitava di tempo e pazienza.
Quel tempo e quella pazienza che molto spesso sono lontani dal pensiero del tifoso per la voglia di vincere sempre, di arrivare prima degli altri.

Quando il Milan è ripartito con Elliott non c’era una scadenza predefinita per arrivare a conquistare lo scudetto e, probabilmente, il Milan ha vinto prima di quanto potessimo immaginare. Non era partito bene, ma pian piano il lavoro giornaliero ha ripagato tanto da portare i rossoneri a vincere meritatamente, dopo un susseguirsi di emozioni che, in quella domenica a Reggio Emilia con il Sassuolo, hanno unito tutto il popolo milanista.
Un’apoteosi rossa e nera con festeggiamenti in tutta Italia e la certezza che, dopo tanto tempo, il Milan era tornato a vincere qualcosa di importante.

Tutto era finalmente ritornato al proprio posto perché il Milan, da spettatore dei trionfi altrui, si era riposizionato al centro dell’attenzione mediatica, divenendo un esempio per tanti.
Lo scudetto conquistato voleva però dire anche altro. Ovvero la possibilità di rimanere competitivi e lottare ai vertici del campionato italiano. Questa convinzione nasceva soprattutto dal fatto che la squadra allenata da Pioli, al netto di alcune partite da cancellare, aveva vinto grazie al gruppo che aveva messo in mostra un gioco moderno, capace di superare le difficoltà, nonostante non avesse i favori del pronostico.
Fu un grande risultato che resta e resterà per come è maturato. Ma, allo stesso tempo, è diventato il termine di paragone che indebolisce la stagione attuale, ponendo riflessioni e giudizi su come è stata impostata.
Lo scudo nelle maglie, l’entusiasmo per la vittoria, il gioco e il cambio societario dovevano essere le certezze per ripartire con un passo spedito, pur mantenendo fede a quel vincolo chiamato sostenibilità che è il trait d’union tra la chi ha amministrato il Milan con saggezza e rigore, e chi dovrebbe garantire gli step successivi per scalare la montagna europea che, a differenza di quella nostrana, è ancora lunga e vede la cima quasi inarrivabile.

Invece, arrivati a metà gennaio e ripartiti dopo la pausa del mondiale, il Milan si trova a riflettere su numerosi errori di valutazione commessi che lo hanno portato a ritrovarsi a meno nove dal Napoli, quando manca ancora una giornata alla fine del girone di andata; fuori dalla Coppa Italia per mano del Torino; e con tanti dubbi sul proseguo della stagione.
In questa situazione la prima conseguenza è stata la critica che si è abbattuta sulla società, a volte giusta in altri casi eccessivamente fuori tono, accompagnata a nefasti presagi su come finirà l’annata sportiva.
Tutti sono finiti sotto processo: la società che nel silenzio generale porta avanti il suo percorso finanziario, nell’attesa di incrementare quei ricavi che saranno lo spartiacque tra muoversi con oculatezza e provare a fare investimenti da top club; chi si occupa del mercato e, in questo caso Maldini, per via di una campagna acquisti che, fino a questo momento, non ha inciso e non porta valore aggiunto al gruppo che aveva vinto il campionato scorso; l’allenatore che in alcune situazioni ha inciso negativamente nella lettura della partita con cambi che hanno penalizzato il gioco ed il risultato; infine gli stessi giocatori che con atteggiamenti insufficienti sono lontani dalle prestazioni passate e navigano senza aver coscienza della rotta da seguire.
Nessuno ha avuto la grazia e, anche i “moderati” che hanno sempre difeso ad ogni costo questa società, hanno iniziato a richiedere un cambiamento necessario per evitare che, questa stagione, diventi un incubo.

E dire che basterebbe poco, perché tutto quello che è stato fatto di buono in passato non può e non deve esser cancellato o dimenticato. Basterebbe in primis che gli “eroi” dello scudetto scendessero in campo con umiltà, con la consapevolezza che essere campioni non dà diritto a nessun tipo di beneficio perché niente verrà regalato. Molto spesso l’atteggiamento sbagliato, già da inizio anno, era stato sottolineato per evitare di ritrovarsi a commentare prestazioni opache che mettono il Milan davanti alle proprie responsabilità. A poco sono servite le raccomandazioni di chi provava a mettere al corrente che, senza la giusta concentrazione, senza quel mordente, senza quella intensità che faceva del Milan una squadra forte e ben messa in campo, diventava tutto più difficile e complicato.

Sarebbe bastato anche riconoscere che qualcosa sul mercato andava fatta diversamente, nonostante ci sia coscienza di come sia difficile muoversi all’interno di spazi stretti e tempistiche legate al closing.
Troppo facile e semplice puntare il dito solo sull’acquisto di De Ketelaere (fiore all’occhiello della campagna rossonera), dipinto come il “principe azzurro” che avrebbe conquistato velocemente il pubblico rossonero. Fino a questo momento assente “giustificato” da parte di chi pensa abbia bisogno di tempo per emergere; occasione persa per altri che avrebbero voluto un giocatore pronto alla causa milanista, perché a differenza del passato il tempo non gioca a favore di chi indossa per la prima volta la maglia rossonera.

In realtà, tenendo la barra dritta, senza affossare definitivamente il giocatore belga, il vero dilemma che oramai accompagna da molto tempo il pensiero di molti tifosi è la mancanza di investire con decisione nel reparto avanzato. Qualcuno potrebbe dire che Origi è stato bloccato da molto tempo, destinato ad alternarsi con Giroud al centro dell’attacco rossonero e meritevole di attenzione per via dell’esperienza internazionale maturata ai tempi di Liverpool. In più un affare perché venendo a parametro zero non intaccava il budget a disposizione.
Peccato però che Origi è venuto a Milano da infortunato, ha dovuto saltare la preparazione con annesso tempi di recupero dallo stesso. E gli infortuni e le prestazioni dopo il suo rientro hanno appesantito l’utilizzo di Giroud che, ad un certo punto, si è ritrovato ad essere l’unico terminale offensivo rossonero.
In una stagione che vedeva già Ibra alle prese con un recupero lungo, e con Rebic (quarta scelta in attacco) che ogni anno salta numerose partite, avere a disposizione un’altra punta centrale avrebbe evitato certe situazioni e avrebbe permesso al Milan di avere alternative valide senza ricorrere all’eccessivo utilizzo del solo Giroud.
L’azzardo più grande è stato questo. Più di qualunque altra scelta tecnica, più di qualsiasi giocatore arrivato ad inizio anno che non ha inciso o aggiunto nulla ad una formazione che aveva già perso Frank Kessié per via del suo rifiuto a rinnovare il contratto.

Ora è il momento di ricompattare tutto. Squadra e tifosi, per evitare che ognuno prenda la direzione sbagliata. Anche alla luce di un appuntamento importante come la Supercoppa Italiana (in passato sarebbe stata vista come un qualcosa di poco importante, ora non è il caso di fare gli schizzinosi) che deve essere vista come un punto per ripartire e non di arrivo.
Non è con la sola coppa che salvi la stagione se poi vai a naufragare in un campionato che va onorato fino alla fine, nella speranza che chi lo guida non continui a viaggiare con una velocità imbarazzante per gli inseguitori. Ma è certamente una medicina per riprendere forza e vigore e provare a lasciarsi alle spalle questo brutto momento. Ed il fatto che sia un derby deve essere motivo per tirare ancor di più atteggiamenti positivi e da Milan.
Poi, i conti li faremo alla fine. Senza sé e senza ma analizzeremo il tutto, nella speranza che le critiche siano sempre costruttive e possano portare ad un’analisi chiara, decisa, per il bene del Milan e dei suoi tifosi che, nonostante qualche battuta d’arresto, continuano a sostenerlo fino alla fine.